L’appuntamento del martedì sera con le mie lezioni Feldenkrais è diventato un rito insostituibile che ogni volta mi permette di raccogliere nuove perle di saggezza.
Aprendo l’incontro della serata Angela, la nostra straordinaria insegnante, ci anticipa un lavoro che coinvolgerà in particolar modo le spalle, la cassa toracica e le sconosciute costole che, non ci crederete, si muovono!
Come accade sovente, anche durante questa lezione, Angela invita ad andare piano, a compiere i movimenti con molta lentezza e ci ricorda che la fretta, favorisce un movimento superficiale e impedisce un ascolto profondo dello stesso e di quanto accade.
Ad un certo punto sottolinea di andare ancora più piano chiedendoci di pensare ad una lentezza particolare, di quelle lentezze che sanno aspettare.
Meraviglioso. Ci avevate mai pensato a qualcosa di anche solo vagamente simile?
Non posso non pensare alle nostre frenesie quotidiane, a come la fretta e la velocità sono diventate oltre che un must sociale, un valore educativo.
I bambini, sin da piccolissimi, sono invitati a correre e ad anticipare il più possibile le tappe. Tutto sempre prima: lo svezzamento, il togliere il pannolino, imparare l’inglese, far di conto, leggere e, via di questo passo. Peccato che in parallelo assistiamo ogni giorno alla nascita di nuovi fenomeni regressivi, come recita la famosa pubblicità del bambino di circa sette/otto anni che può indossare una fantastica mutandina pannolino per la notte e all’aumento di una serie molto variegata di disturbi dell’apprendimento.
Cosa sta succedendo? Non è che in tutto questo caos la fretta, il non rispetto dei tempi personali e naturali e l’angoscia di arrivare sempre primi, in qualche modo centrano?
La cosa che più mi colpisce è che tutti noi siamo molto consapevoli dell’ondata che ci ha travolti ma fatichiamo a frenare, a rallentare, a prenderci tempo.
Quante volte, figlia mia, ho pensato a te come ad una punizione dantesca, per questa madre a dir poco anfetaminica?
Torno a casa, mi sdraio accanto a te e, come una nuova favola, ti racconto della regina Lentezza, che aveva imparato con tanta fatica ad aspettare e ad andare piano ma, ogni tanto, se lo dimenticava e allora la principessa, sua figlia, la aiutava a ricordarselo.
Indovina un po’ amore, come si chiamava la principessa?
Nov 24, 2012 @ 10:53:26
Un bell’incontro affettuoso con il confine del tempi scandito dall’altro. Ed è un percorso difficile quando i tempi e ritmi nostri e dell’altro sono completamente differenti…si può arrivare a scalpitare!!!!
In questo periodo sto sperimentando “gli effetti dettati dallo stare dentro ad un tempo” è un esperienza forse un pò diversa dalla tua, ma me lo ha riportata alla mente e permesso di focalizzarla in un discorso più ampio. Mi sono accorta a mia sorpresa che ci sono tempi lenti, molto lenti che accetti per lasciar maturare pensieri e cambiamenti e anche se molto faticosi a volte sono indispensabile e uno non può che “starci dentro”. E mi succede contemporaneamente di stare dentro “a tempi lenti” e anche con “a tempi veloci”, a volte non si può rispettare un proprio tempo e non entrarci in questo elastico di accellerazioni oppure dilatazioni cosa può far succedere? Un tema che mi sta offrendo spunti per pensare e ripensare le professioni, e credo siano interessanti da offrire anche ad un gruppo di lavoro. E poi conciliare questi tempi professionali con i tempi di vita personali dove l’incontro è possibile solo se rallenti… proprio come racconti.
Nov 24, 2012 @ 11:47:30
Come dici anche tu, Luigina, credo che sia importante continuare a interrogare il proprio rapporto con il tempo e stare dentro a tutte le ambivalenze che attraversano le nostre vite, negli scarti tra pensiero e azioni … Nel frattempo ci prendiamo tempo per scrivere, leggere, pensare. Non è poco.
Nov 24, 2012 @ 13:56:37
Perdere tempo…per guadagnarlo