il posto del cuoredi Irene Auletta

Mi piace quando la sera faccio qualche incontro di lavoro un po’ lontano da casa perchè il viaggio di andata e ritorno diventa un momento per pensare a quel momento liberandosi di tutte le urgente, le contingenze e le interferenze accumulate nella giornata.

Ieri sera ero a Lecco a fare una lezione rivolta a volontari che prestano il loro servizio in ospedale. Era il secondo incontro e già nel primo avevo avvertito una partecipazione e un coinvolgimento piacevole e un po’ sorprendenti.

Le riflessioni del mio intervento ruotavano intorno alla relazione di aiuto e ieri sera, in particolare, abbiamo affrontato il delicato tema dell’armonia tra l’empatia e il coinvolgimento emotivo.

E’ facile pensare, tra i tanti stereotipi, che essere professionisti vuol dire essere un po’ freddi e distaccati mentre il volontariato chiama ai primi posti la volontà, la disponibilità e gesti dettati dal cuore. E’ stato importante trattare questo argomento che mi è particolarmente caro, in un luogo che incontra la cura, la malattia e la sofferenza.

Sono arrivata pensando che avremmo parlato di morte e invece lei ci ha parlato per due sere di vita, una bella sorpresa!

Le relazioni di aiuto chiamano tutti noi, professionisti o volontari, a misurarci con le nostre fragilità e con le nostre paure, perchè l’altro bisognoso riflette parti di noi presenti o future.

Quando sono vicina ad un’anziana che magari ha un po’ perso la testa, mi invito ad essere attenta e delicata e penso che fra qualche anno al suo posto potrei esserci io.

Il rapporto con il limite del nostro tempo su questa terra, quella che i filosofi hanno chiamato finitudine, non è tema facile da trattare e oggi attraversiamo un momento storico che guarda, vive e vede solo il presente a negazione del valore del passato e dell’importanza di non perdere di vista l’orizzonte del futuro.

Uno dei partecipanti ha ricordato un insegnamento per lui importante e una domanda che porta sempre con sè, a memoria di un suo maestro. Quando saluti il paziente e torni a casa sei in grado di dire e ricordare il colore dei suoi occhi?

Lo sguardo, inteso come quella capacità di incontro di mondi e l’ascolto, come sospensione delle nostre parole e accoglienza di quelle altrui, chiamano a contatti profondi. Averne paura è sano, parlarne diventa una possibilità per crescere ed imparare qualcosa su di sè e su quell’incontro.

Mi viene da raccontare un’aneddoto che mi ha coinvolto con la mia maestra Feldenkrais a riguardo della posizione delle spalle e della direzione dello sguardo. Quando le spalle sono appesantite si chiudono e lo sguardo è rivolto solo a terra. Quella postura spesso parla di una preoccupazione o di una fatica che la persona porta con sè. Aprire le spalle, aiuta a respirare profondamente e a orientare lo sguardo davanti a noi. La preoccupazione o la fatica rimangono, ma può cambiare il nostro modo di affrontarle.

Racconto che penso spesso a questo insegnamento e che ho imparato che guardando davanti possiamo aprirci alla possibilità e alla speranza, lo sguardo a terra invece, raccoglie solo l’asfalto. Forse abbiamo tutti bisogno di ritrovare forza, fiducia e speranza e stasera le ho trovate proprio lì, in un ospedale, dove ogni giorno passeggiano a braccetto dolori e preoccupazioni.