Non lasciamoci litigate

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di Irene Auletta

La mattina a volte è davvero difficile e in tante occasioni più che un risveglio morbido sembra un allenamento di resistenza. 

Tu che resisti ad alzarti e, da lì in poi, perpetui il comportamento nei confronti di tutti (o quasi!) i rituali del mattino, compresa l’uscita da casa.

Io che che resisto nella ricerca di strategie, di calma e di pazienza che a volte non vanno d’accordo con l’orologio, nonostante il tempo a disposizione per noi non sia affatto frettoloso.

Così, come è accaduto anche stamane, giunte in auto ci ritroviamo sedute accanto ma lontane, in mondi paralleli. Dopo pochissimo a me e’ già passato tutto, anche qualche frazione di stizza che a volte mi segnala che sono umana, mentre tu prosegui a lungo nella tua chiusura.

Difficile capire cosa accade, difficilissimo raggiungerti nei luoghi nascosti  e oscuri delle tue stereotipie così, in viaggio, il silenzio ci fa compagnia con tinte spesso malinconiche.

Mi dispiace sempre molto salutarti con questo stato d’animo ma so bene che insistere non modificherebbe nulla e, al contrario, quando ti senti troppo sollecitata, rispondi sovente con una chiusura ancora più tenace. 

So bene anche che anche il tuo comportamento poi si modifica e, anche nella distanza, ti penso serena coinvolta in altre relazioni ed esperienze.

Completamente differenti sono le occasioni in cui ci ritroviamo a fine giornata e non mancano mai quei tuoi saluti calorosi e ricchi d’affetto che, quasi sempre, ripagano dei saluti difficili del mattino e ci permettono di ritrovare un’intesa complice a volte gioiosa, a volte più quieta, ma sempre in un’intensità di presenza che diventa scorta preziosa per gli inevitabili affanni quotidiani.

Ciò che molte persone lontane dalla disabilità non riescono proprio a capire sono gli sbalzi continui da montagne russe e quei vuoti di presenza che, anche da vicinissimo, segnano distanze siderali.

Io comunque non mollo e te lo dico spesso. Dai Luna non lasciamoci litigate!

E ogni tanto, quando si aprono spiragli che profumano di magia, scoppi a ridere di gusto, in un abbraccio pieno di bellezza che, ogni volta, mi conferma che sono esattamente dove voglio essere. 

Sempre.

Febbraio delle cadute

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di Irene Auletta

E’ stato un mese difficile quello che si avvia alla conclusione. Tante cadute dell’anima, con malattie e notizie di salute poco confortanti e tante del corpo, che sono evolute in bernoccoli o tracce più visibili. Si sa, l’asfalto non perdona! 

Da ogni caduta mi sono ripreso più forte, dice tuo padre raccontando dei suoi tanti capitomboli da bambino e ragazzo e mi pare lo faccia anche per darci conforto.

A te che, dopo le vicende delle ultime settimane, sei molto insicura e spaventata. A me che cerco senza sosta nuovi equilibri possibili tra le mie parti più razionali e quel cuore che quanto accade qualcosa che ti riguarda batte un po’ all’impazzata cercando tane di quiete, tante volte difficili da scovare. 

E’ con gli echi questi effetti speciali di temporali e schiarite che stiamo tornando a casa dal ritrovato pomeriggio in piscina. Vorrei vederti stare meglio velocemente ma negli anni mi hai insegnato ad aspettarti e a rispettare i tuoi tempi lenti di ripresa. Così, aspetto.

Nel silenzio del viaggio per qualche minuto la mente mi porta altrove.

Luna e’ forte, fidati  mi è stato detto di recente da chi ti conosce bene e proprio in questo periodo sto riflettendo sulla forza che tante persone come te, definite sovente fragili, riescono ad esibire in barba a ciò che mostrano tanti cosiddetti normodotati.

Forza e fragilità sono sempre presenti nella danza della vita e credo che uno sguardo curioso potrebbe rimanere sorpreso dal ritmo di questa ambivalenza proprio laddove la forza può nascondersi ai tanti che non di rado si fermano alle apparenze. 

Torno qui e ti guardo  seria, persa nei tuoi pensieri. Altro che pizzichi al cuore!

Luna stasera siamo a cena da sole, cosa possiamo fare? Per qualche minuto la mia domanda vaga solitaria nell’abitacolo. Poi mi guardi e ti scappa un mezzo sorriso, di quelli che non hanno prezzo. 

