Temporali del cuore

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di Irene Auletta

Quando la  disabilità, con le varie stereotipie, prendono il sopravvento mi ritrovo in balia dei venti, confusa, triste e disorientata. Ridatemi mia figlia vorrei urlare ma già mentre lo penso so bene che tutte queste sfumature sei tu

E io soffro e mi danno fino a quando non inizia il gioco dello sdoppiamento e riesco pian piano a guardarmi con lo sguardo amorevole che cerco di dedicare ai genitori che incontro per lavoro. Ok proviamo a ricostruire la scena. 

Da quando sono venuta a prenderti al Centro per andare in piscina ogni singolo passaggio e’ stata una lotta e una ricerca di strategie spesso fallimentari. Non vuoi scendere le scale, non vuoi salire in auto, non vuoi scendere dall’auto, non vuoi entrare in piscina, non vuoi cambiarti. Non, non, non 

Il tempo non è dalla nostra parte (o forse si?) e alla fine, esausta e sconfortata, ti saluto mentre ti fai letteralmente trascinare dalla tua operatrice TMA (terapia multisistemica in acqua) con lei che cerca di convincerti ad iniziare e tu che minacci con tutto il corpo di buttarti a terra. 

Aiuto, vorrei buttarmi io in piscina così vestita come sono e nascondermi sott’acqua! 

Dopo pochissimi minuti ti osservo a distanza e tutto sembra passato. Ti guardo in acqua, felice, disponibile, di ottimo umore. L’esperienza ti piace moltissimo ma, in alcuni periodi, complici una moltitudine di fattori sparsi, qualsiasi cambiamento, anche il più piccolo, diventa fonte di tensione, rifiuto, ostacolo, disagio.

Esco dalla piscina e mi pare di avere sulle spalle uno zaino di un quintale. Cammino, respiro, faccio una pausa caffè e mi preparo a ritrovarti dopo poco fiduciosa in un nuovo e diverso incontro. 

Arrivi e sei di nuovo quella tu che mi fa prendere tregua dai momenti più difficili e io ora mi sento pronta. Così, mentre seguiamo tranquille il nostro rituale ormai consueto, cerco di guardarti provando a voler bene a tutte le tue sfumature fino a quando te lo dico. 

E’ stato parecchio difficile prima, vero amore? Capita a volte di non farcela e ogni tanto ci sentiamo entrambe in trappola. Però insieme ce la facciamo anche stavolta, anche a volerci bene quando proprio non troviamo la via per incontrarci.

In realtà queste parole, come sempre, rimangono quasi tutte nella mia testa e si trasformano nei gesti lenti di cura, negli scherzi, negli abbracci forti e nei tuoi sguardi pieni che mi ancorano a noi.

In auto ridi sentendomi cantare e, per mia fortuna, le tue risate si rivelano ancora  una volta una magica cura per le mie ferite.

Tutto il resto, rimane lì, ben custodito insieme al mio battito.

Eredità che cura

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Ragazza seduta (con la mano sul cuore), 1938 Casorati Felice

di Irene Auletta

Era da parecchio tempo che non vedevi in nonni e, vista la particolarità dell’incontro, interpreto le tue reazioni un po’ sopra le righe come una comunicazione di emozioni arcobaleno. 

Vuoi stare e vuoi andare, mi tiri e mi spingi, ridi e ti innervosisci. Dopo poco mi fermo un attimo. Va bene Luna ho capito che qualcosa ti sta creando qualche difficoltà, ma cosa?

E allora iniziano i miei primi timidi tentativi di capire fino a quando, spostandoci dal gruppo degli altri presenti, ci riprovo guardandoti forte negli occhi. Ma senti amore, sei agitata perchè vedi la nonna così? Rimani ancorata alla domanda e con lo sguardo serio, dopo qualche secondo, rispondi con il tuo cenno di assenso. E io, finalmente capisco.

Quasi come per magia, dopo questo scambio, pian piano ritrovi quiete e serenità e mi accorgo, ancora una volta, della difficoltà a riconoscere la forza di quello che ti raggiunge e attraversa, insieme al tentativo di condividerlo spesso frustrato.

Hai ragione tesoro, penso prendendo anch’io contatto con il cuore pesante che ha accompagnato anche me durante l’incontro, tra le mille cose che ti rendono così unica, per te è proprio impossibile mentire o celare con un comportamento di circostanza quello che ci addolora o disorienta.

