di Irene Auletta
Ieri sera, richiamata dal pianto di un neonato, mi sono persa ad osservare una scena che si svolgeva sul terrazzino di fronte alla mia finestra.
La mamma sta cercando di allattare un bambino che mi pare avere pochi giorni di vita e mentre lui si stacca e piange forte, come solo i neonati riescono a fare, intorno a lei si muove una piccola di circa due anni intenta a giocare con un carrellino e con le sue bambole.
Quel pianto mi ricorda un altro pianto, il tuo, che da subito mi è parso strano, inconsolabile, difficile da contenere e accogliere. Poi all’età di tre mesi è improvvisamente scomparso e da lì, è proseguita la nostra avventura. Ogni volta che provavo a raccontarlo ai diversi specialisti mi sentivo addosso uno sguardo scettico che pian piano mi ha fatto smettere di dirlo. Ma non di sentirlo e pensarlo.
Quel pianto mi è rimasto nella carne e stasera mi permetto di accoglierlo e cullarlo come ho fatto con te per tanti, tanti anni e come, ancora oggi, soprattutto quando non stai bene, sembri chiedermi con quel tuo modo di rifugiarti tra le mie braccia.
Di strada ne abbiamo fatta parecchia e ad ogni passo, con le tante sbucciature, ho provato a trattenere quello che stava accadendo per provare a imparare qualcosa per il passo successivo. Condividerlo con altri genitori e operatori, seppur quasi sempre non in modo esplicito, ha reso possibile una tessitura preziosa che tra poco si avvicinerà ai venticinque anni.
Ma tu guarda cosa può scatenare un pianto!
Te lo racconto stamane mentre ci stiamo preparando per il consueto appuntamento con il pulmino, ma te lo racconto nel nostro modo. Poche parole e la fiducia nella forza di quel filo che ci lega, quasi a creare piccoli ponti tra le nostri menti e, soprattutto, tra i nostri cuori.
Buona giornata figlia. Oggi mi rimane impresso quel sorriso che mi dedichi sempre e che negli anni, sempre di più, si è trasformato in un medicamento al profumo di Luna.
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