Dunque la situazione è questa, viviamo in un (cosiddetto) Paese in cui un Governatore viene ricattato dai Carabinieri che l’hanno beccato con un trans. E lui si fa ricattare.
Ecco un bell’esercizio etico-politico-pedagogico per tutti: se un ragazzo o una ragazza, poniamo di dodici o tredici anni, magari vostro figlio o vostra figlia, o un alunno, o figli di amici, vi prendono alla sprovvista e vi chiedono cosa sia giusto e cosa sbagliato in tutta questa vicenda e in quel che ne sta seguendo, cosa rispondete…?
Pensiamoci, tenendo conto che dalla risposta a una domanda del genere, potremo capire se ci sia ancora qualcosa da raccontare, qualcosa da insegnare e, dunque, se raccontando e insegnando, potremo o meno uscire dall’assurdo nel quale tutti noi siamo affondati.
Ott 25, 2009 @ 23:37:24
Un’utile esercizio, almeno per quanto mi riguarda: mia figlia si avvicina appunto a quell’età, e in quanto a spalancare gli occhi e aprire le orecchie per farsi spugna con le notizie del mondo dell’assurdo, non scherza affatto.
Il primo esercizio che mi si impone è trovare l’alternativa alla mia esperienza con genitore Edipico autoritario-registro di omertà e censura, per un’evoluzione in positivo del modello educativo, il mio appunto. Il mio stile mi porta a pensare che nulla non sia trattabile e a qualsiasi età, purchè affrontato con le parole giuste, e le parole da cui partire sono proprio quelle della domanda che mi si apre, degli occhi che mi interrogano.
Ma veniamo alla fatidica domanda: cosa sia giusto e cosa sia sbagliato di questa vicenda.
Mi verrebbe da rispondere che è stato sbagliato spiare il governatore; è stato sbagliato che siano stati proprio coloro che avrebbero dovuto impedirlo, e che è stato sbagliato che il governatore non abbia denunciato subito il ricatto.
Questo è il nostro mondo dell’assurdo, ma poi c’è ancora qualcosa da raccontare, qualcosa da insegnare e, dunque, raccontando e insegnando, potremmo uscire dall’assurdo nel quale lo sventurato di turno e tutti noi siamo affondati, così forse possiamo aggiungere che oggi essere credibili è difficilissimo. Il primo requisito per continuare ad esserlo è avere il coraggio di affrontare la questione, di parlarne, di testimoniare e avere anche il grande coraggio di fermarsi e di cambiare se necessario.
Ott 27, 2009 @ 16:29:06
Cero che ce ne sarebbe da raccontare, e a vagonate! … forse bisognerebbe farlo a ripartire da qualche mito greco, dove gli dei ancor più degli uomini erano un coacervo di vizi, debolezze, perfidie e dispetti. Umanamente sgradevoli.
Poi ci sarebbe una variante più pietistica, che osserva le fragilità umane, nel loro dipanarsi triste e lento, nella goffaggine grottesca di una dignità di facciata.
Oppure si andrebbe a riprendere la storia della colonna infame e quel diritti e delle pene, che al liceo mi fecero sentire certa delle mie basi culturali, di un paese che aveva partorito uomini di siffatta pasta, capaci di nominare giusto ed ingiusto.
Ma regalerei anche la mia indignazione e vergogna di fronte di fronte a situazioni come queste; in fondo a me non interessa cosa facciano le persone nei loro letti, o come, mi turba invece che non ci sia una idea minima di cosa sia un confine tra lecito ed illecito in chi rappresenta lo stato e me stessa.
Da giovane ed ignorante, qual’ero, vagheggiavo idee anarchiche: nessuno stato, nessun dio, nessuna regola. Una comunità libera capace di auto-regolamentarsi civilmente. Poi ho capito che anche la macro struttura Stato era libero se tutti accettavano le regole che in fondo collegialmente ci si poteva dare, con un pò di responsabilità e di delega.
Il patto condiviso era (e dovrebbere essere) la comune adesione al patto stesso.
Forse finirei raccontando di quella volta in cui mio padre trovata una mazza di pelli pregiate (visoni e simili) evidentemente perse da qualcuno, e per sua natura rispettosissima delle regole, fece la cosa più ovvia.
Le riconsegnò ai carabinieri, i quali sottolinearono che non avrebbe certo trovato il proprietario, fatto improbabile, impossibile, e che invece avrebbe dovuto farne gentil dono alla sua signora, in forma di pelliccia di visone.
Ma non era nella sua natura tenersi qualcosa che non era suo e forse non era guadagnato.
Le lasciò lì.
A 16 anni quando i ragazzetti testano le proprie varie abilità, qualche coetaneo rubacchiava, io non l’ho mai fatto, anche se mio padre non aveva mai detto non rubare. Ma lo ha insegnato senza volere con una storia vera e nel mio dna.
monica
Nov 04, 2009 @ 18:02:51
Cara ragazza/o che mi fai questa domanda: che risposta ti aspetti? Quella dell’illuso che non vede o finge di non vedere; quella dell’ipocrita che giudidica e giustizia contemporaneamente, salvo poi fare esattamente lo stesso pensando o peggio ancora sapendo di non essere visto; quella dello smemorato per il quale nulla è successo perchè nulla vale la pena di essere ricordato.
Mi pare ovvio che di giusto ci sia ben poco in questa vicenda; mi richiama alla mente l’inquisizione che uccideva nel nome dell’etica e della morale coloro che si macchiavano di peccati contro di esse.
Come si fa a condannare e sputtanare pubblicamente qualcuno solo perchè ha abitudini sessuali differenti dalla massa? Ma ben venga un po’ di originalità!!
Come può un funzionario pubblico non denunciare altri pubblici ufficiali che nell’esercizio delle loro funzioni commettono un reato ? (Estorsione). Non può è un suo dovere.
Quindi di giusto c’è ben poco in tutta questa vicenda o meglio nel modo di raccontarla e mostrarla al pubblico. Qualcosa di giusto lo si può trovare nel modo di rispondere a questi processi sommari. Come diceva Monica di suo padre che restituisce qualcosa perchè tenerselo non è nella propria natura così io mi indigno perchè questo modo di ridicolizzare il sistema Stato non è nella mia natura. Quando parlo di mettere in ridicolo ribadisco che non mi riferisco a condannare e criticare un esponente politico ma alle motivazioni per cui viene fatto.
Quindi ragazzo/a che mi poni questa domanda, io ti ripeto di giusto c’è ben poco ed in un mondo dove tutto è immagine e presunta comunicazione, il silenzio può diventare la chiave di volta. Selezionare le cose che valgono la pena di essere trattate e tralasciare le altre, quelle che per natura non ti appartengono!