Pizzichi d’amore

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pizzichi d'amoredi Irene Auletta

Qualche tempo fa, un amico di fb alle prese con un figlio che dovrà sempre misurarsi con seri limiti nella sua autonomia, scriveva di come per lui i viaggi sono sovente fonte di pensieri malinconici.

Mi guardo intorno nel terminal dell’aeroporto e vedo comitive di giovani ragazze alle prese con i loro primi viaggi.

Solo a quell’età si può essere così meravigliose e anche tu avresti potuto essere tra loro, in una vita diversa. In anni ancora recenti, il dolore mi avrebbe colto all’improvviso facendomi quasi piegare mentre oggi sorrido in compagnia di quel piccolo pizzico al cuore.

Il tempo, fa davvero la differenza. Sempre.

Ricordo molto bene il momento in cui ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad un bivio decisivo. Passare la vita a disperarmi per ciò che non avrebbe potuto mai essere oppure ingegnarmi per trovare soluzioni creative di fronte a quell’impossibile quasi urlato dalla vita, ogni giorno.

Tua zia mi ha aiutato offrendomi l’occasione di quei nostri viaggi annuali che, nel tempo, mi hanno portata lontana da te creando quello spazio magico che offre ogni volta la possibilità di andare e ritornare. Spetta a me perchè tu, da sola, non lo potrai mai fare, ma il nostro momento non ce lo può rubare nessuno e, anche se sei tu ad aspettarmi e poi riaccogliermi, la nostra danza d’amore ha trovato la sua insostituibile rarità.

Non è forse questa la scommessa di ogni relazione tra genitori e figli?

Io nel frattempo ho imparato a smettere di chiedermi se ti sarei mancata, forte del bisogno di lasciarti per scoprire come va senza di te e certa che il problema della separazione è sempre stato più mio che tuo. In fondo, un figlio con scarse autonomie rischia di generare genitori con altrettanti limiti e provare a non soccombere è sempre stato il mio modo di essere tua madre. Viaggiare, andare e separarsi, sono modi per prendere distanza e guardare le relazioni da differenti prospettive. Ogni volta imparo qualcosa su di me e su di te, condito da sentimenti molto variegati.

Proprio oggi, durante una supervisione, parlavo con un gruppo di educatori della responsabilità dei genitori e dello smarrimento odierno dell’adultità di fronte a situazioni di dolore o difficoltà. Andare e ritornare, può essere anche un modo per ritrovarsi, recuperando al tempo stesso quella forza necessaria per affrontare momenti a volte più faticosi di altri.

Ed eccomi di nuovo qui a raccontarti, in quel silenzio dei nostri incontri. In valigia, stavolta, c’è stato poco spazio per la malinconia. Guarda cosa ti ha portato mamma … Ci basterà di certo per i prossimi mesi!

Insegnare e lasciare il segno

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Ero tentato di non datare questo scritto. Appartiene alle mie pagine dal sapore diciamo così più visionario. Mi piace ogni tanto assumere toni profetico-messianici. Mi diverto un sacco. E rileggendolo, mi sconcerta come alcuni riferimenti appaiano fatalmente datati, mentre certe considerazioni credo siano ancora assolutamente attuali. E aggiungo purtroppo…
Comunque, erano gli inizi degli anni ’90. Redassi queste pagine in vista di una serie di incontri con le scuole e gli insegnanti nell’ambito di un megaprogetto sull’educazione alla salute condotto per conto dell’Iref Lombardia (attuale Eupolis). Fu un progetto epico. Forse per questo il tono… Non so più quante centinaia di operatori, della sanità e della scuola, ho incontrato in giro per tutta la Lombardia.
Il tema caldo era quello dell’Aids, e la sua prevenzione la strada maestra per veicolare soldi e progetti.
Il problema da affrontare era la percezione che gli insegnanti avevano del loro ruolo educativo in proposito, da non ridurre a una questione di informazioni sanitarie facilmente delegabili agli “esperti” del sistema sanitario. Per questo mi è venuto fuori un cipiglio del genere…
Fatta la tara del tono ed epurato dei riferimenti troppo contestualizzati, mi pare che questo breve documento, possa fornire spunti di riflessione ancora (maledettamente) attuali

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Facciamoci un altro film

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conflitto

Ieri ero in trasferta a parlar di conflitti e adolescenti con una trentina di educatori. Oggi su Repubblica leggo Saviano che parla di regole e responsabilità. Categoria interessante che rischia sempre di svanire quando ci si infila nelle questioni educative.