Ancora una volta, provando a capirti e a consolarti, mi hai aiutato a gettare luce su qualcosa che a volte, per non soffrire, viviamo frettolosamente. Rimaniamo un attimo vicine, con le mani sul cuore dell’altra, provando a raccontarci in silenzio di quelle onde che le parole non posso spiegare.

Per te, che vivi radicata nel presente, il ricordo sembra svanire facilmente, o almeno, solo questo ci è dato capire degli insondabili processi della tua mente.  Così ti godi felice il resto della giornata all’aperto, facendo quello che più ti piace, tra sole, vicinanze del cuore e leggerezza.

Solo a fine giornata, quando tutto tace e la notte ha coperto gli ultimi spiragli di luce, ripenso a quello starti accanto che spesso mi fa sentire tutta l’ambivalenza dell’esperienza in un labirinto. Lo smarrimento dei falsi riflessi e le delusioni delle vie impossibili unite alla sorpresa per le scoperte inattese e la bellezza della luce che indica chiara la via d’uscita.

Oggi e sempre mi rimane in bocca un gusto dolceamaro e scivolo nel sonno con le parole che mia madre, prima di perdersi nel tempo, mi ha lasciato come preziosa eredità.

La cura è difficile e faticosa, fatti aiutare dall’amore.

Padri

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di Irene Auletta

Uomo difficile mio padre, figlio di quella generazione che chiedeva una durezza forse per lui neppure facile da tenere e che, come figlia, sto riscoprendo ora con tutta la sua ambivalenza.

Ora, che riesce sempre meno a definire rotte, impartire direzioni e stare al comando, sembra smarrito e senza parole. Lui che di parole ne ha spese sempre poche a dispetto del suo sguardo tanto espressivo.

Da giovane, pur amandolo, speravo di non assomigliargli in quasi nulla e con il passare degli anni mi sono dovuta misurare tante volte con quelle sue parti aspre, a tratti assai severe, che mi ha lasciato in eredità.

Ora, vicino ai novant’anni fatica a dirsi anziano anche se gli occhi e la postura sono sempre di più quelli di un gigante stanco. Così lo vedo quando riesco ad andare oltre quella corazza che, ancora oggi, non rende semplice il nostro incontro e che patisce l’assenza dello sguardo amorevole e di mediazione costante di mia madre. 

Con lei è sempre stato tutto più facile e oggi, che mi riconosco così simile, ne sento tutta la presenza e la potenza nonostante abiti sempre di più in mondi paralleli. Se tutti mi volessero bene come la mia Irene! Me lo dici ogni volta che ci vediamo, a volte con tanta distrazione nello sguardo, quasi io non fossi lì vicina. E io, non faccio altro che dirti che ci puoi contare eccome, sul mio immenso bene. Sempre.

Guarda che anche tu non sei più una ragazzina mi ha detto ieri mio padre mentre, forse per la prima volta, mi parlava della sua possibile morte. Cosa intendi papà? Alzando le spalle mi ha detto che bisogna imparare ad arrendersi e che lui non ne e’ mai stato capace. Silenzio, per il resto del viaggio mentre guido verso la nostra meta.

Arrendersi. La parola mi rimane nella mente e stamane mi risveglia con tutti gli interrogativi del caso. 

Vorrei raccontarti papà di quanto mi impegno ogni giorno in questa direzione e di come solo stare nel fluire delle cose, senza resistergli continuamente, rende possibile l’incontro con quanto la vita mi chiede di affrontare. Sicuramente c’è ancora tanto da perfezionare ma, se ti assomiglio anche nella longevità, potrei migliorare ancora parecchio. 

La prossima volta magari riesco a dirtelo. 

Magari, chissà.

Amori orgogliosi

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di Irene Auletta

Qualche giorno fa tuo padre mi ha raccontato di un vostro recente scambio in cui ti ha parlato del suo orgoglio per te. Vi immagino vicini, intimi, profili uguali nelle vostre differenze abissali e mi arriva un’ondata di emozioni. Saremmo stati capaci di provare tanto orgoglio e di esprimertelo se tu non fossi stata tu? Domande mute con risposte impossibili.

