Giovinezza matura

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giovinezza maturadi Irene Auletta

La vecchiaia non corrisponde alla maturità del corpo ma la anticipa attraverso posture stereotipate, movimenti che pian piano vengono esclusi, consolidamento di posture rigide. 

Così Angela, la nostra insegnante Feldenkrais, apre la lezione della sera, mentre invita il gruppo dei presenti ad ascoltare il proprio corpo sdraiato a terra.

Interessanti riflessioni soprattutto se collocate in questo momento storico che vieta l’invecchiamento ricorrendo ad una serie di strategie assai discutibili, senza curarsi affatto della dimensione della cura e dell’atteggiamento amorevole verso se stessi.  Il  corpo pare così sovente associato ad un oggetto da manutenzionare rispetto alle possibili crepe della superficie, ignorandone totalmente la sua completezza e l’intreccio meraviglioso con la mente e con l’anima di ciascuno.

La lezione ci porta a ripercorrere movimenti appresi e sperimentati durante l’infanzia con l’intento di sentire le possibilità da esplorare e, possibilmente, di recuperare insieme all’apprendimento rinnovato, leggerezza e divertimento.

Angela continua dicendo che il cambiamento della postura e dei movimenti, coinvolge anche il nostro umore, il nostro sentire e il nostro atteggiamento nei confronti del mondo.

Penso ad un bambino incontrato di recente, alle sue posture rigide, alla mascella serrata e alla voce stridula. Un dolore bloccato in un piccolo corpo che non riesce a tradire la postura e un residuo di brillio negli occhi. Penso alle persone sempre stanche, affaticate, malinconiche, afflitte dalla vita.

Quando, parecchi anni fa, ho iniziato a lavorare sul corpo, ho ingaggiato una sfida con me stessa e con tutte le resistenze inculcate da una cultura che ci vuole a segmenti separati e banalizzati. Ritrovare un armonia sconosciuta, ha spalancato porte inattese che ancora oggi attraverso con atteggiamento euristico, proprio come fanno i bambini quando provano e riprovano, senza stancarsi mai e, soprattutto, divertendosi.

Forse, se come adulti ci riprendiamo alcuni piaceri, saremo più in grado di insegnarli a bambini ed adulti perchè imparare può essere molto divertente, ma tanti di noi lo hanno completamente dimenticato.

Osservo mia figlia mentre compie le sue imprese o quelle che a casa chiamiamo con molto amore “acrobazie”. Sono piccoli movimenti ed esperienze che gran parte dei genitori ignorano considerandoli di poca importanza o comunque smarrendoli nelle competenze superiori. La sua gioia per un risultato raggiunto e per il nuovo apprendimento, fa sempre la differenza e, senza alcun metro di valutazione, ogni giorno mi guida verso la direzione da seguire per nutrire, insieme alla giovinezza del corpo, quella dell’anima, che più sa brillare.

Bellezze morbide

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bellezze morbidedi Irene Auletta

Ogni tanto ti osservo  e mi stupisco di come un corpo come il tuo, che ogni giorno deve affrontare mille prove di equilibrismo per muoversi, possa assumere posture così morbide e femminili.

Ieri sera durante la lezione Feldenkrais, che anche tu fai da anni sempre con la stessa insegnante, ho sperimentato ancora una volta la possibilità di movimenti morbidi, rotondi, flessuosi. Ti ho pensata …. sicuramente hai imparato anche da lì.

Da quando abbiamo sostituito quella morbidità con la tensione che sovente accompagna i nostri gesti, il nostro modo di stare e muoversi nel mondo e nelle relazioni?

Penso al modo di camminare che sperimento dopo ogni lezione e mi accorgo di quanto centri poco con le icone che molte di noi hanno interiorizzato come immagini di femminile. Penso anche a come i movimenti del nostro corpo , quando sono rigidi, un po’ a scatti, tesi, riflettono il nostro modo di parlare e di stare nell’incontro con noi stessi e con gli altri.

Non a caso, al termine delle lezioni anche il tono di voce cambia e svaniscono quei toni acuti, a volte aspri, che ogni tanto sentiamo e agiamo nelle nostre comunicazioni verbali. Che belle parole ho sentito stasera, ha commentato una nuova compagna di viaggio.

