Luna da lontano

Lascia un commento

di Irene Auletta

Una delle cose più difficili con i figli disabili e’ guardarli da lontano, con uno sguardo capace di lasciare la contingenza del bisogno e della richiesta continua per assaporarne la possibilità della distanza.

Il nostro vicino vicino che, nel corso degli anni, accompagna sempre meno le nostre giornate, si è conquistato pian piano uno spazio di libertà reciproca ma, quando siamo insieme, solitamente riflette un tempo di sana solitudine che ci vede impegnate ognuna per conto suo.

In occasioni come queste invece, mentre tu sei in compagnia di altre persone, adulti, ragazzi e bambini, presa completamente dalla tua esperienza, mi capita di osservarti a distanza quando ci incrociamo nel centro vacanza e quasi sempre ti intercetto mentre sorridi.

E’ evidente la tua voglia di stare in gruppo, di curiosare ciò che ti accade intorno, di partecipare ai canti, quasi che le note sprigionate dagli occhi occupino appieno il posto delle tue parole assenti. Ogni volta ho la conferma che questa è la direzione giusta per te, nella possibilità di essere adulta anche per il fatto di vivere una dipendenza che non riguardi i tuoi genitori.

Ma la smetterò mai di commuovermi in queste situazioni? Credo di no e comunque … chissenefrega!

Reduce da settimane estive che hanno visto al centro la nostra vicinanza, la cura ricorsiva non stop, la voglia di stare insieme e la nostra innegabile fatica, qui ci prendiamo un tempo di respiro.

Io da te e tu da me. Si, a guardarla bene, il bisogno e’ proprio di entrambe esattamente come il desiderio e questo mi rende davvero felice.

Dopo una lontananza ci si può ritrovare più quiete, con la voglia di stare insieme e di raccontarsi. Così ti aspetto.

Ma oggi che tuffi hai fatto? Ti sei divertita? Sono davvero contenta. Ma sai che ti ho vista da lontano e ti ho trovata splendida?

Osservandoci forse e’ difficile capire quante cose belle stanno emergendo tra quelle due donne, sedute una di fronte all’altra, in silenzio. Noi abbiamo fatto tanta strada per arrivarci, non tramite le parole e il loro abuso continuo, ma attraverso le scintille nei nostri occhi che, incontrandosi, hanno imparato a narrarsi storie.

Il nostro gusto del bello, e’ tutto qui e lo teniamo stretto, stretto.

Joie de vivre

Lascia un commento

di Irene Auletta

Che gran voglia di vivere che ha Luna!

Questo, da anni, e’ tra i commenti ricorrenti delle persone che, per breve o lungo tempo, ti hanno incontrata.

In queste parole ritrovo il tuo sorriso e la tua risata contagiosa, la tenacia con cui affronti prove per te non semplici, unita a quella curiosità che ti fa vivere e gustare le esperienze, con tanta allegria.

Ormai è per noi molto chiara la tua difficoltà ad attivare il mondo, con una tua scelta ed intenzione e, se chi ti circonda non ti aiuta, tristemente, ti spegni un po’.  

Fortunatamente, al tempo stesso, se le persone e il contesto intorno a te risultano ricchi, propositivi, interessanti, stimolanti e gustosi, tu sei sempre in prima fila, con una forza e intensità che non raramente sorprendono.

Per questo la disabilità grave non può  rimanere in luoghi professionalmente muti e ciechi. Per questo abbiamo tanto bisogno di competenza e passione educativa e non di buona volontà. Abbiamo bisogno di circondarci di vitalità, fantasia, creatività, passione e bellezza. E ne abbiamo un bisogno talmente grande, che ne va della vita, di quella che, andando ben oltre il trascorrere del tempo, merita ogni giorno di essere vissuta.

Sono peculiarità imprescindibili e oggi non semplici da trovare nei servizi e negli operatori ma, quando gli incontri svelano queste possibilità, e’ impossibile non accorgersene e restare passivamente a osservare. Lì, tutti respiriamo gioia a pieni polmoni.

Ma la voglia vivere e’ un fatto genetico o un risultato educativo? 