Il racconto mi torna in mente oggi mentre io e tuo padre ti osserviamo in acqua, in un momento di valutazione del tuo percorso TMA (terapia multisistemica in acqua). Nonostante questo sia un nostro appuntamento settimanale, durante gli incontri riesco a vederti poco, sia perché spesso la mia presenza ti distrae, sia perché farti vivere momenti in assenza del mio sguardo mi sembra una gran bella libertà. 

Ma oggi è un giorno speciale e anche le tue reazioni in nostra presenza sono un oggetto di valutazione. Come sempre in acqua ti muovi con estrema disinvoltura, diventi leggera e le tue rigidità di movimento sembrano scomparire. Ridi, ti concentri, ti impegni e mostri una fiducia totale nell’istruttrice che da quasi tre anni ti sta accompagnando in questa avventura. Appena puoi ci cerchi con lo sguardo e io mi accorgo di trattenere il respiro mentre ti osservo in alcuni passaggi in cui ti ritrovo la mia figlia coraggiosa. 

Durante la restituzione la supervisora sottolinea, con positiva delicatezza, lo scarto tra le tue possibilità, gli innegabili limiti e la tua tenacia, unita alla voglia di provare e sperimentare. Ogni volta che penso a quanto la vita e’ stata con te avara e a come tu riesci a trasformare ogni occasione in possibilità, sento un pizzico forte al cuore unito a quel moto di orgoglio che non smettiamo mai di dirti e farti sentire. 

Le fatiche immense di tutti i passaggi, compresi quelle che precedono esperienze in cui poi ti butti a capofitto e che ti piacciono molto, in quell’attimo sembrano svanire e io mi riempio gli occhi di tutta la bellezza che fra poco ti sussurrerò nel nostro abbraccio d’amore orgoglioso.

Venticinque

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di Irene Auletta

Quest’anno per il tuo compleanno, pensando alle parole e ai pensieri che mi piace dedicarti da anni, ho scelto di farmi guidare dalle domande che pongo spesso ai genitori che incontro nel mio lavoro e di fartene dono.

Da parecchio tempo infatti, sentendo i ruoli genitoriali sovente schiacciati dalla quotidianità, mi piace chiedere di raccontarmi caratteristiche belle dei loro figli, esperienze divertenti degli ultimi periodi, qualcosa che li ha riempiti di orgoglio, insomma, una raccolta da destinare a quel contenitore virtuale che tante volte nominiamo per non perdere di vista la bellezza.

Direi che l’esercizio può diventare ancora più interessante e arricchente quando, per molti e differenti motivi, si attraversano momenti di fatica o di difficoltà.

Allora inizio!

Tra le tue più belle caratteristiche non posso non citare il tuo sorriso, che appare sempre pieno di quella tenerezza al profumo di stupore che, quando sfocia nella risata canterina, diventa talmente contagioso da regalare felicità.

Mi piace molto anche il tuo sguardo serio e quella forza che non demorde nel tentativo di esprimere sempre e appena possibile la volontà, con tanta pazienza per l’ignoranza del mondo che ti circonda, spesso talmente attaccato ai propri codici comunicativi da apparire totalmente sordo ai tuoi richiami. 

La tua tenacia mi piace, mi affatica, mi diverte, mi addolora, mi dispera e mi riempie di orgoglio. Avete presente quando si parla di concetti polisemici, cioè portatori di diversi significati?

E che dire della tua allegria che mi restituisce ogni volta il mio più grande successo educativo? Forse allegra lo saresti stata comunque di tuo ma mi racconto che c’è tanto di quello che non ho mai smesso di trasmetterti come modalità per stare al mondo e per sostenere i tanti fardelli del tuo zaino di vita. La tua allegria mi arriva spesso come gli zampilli di quelle fontane che, rinfrescandoti, ti strappano un momento di piacere e di respiro ampio.

L’orgoglio di madre mi ricorda una calda mantella che raccoglie tutto come in un abbraccio che assomiglia tanto a quelli che mi insegni ogni giorno e che, nel tempo, sono diventati tra le più intense comunicazioni del nostro amore. Hai avuto pazienza con me, venendomi a prendere in quella zona di gelo dove mi ero rintanata per sopportare il dolore e sei stata grande, anzi grandiosa, nel riportarmi alla luce.