Ci abbracciamo e insieme la nostra forza abbraccia le nostre fragilità. I passanti probabilmente vedranno solo due persone raccolte in un abbraccio, mai noi stiamo facendo tanto di più. Siamo alla ricerca, ancora una volta, di nuove vie per rialzarci.

Insieme, sempre. 

Le nostre primavere

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di Irene Auletta

L’ho condiviso tante volte e oggi mi pare la giornata perfetta per ricordare questo vecchio racconto.

Molti anni fa, da bambina, un giorno a scuola ho scoperto che il mese di febbraio è ancora un mese d’inverno. Lo ricordo ancora bene il mio dispiacere mentre racconto a mia madre che io non voglio essere nata in inverno. 

Che possiamo fare, dice mamma, purtroppo sei nata a febbraio. Ma sai cosa possiamo inventarci? … che dal giorno del tuo compleanno inizia la primavera!

Per molti anni successivi il giorno del mio compleanno ho ricevuto sempre composizioni di primule. Irene oggi è primavera, mi dicevi.

Mia madre era tanto e questa era una delle sue caratteristiche più belle. La capacità di portare leggerezza e trasformare con allegria i piccoli o grandi imprevisti della vita.

Negli anni tante volte mi è apparsa incupita, malinconica e preoccupata ma, appena il sorriso le illuminava il viso, nella stanza entrava un’aria limpida. Nella stanza del mio cuore, intendo. 

Ogni giorno provo a fare lo stesso con mia figlia, soprattutto quando la vita mi mette ancora e ancora in ginocchio. Proprio in questo momento ti penso vicina vicina e pian piano il respira si allarga. 

Quest’anno mamma questo inizio di primavera e’ dedicato a te, alla bellezza che mi hai lasciato e a quel sacchetto di forza leggera dove ogni tanto attingo per prendere pizzichi di allegria a condimento della vita. 

Auguri a me, figlia di questa nuova ennesima primavera. I doni più preziosi sono proprio ben custoditi in quella stanza lì. 

Il posto della gioia

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di Irene Auletta

Capita spesso nel mio lavoro di incontrare genitori di bambini piccoli e di osservarli con tenerezza, sapendoli all’inizio del loro percorso e alle prese con quei primi passi che, insieme ai loro figli, sperimentano nel loro ruolo di madri e padri.  Sovente mi riferisco a loro definendoli “genitori piccoli”, proprio con la stessa cura e delicatezza che penso necessaria per i loro bambini.

Con una strana e bizzarra capriola del tempo, penso ai tanti genitori con figli disabili che conosco da anni o che incontro per la prima volta. Mi colpiscono soprattutto i genitori di figli grandi che, non di rado, mettono alla prova con questioni complesse e problemi da adulti. Lo scarto, a volte disarmante, e’ proprio il divario tra l’età anagrafica e quei comportamenti che, negli anni, non solo rimangono in quella veste troppo facilmente definita infantile, ma si induriscono come risultato di una vita difficile da attraversare, anche come figli, figlie e persone adulte con disabilità. 

Racconti di giovani uomini e donne che urlano, protestano, utilizzano il corpo per dire il dissenso mettendo a durissima prova i corpi e le anime di genitori che si avviano verso “una certa età”, come diceva mia madre.

Comportamenti difficili anche solo da ripetere e che, non raramente, mettono in ginocchio gettando nello sconforto. E allora, proprio mentre ascolto tante testimonianze che mi risuonano vicine, non posso fare a meno di pensare a come questi genitori siano stati poco aiutati, non tanto per gli aspetti sanitari o riabilitativi (nei migliori dei casi), ma per assumere, sostenere e portare avanti il loro ruolo educativo. 

Con te sono stata fortunata sia per la possibilità di continuare ad attingere anche a ciò che faccio per professione sia, soprattutto, per la presenza di tuo padre che, a parte i primi difficilissimi tuoi anni di vita, ha danzato con me per tutti questi anni, aiutandomi a cercare il passo giusto e accettando le mie indicazioni quando anche lui inciampava. Tante volte ci siamo dati il cambio, e ancora lo facciamo appena la vita ce lo consente, aiutandoci e sostenendoci senza falsa compassione o visione pessimista ma sempre con la voglia di capire, imparare, confrontarsi, cercare alternative o, a volte, semplicemente ridere di quello che la vita ci chiede di affrontare o di fronte alle tue espressioni adorabili. 

Di facile non c’è nulla e tuo padre l’ha scritto molti anni fa nel suo diario di padre ma quello che abbiamo provato a non perdere di vista è stata la voglia di vivere, non accettando mai la facile deriva di accontentarsi di sopravvivere.

