Da figlia

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di Irene Auletta

Siete lì sedute vicine sul divano e mentre ti scappa una carezza lei si allontana. Commenti dolcemente il suo non voler essere toccata e subito aggiungi che “fa bene”. Conoscendoti colgo tutte le sfumature contenute in questa tua affermazione, quasi a voler sottolineare quella capacità di non farsi invadere e di proteggere sempre e comunque il proprio spazio vitale.

D’altronde, solo pochi minuti prima, mentre eri alle prese con una prova di abbigliamento, assistendo alla lentezza dei tuoi gesti mi sono dovuta trattenere più volte, non senza fatica. Hai bisogno di aiuto mamma? Ho imparato che non sopporti invadenze e che, al posto di interferenze, gradisci il rispetto dei tuoi nuovi tempi. Come potresti proprio tu non comprendere questa tua nipote che guardi sempre con grande amore e tenerezza?

Sei in assoluto una delle persone più gentili e delicate nei confronti di mia figlia e anche quando lei rifiuta un piccolo gesto di affetto mostri la tua generosità, pensando sempre e solo a lei e mai alla tua rinuncia. In questi anni sei stata fiera di ogni suo minuscolo progresso trasformandolo in un salto di strabiliante bellezza.

Mi hai insegnato a difendere la dignità della persona come valore irrinunciabile e non l’hai fatto con le parole ma con quei tuoi gesti di cura che, in silenzio, hanno saputo raccontare mondi. Potrei non essere tua figlia? Potresti non essere mia madre?

Ti ho immaginata seria e anche un po’ severa quando, ieri, una perfetta sconosciuta si è rivolta a mia figlia chiamandola amore. Ti ho immaginata sorridere quando ho detto che se i miei occhi potessero scoccare dardi infuocati lascerei dietro di me scie rossicce. Ti ho immaginata comprensiva e affettuosa di fronte a quel mio amaro dondolare dell’anima.

Di ritorno verso casa, mentre ci raccontiamo vita, tuo padre commenta con una delle sue frasi dette lì, proprio al momento perfetto. Forse alcune persone fanno un po’ di confusione con le emozioni, tra scontentezza e malinconia.

Ecco, la seconda che hai detto.

I tempi dell’amore

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I tempi dell'amoredi Irene Auletta

Non ci vediamo da tre giorni ma, quando torno a casa, già dormi e devo accontentarmi di guardarti da lontano perchè se ti accorgi del mio arrivo, rischi di rimanere sveglia tutta la notte. Guardarti mi fa quasi male, tanto ho sentito la tua mancanza, pur nella voglia e nel piacere di vivermi un tempo tutto per me.

Aspetterò fino a domattina ma già mi preparo mentalmente all’incontro. Io ti vorrei abbracciare subito, stringendoti forte, forte, ma so che per te è troppo e allora, dovrò mettermi in attesa di un tuo cenno.

Come sempre, dopo una distanza, con te è necessario ricostruire pian piano il momento dell’incontro.

Così, stamane ti svegli, ma quando ti accorgi della mia presenza e del fatto che ti sono vicina, guardi altrove, con quel tuo modo di andare oltre che mi stupisce ogni volta. Non vuoi ancora che mi avvicini troppo, accetti un mio bacio leggero ma ancora non posso andare oltre.

Se esco dalla tua stanza mi chiami, nel tuo modo tutto tuo, ma se arrivo volti lo sguardo, chiudendo gli occhi quasi a far finta di voler dormire ancora. Magari sto sovrainterpretando i tuoi gesti, forse è solo l’emozione.

Incontrarsi nell’amore non è sempre facile e, soprattutto, il gioco dei tempi di ciascuno va curato come una musica dolce. Almeno, per te, ma anche per me, non può essere troppo rock.

Ti aspetto amore, quando sei pronta, la mamma è tornata.

Fermarsi di corsa

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di Irene Auletta

L’appuntamento del martedì sera con le mie lezioni Feldenkrais è diventato un rito insostituibile che ogni volta mi permette di raccogliere nuove perle di saggezza.

Aprendo l’incontro della serata Angela, la nostra straordinaria insegnante, ci anticipa un lavoro che coinvolgerà in particolar modo le spalle, la cassa toracica e le sconosciute costole che, non ci crederete, si muovono!

Come accade sovente, anche durante questa lezione, Angela invita ad andare piano, a compiere i movimenti con molta lentezza e ci ricorda che la fretta, favorisce un movimento superficiale e impedisce un ascolto profondo dello stesso e di quanto accade.

Ad un certo punto sottolinea di andare ancora più piano chiedendoci di pensare ad una lentezza particolare, di quelle lentezze che sanno aspettare.

Meraviglioso. Ci avevate mai pensato a qualcosa di anche solo vagamente simile?

Non posso non pensare alle nostre frenesie quotidiane, a come la fretta e la velocità sono diventate oltre che un must sociale, un valore educativo.

I bambini, sin da piccolissimi, sono invitati a correre e ad anticipare il più possibile le tappe. Tutto sempre prima: lo svezzamento, il togliere il pannolino, imparare l’inglese, far  di conto, leggere e, via di questo passo. Peccato che in parallelo assistiamo ogni giorno alla nascita di nuovi fenomeni regressivi, come recita la famosa pubblicità del bambino di circa sette/otto anni che può indossare una fantastica mutandina pannolino per la notte e all’aumento di una serie molto variegata di disturbi dell’apprendimento.

Cosa sta succedendo? Non è che in tutto questo caos la fretta, il non rispetto dei tempi personali e naturali e l’angoscia di arrivare sempre primi, in qualche modo centrano?

La cosa che più mi colpisce è che tutti noi siamo molto consapevoli dell’ondata che ci ha travolti ma fatichiamo a frenare, a rallentare, a prenderci tempo.

Quante volte, figlia mia, ho pensato a te come ad una punizione dantesca, per questa madre a dir poco anfetaminica?

Torno a casa, mi sdraio accanto a te e, come una nuova favola, ti racconto della regina Lentezza, che aveva imparato con tanta fatica ad aspettare e ad andare piano ma, ogni tanto, se lo dimenticava e allora la principessa, sua figlia, la aiutava a ricordarselo.

Indovina un po’ amore, come si chiamava la principessa?

 

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