E poi mi divertono tantissimo quei tuoi gesti che amplifichi sapendo che mi fai sorridere. Quando strizzi gli occhi facendo una faccia buffa, quando sembri sfottermi di fronte al mio insistere di farmi capire facendo si o no con la testa, quando tu stessa sembri stupirti di qualcosa che si avvicina tantissimo ad uno scherzo. Il limite è sempre lo scarto che può esserci tra la tua reale intenzione e la mia interpretazione ma gli anni ci hanno insegnato a riderne quando ti dico, sai cosa c’è? ma chissenefrega se non era proprio così, se ci stiamo divertendo!

E così siamo arrivati a venticinque e la figlia che sei si è accomodata in tutta la nostra scena familiare, senza lasciare più alcuna traccia di quello che avrebbe potuto essere. Il mio desiderio sei tu, perchè ora lo so davvero bene, nel cuore e nella mente, che non sei tu, ma sono io, a non essere spesso alla tua altezza.

Auguri figlia meraviglia!

Eredità luccicose

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di Irene Auletta

Entro in ascensore e riflessa nello specchio incrocio una signora bionda con gli occhi di mia madre. Anche mamma ha avuto i capelli biondi per molti anni, sino a quando una grave malattia l’ha costretta ad arrendersi al bianco.

Ed eccomi li, colta in quel particolare che ho fuggito per anni. Non avrei mai voluto avere quegli occhi che, lontani da sguardi indiscreti, mostravano sempre un filo di malinconia e sovente apparivano persi in chissà quale pensiero o preoccupazione del momento. Quegli stessi occhi però, brillavano quando scoppiavi in una delle tue risate che ai miei occhi ti rendevano bellissima. Ogni tanto, tra le tante ombre della tua vita al tramonto, mi sembra di scorgerne ancora piccole ma tenaci tracce. 

Le nostre due vite e storie di madri si sono intrecciate su tante esperienze comuni e allora, guardandomi allo specchio, quasi te lo vorrei dire ad alta voce. Eccoci qua mamma, ci ritroviamo anche in questo scambio di sguardi e, per mia fortuna, hai saputo insegnarmi tanta bellezza e il frizzante gusto per l’allegria.

Chissà tu, figlia mia, cosa vedi quando mi guardi e quanto riesco a far prevalere le luci che brillano tenendomi tutto il resto nel mio giardino?

Domande mute le mie, come le tue risposte impossibili. Però, mentre ti guardo, il bello che spero di regalarti ogni giorno lo vedo proprio lì, riflesso nei tuoi occhi puri, incapaci di fingere o di mentire. 

E’ in quel momento che lo penso. Ce l’abbiamo fatta mamma. La vita ci ha fatto e continua a farci parecchi sgambetti ma noi, forse proprio per questo, abbiamo scoperto che il bello di imparare a brillare è condividere quella luce con chi più amiamo.

Il resto, per dirla con Ebenezer Scrooge*, tutte fandonie!

*personaggio principale del racconto Canto di Natale, scritto da Charles Dickens nel 1843.

Medicamenti al profumo di un sorriso

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Al Museo delle Illusioni

di Irene Auletta

Ieri sera, richiamata dal pianto di un neonato, mi sono persa ad osservare una scena che si svolgeva sul terrazzino di fronte alla mia finestra.

La mamma sta cercando di allattare un bambino che mi pare avere pochi giorni di vita e mentre lui si stacca e piange forte, come solo i neonati riescono a fare,  intorno a lei si muove una piccola di circa due anni intenta a giocare con un carrellino e con le sue bambole.

Quel pianto mi ricorda un altro pianto, il tuo, che da subito mi è parso strano, inconsolabile, difficile da contenere e accogliere. Poi all’età di tre mesi è improvvisamente scomparso e da lì, è proseguita la nostra avventura. Ogni volta che provavo a raccontarlo ai diversi specialisti mi sentivo addosso uno sguardo scettico che pian piano mi ha fatto smettere di dirlo. Ma non di sentirlo e pensarlo.

Quel pianto mi è rimasto nella carne e stasera mi permetto di accoglierlo e cullarlo come ho fatto con te per tanti, tanti anni e come, ancora oggi, soprattutto quando non stai bene, sembri chiedermi con quel tuo modo di rifugiarti tra le mie braccia.

Di strada ne abbiamo fatta parecchia e ad ogni passo, con le tante sbucciature, ho provato a trattenere quello che stava accadendo per provare a imparare qualcosa per il passo successivo. Condividerlo con altri genitori e operatori, seppur quasi sempre non in modo esplicito, ha reso possibile una tessitura preziosa che tra poco si avvicinerà ai venticinque anni.