Oggi la tua e mia maestra Feldenkrais, indispensabile e prezioso aiuto e cura per entrambe, ha utilizzato una bella espressione che mi ha riempito il cuore. Il tuo bello, mi ha detto, è che attraversando tempeste non manchi di esplodere nella gioia.

Grazie Angela ormai nostra storica curatrice di famiglia, perché da un po’ anche tuo padre fa parte del gruppo. Grazie perché in tanti anni di preziosa vicinanza non hai mai smesso di esibire il valore di quella cura di cui necessitano come l’aria i genitori che fanno della cura ricorsiva, che non finisce mai,  la loro instancabile compagna di vita. Non mi stancherò mai di dirlo che per aiutare bisogna farsi aiutare, prendersi spazi di cura, di bellezza, di leggerezza, di luce. Un diritto per genitori e figli.

La disabilità è una faccenda seria e complessa certamente per i genitori ma anche per quei figli che incontrano la vita con uno zainetto sguarnito di tante possibilità, tanto più la condizione è severa. E con te, figlia mia, la vita è stata severissima.

Come faccio spesso dopo riflessioni tanto intense, te lo racconto stasera mentre torniamo dalla piscina. Le poche parole dette, di amore e comprensione, si alternano a quelle che riempiono i nostri silenzi e di nuovo mi chiedo come condividere questi pensieri con quei tanti genitori che rischiano di essere travolti dalla fatica, dallo smarrimento, dalla disperazione.

Sai cosa faccio Luna? Stasera scrivo un post su quello che ti sto raccontando e speriamo che arrivino un po’ di carezze a tanti cuori feriti e doloranti perché la gioia, sempre, è un diritto di vita.

Per la vita.

 

Tra il bene e il male

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di Irene Auletta

Qualche giorno fa mentre leggevo un passaggio sul valore della fatica in uno scritto di Vito Mancuso, mi è venuto da pensare che ogni volta che faccio affermazioni analoghe, per me assai condivisibili, mi sento quasi “fuori posto”.

In realtà, ripensandoci, in queste circostanze credo di trovarmi di fronte ad una dimensione che caratterizza questi nostri tempi non facili e cioè uno scarto pazzesco e a volte anche difficilmente nominabile, tra affermazioni e comportamento. Mai come in questi ultimi anni le parole mi sembrano pian piano svuotarsi di senso e come una naufraga provo ad aggrapparmi a quei gesti, che ancora resistono, capaci di restituirmi una connessione piena di significati.

Le vicinanze, le dimostrazioni di affetto, la comprensione si trasformano sovente, quando va bene, in parole scritte sui nostri dispositivi. Se butta male aspettatevi in prevalenza cuoricini e varie emoticon. Ma si può dire, anche basta? Non rifuggo di fronte a tali forme di comunicazione ma se rimangono solo queste, grazie passo.

Per me esserci è fatto di carne, di mani che si stringono, di occhi che si incrociano, di gesti che affiancano, di attimi vicini e condivisi e di certo, non sono la sola e l’unica, a sostenere la grande e crescente solitudine di questi tempi iper connessi.

Forse per questo le vie di ricerca più accessibili, e al momento parecchio gettonate, sembrano essere quelle da percorrere dentro di se, cercando lì quella comprensione profonda che ci restituisce calore. Anche queste vie però, se uniche ed esclusive, mi convincono poco.

In questi casi, mentre mi arrovello nei miei pensieri, smarrita o fiduciosa a seconda degli stati dell’anima, una mano vicina e silenziosa si rende presente come a ricordarmi la via.

Siamo io e te, in un parco di luci a rappresentare, nella storia di Alice nel paese delle meraviglie, il percorso del Bianconiglio. Non abbiamo sentieri obbligati da percorrere e tu sembri felice e curiosa di muoverti e di scoprire ciò che ci circonda, senza le tensioni dei limiti che continuamente circondano la tua vita. E la mia con te. A proposito di fatica!

Le persone dietro i dispositivi sono ormai la scena più frequente che tutti noi siamo abituati, ahimè, ad osservare e così, a parte qualche foto di rito e di testimonianza di quello che stiamo facendo per potercelo raccontare dopo, lascio tutto nello zaino e ci gustiamo le scoperte luminose. Mi colpisce la quantità di adulti senza bambini a seguito, forse in cerca di magia o chissà ma, ancora di più mi colpiscono adulti in posa su giostre luminose o davanti a istallazioni magiche.