Angela, l’insegnante Feldenkrais, ti ha insegnato a far uscire la voce anche senza la forma delle parole e dopo ogni seduta, sento che anche tu ne raccogli i benefici regalandoci nuovi toni e sfumature.

Il corpo cresce, si muove e impara anche in presenza di qualche disabilita’ e la sfida, anche stasera, mi pare la ricerca continua della bellezza da insegnarti. In barba a tutti gli immaginari tu per me, figlia mia, sei la prova di cio’ che e’ possibile.

Gesti gentili

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gesti gentilidi Irene Auletta

Dopo diverse settimane sono tornata alle mie lezioni Feldenkrais. Impegni di lavoro mi hanno portato altrove ma davvero ne ho sentito tanto la mancanza. Il mio corpo è arrivato all’incontro bisognoso di cure e ancora una volta, mi ha ricordato l’importanza di dedicarsi tempo, ascolto e attenzione a contrasto di stili di vita che sovente travolgono.

Stasera in particolare mi colpiscono due cose. Angela, la nostra insegnante, ci invita a fare un movimento chiedendoci di farlo sempre più velocemente ma non in modo frettoloso. Ce lo ripete diverse volte a sottolineare la preziosità e il senso importante di quell’indicazione. Se ci si muove con fretta non si sente mentre la velocità permette un apprendimento nuovo. Non è la prima volte che emerge un contenuto analogo e ogni volta mi raggiunge in modo profondo. Mi sembra bella questa distinzione tra fretta e velocità perchè mi pare spinga ad un ascolto intenso che ho voglia di approfondire. Lo colgo come un suggerimento per la vita e per tutte quelle situazioni in cui non si può essere lenti.

Mentre il lavoro prosegue l’insegnante ci propone di fare un movimento e ci chiede di farlo gentilmente. L’invito a essere gentili verso se stessi mi colpisce sempre molto e mi fa pensare a quante poche volte accade realmente. In fondo se essere gentili è un modo di stare al mondo, farlo passare da sè mi pare un ottimo modo per rivolgerlo anche agli altri e alle nostre relazioni.

La gentilezza, da vocabolario, definisce chi ha o denota delicatezza di sentimenti e modi garbati. Detta così mi aiuta a rinnovare il significato di quel “volersi bene” che spesso mi pare più una moda che un senso condiviso. 

Intrecciare il modo garbato con il sentimento mi fa pensare al rispetto, verso di sè e verso gli altri a cui ci rivolgiamo. In tante relazioni che incrociamo ogni giorno, la strada da percorrere è ancora assai lunga.

Stasera mi voglio prendere cura di me con molta gentilezza per poterlo poi fare anche nei confronti delle persone che più mi sono vicine. Forse essere gentili può assomigliare al sasso che gettato nello stagno disegna tanti cerchi a memoria del gesto del lancio.

Penso alle persone che come me sono chiamate ogni giorno a gesti di cura che si ripetono da anni e che coinvolgono il corpo e l’anima dei propri cari. Penso a quante volte la fatica, il dolore fisico e dello spirito, possono spingere ad essere frettolosi e non veloci, bruschi e non gentili.

Ancora una volta mi porto via un’esperienza del corpo che rinforza pensieri e la convinzione che per prendersi cura è necessario curarsi. Se, come Angela insegna, si riesce a farlo gentilmente si sfiora la perfezione.

 

Spalle per volare

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spalle per volare 1di Irene Auletta

Succede così ogni volta. Arrivo alla lezione Feldenkrais, pronta alla sorpresa del viaggio che ci aspetta e a farmi accompagnare nella nuova scoperta da Angela, la nostra insegnante. La proposta della serata riguarda un lavoro sulle spalle e io la ringrazio mentalmente per la scelta, consapevole di trascinarmi da qualche giorno un peso e un dolore ad una spalla in particolare.

E’ fin troppo ricorrente l’immagine dei corpi reclinati per il peso degli eventi e di certo ciascuno potrebbe provare a dare un nome alle fatiche che sente di portarsi proprio sulle spalle, all’interno di un’invisibile ma pesante gerla esistenziale.

Avete in mente cosa portano le nostre spalle? Stasera proveremo proprio a dedicarci più attenzione.

Il lavoro ci aiuta a riprendere contatto con noi stessi e consapevolezza del nostro corpo per terra e nello spazio. I movimenti sono sempre delicati e tanto più profondi quanto lenti.