Ma tu guarda cosa può scatenare un pianto!

Te lo racconto stamane mentre ci stiamo preparando per il consueto appuntamento con il pulmino, ma te lo racconto nel nostro modo. Poche parole e la fiducia nella forza di quel filo che ci lega, quasi a creare piccoli ponti tra le nostri menti e, soprattutto, tra i nostri cuori.

Buona giornata figlia. Oggi mi rimane impresso quel sorriso che mi dedichi  sempre e che negli anni, sempre di più, si è trasformato in un medicamento al profumo di Luna.

Quanto di più simile a un bacio

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di Irene Auletta

Non mi piace parlare di fortune o sfortune perché sono categorie a me distanti, ma di certo la vita a fianco di una persona con una disabilità come la tua, definita gravissima (anche questa categoria poi mi lascia abbastanza tiepida!), attiva i sensi e permette di guardare la vita da particolari prospettive.

Stamane mi ha profondamente toccato il post dell’amica Fiorella che si rivolge ad un’ipotetica coetanea in condizioni di vita evidentemente differenti dalla sua e cioè lontana da quelle pressioni di cura che fanno parte in modo imprescindibile della nostra vita.

Chi di noi, non più giovanissima (ma non solo!), non si misura in modo forte con i timori e i tremori rivolti al futuro? Cosa farcene di tante preoccupazioni che a volte stringono il cuore fino a togliergli il respiro?

Ognuno di noi, madre o padre, ricorre alle sue strategie, come il sorriso malinconico di cui parla Fiorella e che mi pare di riconoscere anche per affinità e vicinanze che ci legano.

A me piace costruirmi possibilità e cercarne piccoli bagliori di luce in ogni pertugio. Di fronte al tuo silenzio cerco la musica dei suoni assenti oppure di quelli che gioco a riprendere nella nostra intima melodia e, di fronte ai tuoi gesti, invento nuovi vocabolari di senso che tante volte forse servono più a me che a te. Di certo nutrono la nostra relazione d’amore.

E così in questi giorni torna, ma in modo più delicato e gentile, quello schioccare di labbra che ripeti in alcune particolari occasioni. A volte ti ritrovi vicino alla mia guancia e mi arriva con una bella intensità proprio quello. Quanto di più vicino a un bacio.

Le genitorialità come la mia, senza volerne negare la complessità, possono avere una marcia in più perché, potendo dare pochissimo “per scontato” e raccogliendo piccoli semi di quanto in condizioni differenti forse neppure si percepisce, affinano i sensi e il gusto di ciò che accade.

E allora, proprio quel bacio che sa di ricerca, di scoperta, di gioco e di sorpresa, e’ quello che ogni giorno mi spinge a cercare conforto nelle nostre speciali meraviglie.

Oggi questo bacio, Fiorella, lo dedico a te e a quel noi vicino al mio cuore, che sa di essere proprio .

Vacanzando

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Scatto di una mattina rubata

di Irene Auletta

Che Dio la benedica, la trovo proprio bene! ci tiene a dirmi, rivolgendosi a te, una signora che ritroviamo da anni nella stessa spiaggia. Mi distoglie dai pensieri per un attimo proprio quando, dopo l’ennesimo e ripetuto minuetto delle nostre giornate mi chiedo cosa penserà chi ci osserva.

Non vuoi scendere dal gradino verso la spiaggia, non vuoi arrivare all’ombrellone, ti dirigi sempre nella direzione contraria alla nostra meta, ti impunti “alla Luna” diventando una cosa sola con la terra, non vuoi entrare in acqua, non vuoi uscire dall’acqua, non vuoi fare passeggiate a riva, non vuoi smettere di farle, e via di questo passo in un elenco che solo a pensarlo sono già cotta.

Ci sono cose che voi umani …. Quanto mi piace questa citazione!

Lei poi, continua la signora, e’ una mamma troppo brava, meglio di una psicologa! Qui trattengo una risata che la signora non capirebbe e potrebbe fraintendere. No mi risparmi signora, vorrei dirle, ma sorrido come gli anni mi hanno insegnato a perfezionare, quasi ad arte.

In fondo liquidando alcuni comportamenti con la banalissima definizione di “oppositiva” si sposta completamente lo sguardo da quella complessità che ti imprigiona tra il desiderio di voler esprimere la tua volontà e la tua assoluta incapacità di farlo.