Discutevamo di un evento in fondo banale e quotidiano, forse banale, o banalizzato, perché quotidiano: come si sceglie un film da guardare tutti assieme? Se si é in più di uno é facile che gusti diversi, stati d’animo, screzi in corso, trasformino la scelta di un film in una battaglia campale che alla fine rischia di lasciare sul campo morti e feriti, quale che sia il film che alla fine si riesce a noleggiare. Figurarsi se a scegliere sono otto adolescenti maschi e femmine, tutti ospiti del medesimo servizio.

É qui che intervengono le regole.

In fondo è semplice no? Siete in otto e il film lo scegliete a turno. Così siamo tutti contenti. Oppure, come é più probabile, sarete scontenti sette volte su otto. Però gli educatori potranno illudersi di aver regolato una potenziale fonte di conflitto: basta che si impegnino a fare “rispettare” la regola. Che è anche educativo, dopotutto. No?

Ni. Anche no. Insomma, dipende.

Immaginiamo che tutto fili liscio, sempre. Che nessuno mai si lamenti, che tutti rispettino il turno degli altri, guardando il film che sette volte su otto non hanno scelto, senza lamentarsi e senza defilarsi. In attesa di poter scegliere il proprio. Nel frattempo guardando quel che c’è, anche se non piace, perchè “bisogna accettare le scelte degli altri”. Sarebbe un risultato educativo? probabilmente. Sarebbe un risultato educativo auspicabile? ne dubito. A meno di non voler educare al conformismo, che è pur sempre un’opzione.

Occorre provare a immaginare la realizzazione dei propri sogni, per capire se non siano in realtà incubi.

Poi arriva il ragazzo che non ci sta e fa saltare il banco. A suo modo, naturalmente. Che non è quello di ragionare compitamente sul senso di quella regola e sull’opportunità di modificarla. Altrimenti non sarebbe un adolescente e, sopratutto, non si capirebbe a che serve un educatore. E quel modo mette in crisi l’intero castello normativo, quello che cercava appunto di “normalizzare”, facendo esplodere conflitti latenti di tutti contro tutti.

Quella trentina di educatori che ho incontrato in trasferta ieri, in battuta sostengono che le regole vanno fatte rispettare, e che il ragazzo ribelle deve capirlo. Messi poco dopo nella situazione di dar voce a ognuno dei personaggi presenti sulla scena, esprimono una profondità inaspettata che mette in risalto le ragioni di ognuno. Ragioni vere, legittime e condivisibili. Ma in conflitto tra loro. E ora che si fa? La scoperta della complessità affascina e sgomenta.

Ora forse è più difficile scegliere. Ma almeno è chiaro che la regola precedente serviva a evitare di doverlo fare. E’ chiaro anche che il rispetto lo si deve non a un astratto sistema di regole, ma alle persone coinvolte e alle loro ragioni. E che conta di più assumersi la responsabilità di dire no, non funziona, non sono più d’accordo, non era questo che doveva essere, proviamo in un altro modo, che non un presunto “rispetto delle regole” che soffoca ogni istanza e ogni ragione e che, sopratutto, non permette di imparare nella sulle regole, se non ad adattarsi passivamente o a ribellarsi violentemente.

Riforma o rivoluzione?

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riforma o rivoluzionedi Irene Auletta

Mi e’ piaciuto molto  ieri sera quest’incipit di Massimo Gramellini e i significati che hanno veicolato le sue considerazioni.

Pensandomi reduce dalla prima assemblea di Dedali, una novella associazione culturale, ho trovato parecchi intrecci possibili con la nostra mission: promuovere, sostenere e sviluppare le competenze educative.

Si, perché tutti noi che a vario titolo ci occupiamo di educazione, come professionisti, come genitori o semplicemente come adulti, abbiamo bisogno di continuare a chiederci cosa questo momento storico sta insegnando ai bambini e ai ragazzi.