Mentre ti diverti da pochi minuti girando in una tazza luminosa, una coppia ci guarda con insistenza seccata. Al momento non capisco ma poi realizzo che la signora e forse anche il suo accompagnatore, stanno aspettando che tu scenda per farsi una foto anche loro seduti nella tazza girevole. Mi guardo intorno per vedere bambini e ragazzi a occupare con gioia e divertimento le altre istallazioni luminose.

Adesso devi scendere Luna, ci sono altre persone che vogliono provare questo gioco, ti dico mentre sostengo lo sguardo dei due lì vicino che non si sono mossi di un millimetro. Ma davvero? Per fortuna poco dopo, mentre devi affrontare un ostacolo per te difficile e che per me da sola non è affatto semplice, sento una donna vicina che si offre di darmi una mano. Secondo lei come posso aiutarla? Se la sosteniamo insieme per le braccia e la facciamo scendere? 

Un sorriso, un gesto, una vicinanza estranea. Un sollievo. E come dice Jovanotti nella sua celebre canzone Penso positivo, credo soltanto che tra il male e il bene è più forte il bene. Io penso positivo perché son vivo …

Di questo abbiamo bisogno e questo ci auguro per il nuovo anno che, come tuo padre ci ha ricordato è l’anno del Giubileo. Si, forse laici o religiosi, abbiamo davvero bisogno di questo. Di un’indulgenza plenaria, come lo definisce la Chiesa cattolica,  che al tempo stesso sia capace di accogliere e di aiutarci tutti a volgere lo sguardo verso il valore dei gesti e dei sentimenti, permettendoci il gusto del silenzio che può narrarci storie bellissime e incredibili.

A ognuno il suo sentiero e il suo Angelo, qualunque significato incarni. Il mio è qui al mio fianco che mi stringe forte la mano.

Rialzandosi

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di Irene Auletta

Possibile che non capisci?

Complici tempi duri, la stanchezza e le preoccupazioni, la luce patisce qualche colpo mentre l’ombra da’ voce a parole indicibili.

Giusto per aggiungere peso al peso, quando scivolo in queste uscite infelici, fatico a perdonarmi e soffro tantissimo.  Non ti fa bene, mi dice la mia maestra Feldenkrais mentre lavora sui nodi che il mio corpo non può nasconderle e io, ancora una volta, mi nutro di quella cura affinché raggiunga la mente e il cuore.

Possibile che non capisci? 

La disabilità grave mette in ginocchio e, anche dopo tanti anni di percorsi, ricerche e cambiamenti, ogni tanto cado e so bene di condividere questi sentimenti e pensieri con tanti altri genitori.

E così mi arrovello fino a quando tuo padre arriva, delicatissimo, con la sua frase curativa. Quante cose mi ha permesso di imparare negli anni!

Stamane te lo racconto e provo, nel nostro abbraccio profondo, a dare parola ai nostri corpi perché possano reciprocamente consolarsi. Mi fido di loro come veicolo più potente di ogni parola che io, esattamente come te, non so dire.

Cara figlia di una cosa puoi essere comunque certa. Sono in cammino per te, per me e perché il senso di questa vita continui ad essere illuminato dalle luce del nostro bellissimo incontro.

Sono in cammino perché le ombre e il dolore possano trovare accoglienza e rispetto trasformandosi in malinconia e tenerezza, lasciando la rabbia lontana. 

Sono in cammino per continuare a raccontarlo e condividerlo con chi incontro nel mio stesso sentiero perchè nominare fa parte della cura e chi prima arriva ha la responsabilità di non tenerlo per sé.

Possibile che non capisco?

Oggi riparto da qui. 

Senza ‘e te 

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di Irene Auletta

Quanto mi ricordi tua madre! Ogni volta tornare a casa vostra e’ un modo per prendere un pezzetto di contatto in più con un’assenza grande.

Lo sai papà che mi fa tanto piacere assomigliare a mamma. Entrambi condividiamo un momento di magone che mio padre interrompe con una delle sue frasi tipiche. Allora cosa mi racconti di Luna?

Tutta la forza che esibisco quasi sempre e ovunque vacilla di fronte allo sguardo intenso di mio padre. Ha perso due figli e Luna fa riemergere, in lui e in me, ricordi malinconici. Riesco solo a rispondere che a volte sono tanto preoccupata mentre lui annuisce dicendomi che, a noi, ci pensa ogni giorno. 