Mi piace l’invito a riconoscere la direzione dello sguardo che, anche ad occhi chiusi, segue sempre una sua traiettoria. Le spalle pesanti sono sovente accompagnate dagli occhi che guardano a terra o comunque verso il basso. Un senso di chiusura, di protezione, di isolamento che, quasi inconsapevolmente, si finisce con lo scegliere in tanti momenti della vita. Come non pensare ai nostri stati d’animo più faticosi e a quelli che incrociamo, immaginando di fotografare corpi che si spostano a fatica, pesanti e poco disponibili all’incontro.

Penso alla donna alata di Notti al circo e alla ricerca di una leggerezza possibile. L’ho citata proprio qualche giorno fa durante una supervisione proponendo al gruppo di operatori un cambio di prospettiva e una differente direzione dello sguardo.

Alla fine della lezione le braccia sono molto più presenti e le mie spalle decisamente meno doloranti.

Come si fa a sopportare questa fatica? Ma tu come fai?

L’immagine riflessa dalle vetrine a volte è impietosa e allora ci vuole proprio un atto di volontà. Stasera le spalle possono fare di meglio.

Per un momento, basta essere schiacciate dai pesi. Il vento fa uno strano effetto. Le spalle posso essere più libere e insieme all’armonia del movimento delle braccia, mi fanno pensare al volo.

Da qui la prospettiva è un po’ diversa. Respiro.

Nuovi acrobati

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nuovi acrobatidi Irene Auletta

Ieri giornata faticosa. Tante le ombre lasciate dalle giornate elettorali trascorse e dai pensieri che si affastellano alla ricerca di un senso, rispetto a quanto accade nel nostro paese e alla sensazione di trovarsi di fronte ad un corpo terrestre che rantola.

Nel frattempo, le vicende degli individui, proseguono per le loro strade, più o meno toccate da quanto gli accade intorno anche in base al loro personale malessere e alla possibilità di assumersi parte di quello collettivo che, per taluni, è davvero insostenibile.

Mi ritrovo per tutto il giorno a raccogliere malesseri, difficoltà, problemi, paure e quando arrivo alla mia lezione Feldenkrais e mi sdraio, sento il peso del mondo. La lezione è perfetta per il mio stato d’animo e si anticipa come occasione per lavorare sui concetti di equilibrio, stabilità, organizzazione, a partire, come sempre si verifica durante queste lezioni, da quanto accade nei movimenti del corpo, dall’ascolto di quel noi che spesso è talmente frammentato da perdersi pezzi di sè in giro per la propria esistenza.

I movimenti guidati da Angela, la nostra insegnante, sono piccoli, delicati e lei ci invita ogni volta a fare di meno e più lentamente, per assaporare i dettagli e affinare la nostra curiosità esplorativa. Quante volte ce lo devi ripetere Angela! Anche qui si vede la nostra difficoltà a smettere di correre, di anticipare i tempi, di essere già orientati al dopo e sempre più disattenti rispetto a ciò che accade ora.

Ci addentriamo in un percorso di ricerca attraverso un movimento antico, le prove del gattonamento, per sperimentare le capacità del nostro corpo di trovare nuovi modi per organizzarsi, per imparare dagli errori e per ricercare il gusto della scoperta e di un nuovo apprendimento.

L’insegnante sottolinea che perdere l’equilibrio è il solo modo per trovare la stabilità, altrimenti si diventa rigidi e incapaci di imparare.

Sono giorni in cui forse per tutti è necessario immaginarsi a camminare in equilibrio su un filo, protagonisti di un circo esistenziale che non fa ridere nessuno e che, al contrario, ha un forte retrogusto amaro.

Proseguiamo la lezione, provando e sperimentando con Angela che ci invita ad osare e a rischiare come condizione per continuare ad imparare.

Cosa avete scoperto questa sera?

Io, che non mollo.

 

Imparare comodamente

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comodamentedi Irene Auletta

Prima lezione Feldenkrais dopo la pausa delle vacanze natalizie.

Angela, la nostra insegnante, ci introduce alla lezione della serata attraverso l’invito a trovare una posizione comoda per iniziare il lavoro. Ci raccomanda di cercarla con attenzione, ognuno quella giusta per sè, finalizzata a creare una situazione ideale per migliorare l’ascolto, potenziare le possibilità di apprendimento e cogliere al massimo le opportunità di conoscenza e cambiamento del corpo.