E’ questo quel dolore sottile che, oltre qualsiasi competenza professionale, rimane sempre lì, in quell’angolo segreto diventando ciò che mi sostiene e attivando la mia comprensione di madre anche quanto l’asticella dell’esasperazione raggiunge livelli di allarme rosso. 

La signora Vanda, immancabile incontro di ogni estate, sembra non poter fare a meno di collegare le nostre storie di madri, condividendo sempre la sua commozione per la perdita di suo figlio, ormai molti anni fa. A noi che ci hanno spezzato il cuore non ci può fare più paura niente, vero tesoro? mi dice con affetto.

Mi cullo nei suoi oggi malinconici e nostalgici e trovo lì una rinnovata forza a volte difficile da acciuffare.

Le nostre vacanze assumono sempre una veste atipica, come del resto lo è la nostra vita, e trovarci un senso quieto, di serenità e bellezza, è una scommessa sempre aperta.

Al nostro rientro a casa le immagini scattate riescono ad alleggerire le tante fatiche che ci hanno accompagnato e allora le trattengo forti nel cuore, per resistere alle tempeste e non dimenticare mai che ogni alba può riservare sorprese.

Ciò che brilla

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di Irene Auletta

Ci sono giorni in cui la cura si presenta con una veste leggera, come un velo trasparente mosso da un vento quieto. Altri in cui è semplicemente un macigno.

Parlo spesso dell’ambivalenza della cura ma credo che alcune mie riflessioni possano raggiungere con maggiore forza proprio chi, come me, da anni vive in compagnia di quelle cure ricorsive che, destinate a un nostro caro, non ci lasciano mai. 

Per questo motivo ho sempre rifiutato con decisione quell’aggettivo “speciale” che, nei giorni più bui, mi restituisce una sottile presa per i fondelli che trovo insopportabile. Avete presente cosa intendo giusto? Le madri speciali, i figli speciali … Insomma, quelle cose lì!  Io passo, grazie per il pensiero.

Eppure, proprio questa responsabilità che non mi lascia mai, mi spinge a interrogare le fragilità e fatiche dominanti che ormai sembrano circondarci, ovunque volgiamo lo sguardo. Ma cosa sta succedendo? Tutti sempre più affaticati, di corsa, senza energie, quasi schiacciati dalla vita anche quando immagino scenari che potrebbero aprire le porte a ciò che ogni giorno è possibile gustarsi.

In questi giorni, riflettendo sulle mie stesse domande e leggendo le parole di Simone Weil, filosofa, mistica e scrittrice francese, rimango colpita ancora una volta dalle sue riflessioni intorno al tema della sventura individuale e collettiva. Secondo alcuni autori la traduzione italiana di sventura non rende a pieno il denso significato della parola malheur che trattiene a fianco della disgrazia e del guaio anche uno spazio per la scoperta di uno stato d’animo (quasi) romantico.

Non so se questa sorta di retrogusto romantico è quello che ho imparato e continuo a imparare da anni al fianco di mia figlia, ma provo un profondo dispiacere nel vedere tante occasioni non viste o sprecate e penso che ancora una volta la fortuna forse splende proprio laddove un attimo prima brillavano lacrime.

Giorni a casa, dove il Covid ha fermato anche noi, finora scampati al contagio. E’ una gara a chi cura chi e a volte lo sconforto delle forze deboli rischia di farmi perdere il sorriso e quell’energia che non smetti mai di infondermi. Dover curare quando si avrebbe bisogno di essere curati è una dura prova che inevitabilmente fa profilare all’orizzonte scenari di paura.

E così stanotte, (già … perchè in tutto questo il peggioramento del disturbo del sonno e delle crisi non potevano mancare!), ci ritroviamo in quel nostro stare insieme che riempie il silenzio delle nostre narrazioni mute. Mi abbracci più volte e  quel comportamento mi arriva quasi come una sorta di rassicurazione. Con le parole e con la mente ti dico di questi giorni un po’ difficili che ora forse stanno già passando.

Con quello sguardo intenso, maturo e profondo che ti fa Luna, allunghi una mano e posi sulla mia guancia un gesto assai simile ad una carezza gentile e delicatissima.

Questo mi insegnai ogni giorno. Che la fortuna, la bellezza, la speranza, non sono quasi mai dove andiamo cercandole ma , al nostro fianco.

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