Mio padre è un uomo essenziale, decisamente fuori moda in questi tempi effimeri. Sono stata fortunata ad avere avuto così tanto a  lungo nella mia vita sia lui che mia madre e sono contenta di non aver mai perso occasioni per dire a entrambi della mia gratitudine. Se penso alle nuove generazioni di figli adulti e a tante distanze,  penso che i miei genitori sono stati capaci di insegnarmi anche questo.

Chissà se come madre sarei stata capace di fare lo stesso con una figlia adulta con caratteristiche differenti dalla mia? Chissà. 

Per ora mi gusto ancora quei piccoli momenti in cui sentirmi figlia. 

Se  mia madre mi ha insegnato e lasciato  come eredità indelebile il valore della cura della vita, mio padre ancora oggi mi fa sentire radici forti che anche nelle tempeste mi tengono ben salda. Forse ha ragione la mia maestra Feldenkrais quando dice che noi donne lucane siamo donne quercia. 

E così in auto, mentre gioiosamente malinconica sto tornando a casa, mi raggiunge questa dolcissima canzone…

Vabbè Pino Daniele però ora non mettertici anche tu!

Je te penze accussi’

Per ore e ore

Je te voglie accussi

Te voglie ancora

E si chest nunn’e’ ammore

Ma nuje che campamme a ffa’

E se chiove o jesce o sole

Je te voglie penza’

Pecch senza ‘e te nun so’ niente

(Senza ‘e te, Pino Daniele)

Le cose che piacciono a me

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di Irene Auletta

Ma quante volte l’abbiamo visto il film Tutti insieme appassionatamente e quante ti sei divertita nel sentirmi intonare le canzone più famose e ormai familiari? E così, qualche giorno fa, proprio ridendo insieme delle mie esibizioni canore, ho pensato che per il tuo compleanno potevo regalarti attraverso le mie parole, quello che più mi piace di te.

Ho inventato una canzone ad hoc ma naturalmente quella qui ve la risparmio e poi tu hai l’esclusiva!

Martedì scorso, il nostro giorno piscina in cui vengo a prenderti al Centro, appena mi hai intravisto oltre il vetro hai iniziato a sorridermi forte e quando l’educatrice ha aperto la porta, ignorando il suo vai piano, mi sei corsa incontro regalandomi uno dei tuoi abbracci speciali che da qualche tempo mi mancavano parecchio. Io guardandoti pensavo corri Luna, corri e così ti ho accolto tra le braccia in quel saluto accompagnato da salti di gioia. 

Da molti anni ho smesso di chiedermi che figlia avrei avuto se e oggi penso solo che i tuoi saluti affettuosi sono tra le cose che più piacciono a me e di cui ti sono grata.

Al mattino abbiamo i nostri rituali e dandoti tempo per iniziare la giornata, appena posso, provo a gustarmi insieme a te quel tempo lento che conferisce valore all’avvio che resiste dal farsi trascinare subito nel vortice dei nostri giorni. La lentezza che mi hai insegnato e ogni giorno mi insegni, è tra le cose che piacciono a me.

Però mi piaci assai anche quando mi contrasti, mi metti in difficoltà, mi disorienti lasciandomi a corto di strategie. Se scomparissero all’improvviso questi comportamenti non saresti tu e quindi anche le tue bizze, la tua faccia buia e la tua tenacia sono fra le cose che piacciono a me.

In realtà il passaggio degli anni non ti ha trasformato molto e anche rispetto alla tua condizione non abbiamo assistito a grandi evoluzioni, ma ciò che fa sempre la differenza è la tua intensità. Sei decisamente più matura e adulta e per coglierlo è necessario andare oltre le apparenze che spesso, altrimenti, ti mortificano.

Quando i nostri sguardi si incontrano e tu rimani lì, occhi negli occhi, mi pare di riuscire a sentire le tue parole non dette, in quel silenzio che con grande complicità oggi ci racconta la nostra bella storia d’amore.

Auguri Luna mia, che l’intensità non ti lasci mai e che la vita ti offra ancora tante belle possibilità. Io sarò sempre lì a creare occasioni, da vicino e da lontano, finché potrai, finché potrò.

Ecco le cose che piacciono a me.

Promesse lunari

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di Irene Auletta

Stamane Luna stava proprio bene, era di ottimo umore ed è andata via molto serena.

Sì l’ho vista, mi risponde tuo padre mentre gli racconto del nostro saluto di poco fa. In una frazione di secondo realizzo che non può averti vista uscire perché era ancora a letto e glielo dico.

