Je suis Humphrì Bogàrt

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Bogart Cool

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Ho appena letto questo articolo su la Repubblica di oggi. Un appello firmato da una serie di registi contro l’ipotesi di controllare, limitare o addirittura vietare l’uso del fumo delle sigarette da parte dei personaggi dei film e telefilm italiani. Un’ipotesi che sembra sia stata formulata da un gruppo di oncologi insieme al Codacons e ripresa dal Ministro Lorenzin. Geniale! Sopratutto la scelta di tempo. Quattro milioni di persone hanno appena cantato in Francia che la libertà di espressione non si tocca, e i nostri fini pedagogisti, che si annidano in tutte le professioni e in tutti i livelli istituzionali, pensano bene di decidere cosa sia educativo e cosa no quando si tratta di film e telefilm. Del resto, sempre in Francia e sempre con lo stesso splendido timing, hanno appena arrestato un cretino per aver detto cose cretine. Va bene, può esserci un’ipotesi di reato se le cose cretine incitano alla violenza o, peggio, al terrorismo, ma un po’ di prudenza…

Ad ogni modo, ecco il genio italico che immagina di bonificare le narrazioni cinetelevisive. Cattivi esempi, si sa. Uno vede un personaggio fumare in una fiction e corre subito ad accendersi una sigaretta. Vietato. Non è detto ci sia una correlazione diretta, non si può dimostrare, però a scanso di errori, meglio prevenire. Dunque, vietiamolo.
Sapete che c’è? forse bisogna cavalcare la tigre. E’ arrivato il momento di levare gli scudi contro ogni possibile messaggio diseducativo che il piccolo e grande schermo possono veicolare. Propongo dunque un controappello rispetto a quello firmato dai volenterosi, ma troppo di parte, registi. Propongo di lanciare una campagna di massa per mettere in elenco (all’Indice?), tutto ciò che dovrebbe essere tolto da ogni rappresentazione al cinema e in tv. Guardate, mi voglio rovinare, via tutto anche dai libri, dalle rappresentazioni teatrali, dai cartelloni pubblicitari e dai siti internet, ovviamente.

Propongo di iniziare l’appello con un tonante “via le armi e l’uso delle medesime da ogni rappresentazione”. Si facciano i film di guerra senza armi, i film d’azione senza armi, i film storici senza armi, le serie crime senza armi. Ecchediamine, che ci vuole? Pensate che meraviglia, che so, “Il giorno più lungo” oppure “Salvate il soldato Ryan” o anche “Platoon” senza quelle sordide macchine sputa morte a sporcarne il contenuto edificante.

Forza fini pedagogisti di tutta Italia, uniamoci! cos’altro dobbiamo mettere al bando?

Facciamoci un altro film

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conflitto

Ieri ero in trasferta a parlar di conflitti e adolescenti con una trentina di educatori. Oggi su Repubblica leggo Saviano che parla di regole e responsabilità. Categoria interessante che rischia sempre di svanire quando ci si infila nelle questioni educative.

Discutevamo di un evento in fondo banale e quotidiano, forse banale, o banalizzato, perché quotidiano: come si sceglie un film da guardare tutti assieme? Se si é in più di uno é facile che gusti diversi, stati d’animo, screzi in corso, trasformino la scelta di un film in una battaglia campale che alla fine rischia di lasciare sul campo morti e feriti, quale che sia il film che alla fine si riesce a noleggiare. Figurarsi se a scegliere sono otto adolescenti maschi e femmine, tutti ospiti del medesimo servizio.

É qui che intervengono le regole.

In fondo è semplice no? Siete in otto e il film lo scegliete a turno. Così siamo tutti contenti. Oppure, come é più probabile, sarete scontenti sette volte su otto. Però gli educatori potranno illudersi di aver regolato una potenziale fonte di conflitto: basta che si impegnino a fare “rispettare” la regola. Che è anche educativo, dopotutto. No?

Ni. Anche no. Insomma, dipende.

Immaginiamo che tutto fili liscio, sempre. Che nessuno mai si lamenti, che tutti rispettino il turno degli altri, guardando il film che sette volte su otto non hanno scelto, senza lamentarsi e senza defilarsi. In attesa di poter scegliere il proprio. Nel frattempo guardando quel che c’è, anche se non piace, perchè “bisogna accettare le scelte degli altri”. Sarebbe un risultato educativo? probabilmente. Sarebbe un risultato educativo auspicabile? ne dubito. A meno di non voler educare al conformismo, che è pur sempre un’opzione.

Occorre provare a immaginare la realizzazione dei propri sogni, per capire se non siano in realtà incubi.

Poi arriva il ragazzo che non ci sta e fa saltare il banco. A suo modo, naturalmente. Che non è quello di ragionare compitamente sul senso di quella regola e sull’opportunità di modificarla. Altrimenti non sarebbe un adolescente e, sopratutto, non si capirebbe a che serve un educatore. E quel modo mette in crisi l’intero castello normativo, quello che cercava appunto di “normalizzare”, facendo esplodere conflitti latenti di tutti contro tutti.

Quella trentina di educatori che ho incontrato in trasferta ieri, in battuta sostengono che le regole vanno fatte rispettare, e che il ragazzo ribelle deve capirlo. Messi poco dopo nella situazione di dar voce a ognuno dei personaggi presenti sulla scena, esprimono una profondità inaspettata che mette in risalto le ragioni di ognuno. Ragioni vere, legittime e condivisibili. Ma in conflitto tra loro. E ora che si fa? La scoperta della complessità affascina e sgomenta.

Ora forse è più difficile scegliere. Ma almeno è chiaro che la regola precedente serviva a evitare di doverlo fare. E’ chiaro anche che il rispetto lo si deve non a un astratto sistema di regole, ma alle persone coinvolte e alle loro ragioni. E che conta di più assumersi la responsabilità di dire no, non funziona, non sono più d’accordo, non era questo che doveva essere, proviamo in un altro modo, che non un presunto “rispetto delle regole” che soffoca ogni istanza e ogni ragione e che, sopratutto, non permette di imparare nella sulle regole, se non ad adattarsi passivamente o a ribellarsi violentemente.

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