Ieri ero in trasferta a parlar di conflitti e adolescenti con una trentina di educatori. Oggi su Repubblica leggo Saviano che parla di regole e responsabilità. Categoria interessante che rischia sempre di svanire quando ci si infila nelle questioni educative.
Discutevamo di un evento in fondo banale e quotidiano, forse banale, o banalizzato, perché quotidiano: come si sceglie un film da guardare tutti assieme? Se si é in più di uno é facile che gusti diversi, stati d’animo, screzi in corso, trasformino la scelta di un film in una battaglia campale che alla fine rischia di lasciare sul campo morti e feriti, quale che sia il film che alla fine si riesce a noleggiare. Figurarsi se a scegliere sono otto adolescenti maschi e femmine, tutti ospiti del medesimo servizio.
É qui che intervengono le regole.
In fondo è semplice no? Siete in otto e il film lo scegliete a turno. Così siamo tutti contenti. Oppure, come é più probabile, sarete scontenti sette volte su otto. Però gli educatori potranno illudersi di aver regolato una potenziale fonte di conflitto: basta che si impegnino a fare “rispettare” la regola. Che è anche educativo, dopotutto. No?
Ni. Anche no. Insomma, dipende.
Immaginiamo che tutto fili liscio, sempre. Che nessuno mai si lamenti, che tutti rispettino il turno degli altri, guardando il film che sette volte su otto non hanno scelto, senza lamentarsi e senza defilarsi. In attesa di poter scegliere il proprio. Nel frattempo guardando quel che c’è, anche se non piace, perchè “bisogna accettare le scelte degli altri”. Sarebbe un risultato educativo? probabilmente. Sarebbe un risultato educativo auspicabile? ne dubito. A meno di non voler educare al conformismo, che è pur sempre un’opzione.
Occorre provare a immaginare la realizzazione dei propri sogni, per capire se non siano in realtà incubi.
Poi arriva il ragazzo che non ci sta e fa saltare il banco. A suo modo, naturalmente. Che non è quello di ragionare compitamente sul senso di quella regola e sull’opportunità di modificarla. Altrimenti non sarebbe un adolescente e, sopratutto, non si capirebbe a che serve un educatore. E quel modo mette in crisi l’intero castello normativo, quello che cercava appunto di “normalizzare”, facendo esplodere conflitti latenti di tutti contro tutti.
Quella trentina di educatori che ho incontrato in trasferta ieri, in battuta sostengono che le regole vanno fatte rispettare, e che il ragazzo ribelle deve capirlo. Messi poco dopo nella situazione di dar voce a ognuno dei personaggi presenti sulla scena, esprimono una profondità inaspettata che mette in risalto le ragioni di ognuno. Ragioni vere, legittime e condivisibili. Ma in conflitto tra loro. E ora che si fa? La scoperta della complessità affascina e sgomenta.
Ora forse è più difficile scegliere. Ma almeno è chiaro che la regola precedente serviva a evitare di doverlo fare. E’ chiaro anche che il rispetto lo si deve non a un astratto sistema di regole, ma alle persone coinvolte e alle loro ragioni. E che conta di più assumersi la responsabilità di dire no, non funziona, non sono più d’accordo, non era questo che doveva essere, proviamo in un altro modo, che non un presunto “rispetto delle regole” che soffoca ogni istanza e ogni ragione e che, sopratutto, non permette di imparare nella sulle regole, se non ad adattarsi passivamente o a ribellarsi violentemente.
Mag 11, 2013 @ 14:14:06
Fosse così semplice… quante volte la teoria si scontra con la realtà? in teoria: TUTTO VERO! In pratica: vi siete mai trovati con otto adolescenti una videoteca?
So di essere polemico, controcorrente e probabilmente antipatico.
Ma mi sono trovato diverse volte in questa situazione.
In videoteca, al kebabbaro dell’angolo, in spiaggia, davanti al telecomando di sky, in gelateria, al cinema, al sabato sera a decidere cosa fare dopo cena…
Non è solo un problema di regole, ma un problema di contesto. Di “cornice del setting” direbbe qualcuno più bravo di me.
Aspettiamo che in videoteca “il conflitto in nome e per conto del non conformismo” ci trasformino in qualcosa di inaccettabile per la società? per il luogo in cui siamo? per il contesto?
Lungi da me difendere il conformismo in nome e per conto delle convenienze sociali (non farei questo lavoro), ma non si può prescindere dall’immagine che diamo.
8 adolescenti di comunità devono sempre apparire come “difficili” anche davanti alla scelta del dvd da noleggiare?
Ni. Anche no. Insomma, dipende.
Riusciamo a cogliere questo come stimolo e non come critica?
Mag 11, 2013 @ 15:10:36
Ciao, ho il dubbio di non stare proprio proprio sul tema, ma questo è quello che mi ha stimolato questo post come educatrice..
Gli ado ti chiamano in causa, a dirla tutta ogni età ti chiama in causa..gli ado però anche e su questioni che che ti fanno vacillare, perché riguardano anche te, adulto, perchè ti mettono davanti la potenzialità insita nel provare ad andare oltre quello che hai costruito..che ebrezza! Certo, la potenzialità ma anche il rischio, l’opportunità ma anche la deriva, di mettere in discussione qualcosa di cui -per ruolo- magari sei garante e che comunque credi giusto, assodato e definitivo ..Definitivo..Ma perché mai dovrebbe esserlo? Siamo sicuri che possiamo ancora continuare a stare su certi contenuti sbandierandoli come vessilli, come giuste motivazioni ad un determinato agire consapevole e progettuale ? O meglio, siamo sicuri che sventolare questi stendardi sia davvero efficace per raggiungere ancora i ragazzi? Il dubbio è, non tanto e non solo che non lo sia, ma che stiamo perdendo delle opportunità, come quella di accompagnare ai processi, cercando –perché no- anche nuovi contenuti.
Ci si possono dare ragioni diverse per guardare un film insieme scelto ‘democraticamente’..farlo per rispetto delle scelte dell’altro..sii, abbastanza.. Ma ho come l’impressione che qualcosa debba essere rivisto, re-inventariato. O meglio, che oggi potenzialmente questo –l’inventario- lo possiamo fare, oltre che doverlo fare. Nella nostra attualità ad esempio mi sembra che sia importante cercare di capire e di mostrare cosa ci si porti a casa, cioè cosa ognuno singolarmente si porta a casa, con lo stare nella condivisione; oltre tutte le sue fatiche, ovviamente, riconoscere le quali è doveroso prima che legittimo…
..e’ brutto questo? E’ brutto dare e legittimare le individualità? Sicuramente può avere derive negative, ma tanto quanto l’accettazione asettica e a-partecipativa di condizioni già date. Penso sia leale chiedersi quanto la collettività ci interessi, a tutti, giovani e adulti; o meglio in che termini ci interessa. Si può provare -insieme- a risignificarla?
Alessia