Rimango ogni volta colpita dalle analogie tra quello che accade in questo spazio e quello che riguarda i luoghi dell’incontro educativo, nei vari servizi e nelle aule scolastiche. Quante volte mi è capitato di sentire insegnanti o educatori che volgessero ai loro interlocutori una raccomandazione simile e quante volte io stessa ho pensato di farla ai destinatari delle mie prestazioni professionali?

L’invito a mettersi comodi è già un modo per dare importanza a quello che ci si accinge a fare insieme, per prendersi il tempo necessario a non pensarsi sempre di premura e già proiettati verso la cosa successiva da rincorrere. Ma, ciò che trovo davvero importante e potente, è l’idea di creare un filo magico di incontro e dialogo tra l’idea di comodità e quella di apprendimento.

Pensate che effetto può fare immaginare di rivolgere lo stesso invito ad una classe, ad un gruppo di operatori in un contesto di formazione professionale o  ad un’equipe durante una supervisione.

In questo tempo che rischia di sommergerci con i vari disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione, della capacità di leggere, scrivere e far di conto, sento il bisogno di nuovi sguardi e di nuove ventate interpretative. Che sia questa una nuova strada percorribile?

Spesso per prendermi in giro, nella mia famiglia, mi definiscono come quella sempre contro il “deboscia” e lo “sbracamento” a oltranza, insomma una fanatica dell’efficientismo.

Oggi vi frego tutti e inneggio alla comodità e al tempo per accomodarsi, per pensare, pensarsi ed imparare.

Per prima cosa, mettetevi comodi.

Fermarsi di corsa

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di Irene Auletta

L’appuntamento del martedì sera con le mie lezioni Feldenkrais è diventato un rito insostituibile che ogni volta mi permette di raccogliere nuove perle di saggezza.

Aprendo l’incontro della serata Angela, la nostra straordinaria insegnante, ci anticipa un lavoro che coinvolgerà in particolar modo le spalle, la cassa toracica e le sconosciute costole che, non ci crederete, si muovono!

Come accade sovente, anche durante questa lezione, Angela invita ad andare piano, a compiere i movimenti con molta lentezza e ci ricorda che la fretta, favorisce un movimento superficiale e impedisce un ascolto profondo dello stesso e di quanto accade.

Ad un certo punto sottolinea di andare ancora più piano chiedendoci di pensare ad una lentezza particolare, di quelle lentezze che sanno aspettare.

Meraviglioso. Ci avevate mai pensato a qualcosa di anche solo vagamente simile?

Non posso non pensare alle nostre frenesie quotidiane, a come la fretta e la velocità sono diventate oltre che un must sociale, un valore educativo.

I bambini, sin da piccolissimi, sono invitati a correre e ad anticipare il più possibile le tappe. Tutto sempre prima: lo svezzamento, il togliere il pannolino, imparare l’inglese, far  di conto, leggere e, via di questo passo. Peccato che in parallelo assistiamo ogni giorno alla nascita di nuovi fenomeni regressivi, come recita la famosa pubblicità del bambino di circa sette/otto anni che può indossare una fantastica mutandina pannolino per la notte e all’aumento di una serie molto variegata di disturbi dell’apprendimento.

Cosa sta succedendo? Non è che in tutto questo caos la fretta, il non rispetto dei tempi personali e naturali e l’angoscia di arrivare sempre primi, in qualche modo centrano?

La cosa che più mi colpisce è che tutti noi siamo molto consapevoli dell’ondata che ci ha travolti ma fatichiamo a frenare, a rallentare, a prenderci tempo.

Quante volte, figlia mia, ho pensato a te come ad una punizione dantesca, per questa madre a dir poco anfetaminica?

Torno a casa, mi sdraio accanto a te e, come una nuova favola, ti racconto della regina Lentezza, che aveva imparato con tanta fatica ad aspettare e ad andare piano ma, ogni tanto, se lo dimenticava e allora la principessa, sua figlia, la aiutava a ricordarselo.

Indovina un po’ amore, come si chiamava la principessa?

 

Imparare a camminare

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di Irene Auletta

Lezione Feldenkrais di ieri sera.