Quali valori trascinano con se’ la crisi, il senso di precarietà perenne, lo smarrimento di senso costante o, per contro, un unico senso sventolato come l’ unico e il vero.

Chissà se qualche docente ha immaginato di far ascoltare ai suoi alunni i discorsi dei neoeletti presidenti alla Camera e al Senato, cogliendo l’occasione per aprire una discussione oltre che per insegnare un punto di vista altro sulle nostre istituzioni tanto infangate dagli eventi che si rincorrono ogni giorno e vengono urlati nelle nostre orecchie dai vari media?

Insegnando il diritto si insegna la vita. Mi ricordo quest’affermazione di una mia docente delle superiori che credo di aver compreso solo anni dopo ma che mi ha colpito tanto da ricordarmene ancora oggi.

Cosa insegna l’astensione? Io non l’ho mai capito, perché per me assumersi la responsabilità non corrisponde a nessuna scheda  bianca anzi, ho sempre trovato l’astensione a una decisione un atto molto ambiguo, seppur legittimo.

E pensare che ogni giorno e sempre più precocemente chiediamo ai bambini, ancora molto piccoli, di scegliere al nostro posto. Vuoi la pasta rossa o quella verde? Le scarpe o gli stivali? Andare al cinema o al parco? Ne parlavo proprio qualche sera con un gruppo di genitori. Educare alla scelta e’ un passaggio importante e delicato e, proprio per questo, e’ fondamentale non bruciarne precocemente le tappe, pena il suo fallimento.

Ai bambini dovremmo insegnare che per loro astenersi e’ un valore perché sono i grandi che hanno la responsabilità di alcune scelte e il dovere di portarne il peso che ne consegue. Dovremmo insegnargli che diventando grandi gli chiederemo pian piano di scegliere, sperando che sapranno farlo, sapranno cambiare idea e, soprattutto, che non avranno paura a dire prima sbagliavo.

 

Avere o imparare

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Di Igor Salomone
Trent’anni che soffoco.

Trent’anni afferrato alla gola dalla superficialità spacciata per leggerezza, dalla negligenza contrabbandata per libertà, dall’indifferenza venduta come realismo, dalla furbizia travestita da intelligenza.

Trent’anni di Immagine, Dea del Nulla inventata per celare qualsiasi nefandezza e qualsiasi vuoto.

Trent’anni di Efficacia, anzi Efficienza, anzi tutte e due magicamente intrecciate, a dire che quel che conta è fare le cose bene, non importa cosa, non importa se farle bene non significa affatto fare “il” bene, un qualsiasi tipo di Bene purchè riguardi anche l’Altro, pazienza se viene così così.

Trent’anni di Collaborazione, il nome postmoderno del Corporativismo, ovvero lavorare assieme non per qualcosa, ma per qualcuno: l’azienda, il gruppo, la famiglia, la categoria, il territorio, il dialetto, tutto ciò che infine è “nostro” e non “di tutti”.

Non ne posso più.

I cicli culturali sono, appunto, cicli. Voglio sperare che questo pantano sia giunto al capolinea. Voglio sperare che Dignità, Orgoglio, Rispetto, Responsabilità, Bene comune tornino ad avere un senso. Voglio sperare, che riusciamo a imparare e a insegnare un senso nuovo, adatto a questo nuovo mondo da proteggere e accudire che ci ritroviamo per le mani.

Eserciziario pedagogico…

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Dunque la situazione è questa, viviamo in un (cosiddetto) Paese in cui un Governatore viene ricattato dai Carabinieri che l’hanno beccato con un trans. E lui si fa ricattare.

Ecco un bell’esercizio etico-politico-pedagogico per tutti: se un ragazzo o una ragazza, poniamo di dodici o tredici anni, magari vostro figlio o vostra figlia, o un alunno, o figli di amici, vi prendono alla sprovvista e vi chiedono cosa sia giusto e cosa sbagliato in tutta questa vicenda e in quel che ne sta seguendo, cosa rispondete…?

Pensiamoci, tenendo conto che dalla risposta a una domanda del genere, potremo capire se ci sia ancora qualcosa da raccontare, qualcosa da insegnare e, dunque, se raccontando e insegnando, potremo o meno uscire dall’assurdo nel quale tutti noi siamo affondati.

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