Sì hai ragione non l’ho vista, ma vedo te. Mi basta guardare te.

Eccomi di nuovo beccata sul vivo. 

Nonostante la tua età il nostro rimane un rapporto di carne e, anche quando la mente nella sua lucidità mi suggerisce molteplici strategie, le mie reazioni sono spesso molto elementari e primitive. 

Abbiamo attraversato mesi difficili e ogni volta sorriderti, aiutarti, consolarti, infonderti fiducia mi è costata una fatica immensa di fronte al dolore per i tuoi malesseri e malumori. Quando stai male, sto male e di sicuro il mio umore ne riflette tutte le sfumature.

In queste circostanze sviluppo soprattutto una certa intolleranza verso le superficialità e le banalità, con estremi che non mi rendono per nulla simpatica. In questi casi ogni tanto mi sembra di sentirmi ruggire e in effetti in diverse circostanze tuo padre mi ha definito un mastino. 

Così stamane, trovandoti chiacchierina al risveglio, con la voce rotta di commozione non ho potuto fare a meno di sussurrartelo.

Rieccoti Luna!

Ti ho raccontato con poche parole e tanti gesti che per me sei sempre tu, anche nei tempi cupi, esattamente come io ho tante sfumature e certamente non ti piacciono tutte. Tu ascolti.

Però stamane questa tua versione è tra le mie preferite e io mi riempio gli occhi, il cuore e l’anima perché so bene che le nostre onde non ci lasceranno mai.

Pochi giorni fa in ospedale, in occasione di un esame di controllo, non ho esitato. Entra pure da sola Luna, ti aspetto qui fuori. Ce la fai.

Tu continua a diventare grande e proverò anch’io a farlo, insieme a te, per continuare ad accompagnarci in questa nostra straordinaria e rocambolesca storia. 

Promesso. 

Prometto.

Forse.

Lunavagando

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di Irene Auletta

E poi arriva la sera e mi faccio guidare da te nei percorsi che attraversano un Centro Vacanza nel quale, probabilmente,  non saremmo mai venuti per scelta di luogo vacanziero.

Il fatto è che proprio qui,  da qualche anno, puoi fare un’esperienza unica e impossibile altrove e che, per la legge “incidenti e possibilità”, quest’anno stai ripetendo per la seconda volta. 

Di giorno, il  movimento, le proposte, le risate, la vita di gruppo, trasmettono tanta allegria e possibilità ma la sera, compaiono anche le ombre. 

Così stasera, con te come guida preziosa, girovagando, ascolto e osservo.

I suoni già parlano di tante sfumature e differenze e i gesti confermano esperienze di vita, seppur non isolate, certamente lontane dalle esperienze di chi difficilmente immagina cosa voglia dire vivere con un figlio o una figlia con disabilità.

Genitori per mano a figli bambini, ragazzi o adulti, che rincorrono, accarezzano, imboccano, trattengono, aiutano, sollecitano, incoraggiano, abbracciano, limitano, ridono, piangono.

Corpi che crescono con gesti da piccoli, comportamenti delicati e gesti difficili anche solo da guardare.

E’ facile nascondersi dietro alle definizioni “tecniche” che raccontano di opposizioni, auto lesionismo, infantilismo, aggressività, gesti incontrollati, isolamento, chiusura, stereotipie, ma osservare le vite passeggiando qui stasera con te che mi guidi o tiri, a seconda dei momenti, mi immerge in un calderone di emozioni variopinte e differenti.

In fondo, ciascuno di noi, pur nel vivere storie analoghe, credo si sia ritrovato o si trovi a osservare sentendosi come su un’altalena o, a volte, su una giostra impazzita. Per fortuna tu non sei … peccato che tu non sia. Altro che maldimare e maldamore.

Poi arriva il momento di festa, la musica ci circonda e tutto passa per un momento sullo sfondo. Ridiamo e balliamo in quel modo tutto nostro, godendoci l’allegria e, per stasera, scacciando via un po’ di ombre, chissenefrega di tutto il resto!

Lascio andare il destino

Tutti i miei attaccamenti

I diplomi appesi in salotto

Il coltello tra i denti

….

Per ogni tipo di viaggio

Meglio avere un bagaglio leggero

Distendo le vene

E apro piano le mani

Cerco di non trattenere più nulla

Lascio tutto fluire

L’aria dal naso arriva ai polmoni

Le palpitazioni tornano battiti

La testa torna al suo peso normale

La salvezza non si controlla

Vince chi molla

Vince chi molla

(Niccolò Fabi)

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