Angela, l’insegnante, ci accoglie annunciandoci che il tema della lezione riguarderà il camminare e ci anticipa che durante l’incontro andremo a sperimentare i diversi modi per farlo aggiungendo, un po’ sorniona, che solo quando le cose si possono fare almeno in tre modi diversi vuol dire che va bene … ottimo suggerimento per tutti gli amanti dell’assertività e di un punto di vista unico!

La lezione prosegue e i nostri corpi si mettono al lavoro sperimentando, prima goffamente poi in modo sempre più armonico, possibilità diverse per muoversi e per camminare.

Il trucco è di riscoprire l’esistenza del bacino, come dice Angela, il nostro centro e la nostra forza, insieme alla percezione del nostro peso e del suo spostamento sulle gambe.

Non posso fare a meno di pensare a te, che fra qualche giorno compirai quindici anni e che, proprio in questi giorni ti stai cimentando con la bizzarra idea di provare a saltare. Tu, che hai conquistato a fatica la possibilità di camminare, vuoi provare a staccare i piedi da terra? Pazzia allo stato puro.

Vado avanti a provare camminando, muovendo e sentendo parti del corpo fino a quel momento totalmente dormienti chissà dove. La meraviglia di certe scoperte è proprio da provare.

Al termine della lezione Angela, che da tanti anni, quasi da sempre, è anche la tua maestra Feldenkrais, mette una musica samba per concludere in allegria e per non dimenticarsi di … sculettare! Immagino una telecamera nascosta a riprendere questo gruppo di donne nelle varie tappe del lavoro e a registrarne le risate finali.

Forse Angela ti ha insegnato anche questo e forse tu, di tuo, sei proprio fatta così.

Ci provi a saltare e, a tuo modo, un po’ sembri quasi riuscirsi. Ti guardo negli occhi mentre ridi e sei felice. Ti stacchi da terra quasi niente ma io, ti vedo volare.

Noi squilibrate

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di Irene Auletta

Come molte persone che attraversano questa vita e questo momento storico, sovente mi attardo a pensare al senso delle corse, alla frenesia, al tempo che fugge senza controllo e che a volte sembra coglierci più come spettatori disorientati che come protagonisti delle nostre storie.

Poi, accadono cose strane.

L’altra sera, in una delle lezioni Feldenkrais che frequento, l’insegnante ci propone un lavoro, anticipandone le finalità di far sperimentare la ricerca del movimento, la scoperta, la rottura degli schemi e nuovi apprendimenti.

In fondo, accade la stessa cosa in tutti gli incontri e mi pare che questi obiettivi siano proprio alla base del metodo, ma l’altra sera ho colto qualcosa di più.

La lezione ci ha guidate, noi donne presenti al gruppo, a ripercorrere le fasi e i primi tentativi messi in atto dal bambino piccolo per avviare la fase del gattonamento. Credete sia facile? Provate a farlo e vi accorgerete dell’esatto contrario.

Il tutto però, è stato condito da indicazioni orientate a far sperimentare diverse opzioni che, nella finalità del lavoro stesso, hanno permesso di sperimentare la continua perdita dell’equilibrio, l’errore, la caduta e la ripresa.

L’invito che raccolgo sempre in queste lezioni è di ascoltarsi. Come state distese per terra? Ascoltate l’appoggio del vostro corpo. Come vi sentite e com’è il vostro stato d’animo?

Ecco siamo arrivate al punto. Cosa centra lo stato d’animo.

La potenza e la forza di questi percorsi sta proprio nel valore delle connessioni. Nella possibilità di far dialogare l’esperienza del corpo con l’esperienza della persona che quel corpo lo abita, a volte scordandosene un po’.

Imparare attraverso le prove, l’errore e la perdita dell’equilibrio è la nostra esperienza più antica che molte volte, nel presente, è sostituita dal bisogno di essere sempre pronte, capaci e controllate. Alla fine, sempre equilibrate.

Inciampando nei movimenti, sentendo fatiche di gesti non abituali, ascoltando il corpo e lo stato d’animo, ho recuperato il piacere della ricerca e della perdita del controllo.

Perdere l’equilibrio è forse davvero l’unico modo per ritrovarlo ogni volta più forte, più radicato e più consapevole, come direbbe Angela, la mia insegnante.

Sono tornata a casa con molte emozioni e con il piacere di essere squilibrata.

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