Con tuo padre non abbiamo dubbi sulla seconda opzione, pur non togliendo valore alle nostre personali eredità educative. Accade spesso che ci raccontiamo di quello che in questi anni abbiamo messo a tua disposizione, anche e soprattutto, andando oltre il tuo limite. D’altronde, come ci insegna Zygmunt Bauman, nella vita la ricerca della felicità non è per i deboli di cuore!

In questo tuo padre è stato maestro, indicandoci la via e potenziando tutte le possibilità di condurti altrove a scoprire il mondo per sperimentarne le molteplici possibilità.

Ti ricordi di quando? E quella volta che? Se penso a quel giorno che … Meglio che questa cosa a mamma non la raccontiamo subito!

Abbiamo seminato possibilità per una vita bella e siamo certi che il tuo cuore e’ troppo grande per essersi perso qualcosa. 

Anche la speranza deve avere un cuore leggero.

Luna, sei pronta per andare?

RiflettendoCi

Lascia un commento

di Irene Auletta

La gente che ci vede ce lo chiede, ma voi chi siete?

Questa breve frase l’ho sentita diverse volte negli ultimi anni, in un ritornello cantato dagli operatori dei vari progetti TMA e in particolare, proprio di recente, l’ho ritrovata mentre il gruppo degli operatori, insieme ai bambini e ai ragazzi, attraversava il parco acquatico che da qualche anno accoglie e ospita le esperienze estive di settimane intensive TMA.

La gioiosità e la giocosità di questi operatori, ogni volta mi stupisce e mi sorprende nella loro capacità di accogliere e contenere il gruppo con il canto, accompagnando attività intense, mirate, profonde e mai casuali nelle intenzioni e nelle finalità educative e terapeutiche, prevalentemente in acqua, ma non solo.

In particolare questa frase mi raggiunge forte perchè da’ voce, in modo sereno e quasi felice, ad una domanda che evidentemente chi incontra la disabilità, come genitore o operatore, legge nello sguardo dell’altro.

Proprio stamattina mi è capitato di vedere il video di una mamma, che mi ha molto emozionata, raggiungendomi con una sottile onda di tristezza, di quella così profonda che quasi non ha un nome. Questa mamma riprende suo figlio disabile che arriva in un parchetto giochi e, appena lui si avvicina a delle attrezzature ludiche, pian piano tutti gli altri bambini si allontanano, lasciandolo da solo. Lei lo commenta con molta amarezza, ma senza perdere l’occasione di descriverla anche come esperienza abituale.

Due scene diverse, due immagini. A mio parere non una giusta e una sbagliata, una bella e una brutta, ma due scene diverse che riflettono gli sguardi che quotidianamente intercetta chi si trova al fianco di persone con disabilità. In realtà stamane il ritornello della canzone mi riempie della speranza di poter interpretare lo sguardo dell’altro, indipendentemente dalle intenzioni, connotandolo con elementi di curiosità, di non conoscenza, a volte anche di timore.  

Questo dire La gente che ci vede ce lo chiede, ma voi chi siete? … e  noi gli rispondiamo, prosegue il canto, potrebbe essere una bella indicazione per tutti noi che attraversiamo il mondo della disabilità, attraversati continuamente dagli sguardi che ci incontrano. 

Chi come me si occupa di cura, anche per professione, conosce bene il valore e l’effetto dello sguardo dell’altro sulla crescita e sui processi di riconoscimento della propria identità dei bambini e dei ragazzi. Sempre di più, negli anni, ho imparato quanto lo stesso sia imprescindibile anche per i genitori. 

I genitori che vivono l’esperienza della disabilità molto spesso nascono e crescono fortemente condizionati dallo sguardo dell’altro che sovente rischia di restituire prevalentemente gli aspetti di ombra, di mancanza, di sfortuna, di tristezza, di dispiacere. Allora la gioiosità del canto e di quella domanda rinnovata, mi fa intravedere altri aspetti dell’esperienza con la disabilità che possono brillare di curiosità, di stupore, di meraviglia, di leggerezza, di magia.

Quando in questi giorni ti guardo arrivare, serena, felice e sorridente, anche se zoppicante, colgo nel tuo sguardo la possibilità di aver vissuto qualcosa di bello, impegnativo, leggero, divertente, con persone diverse da noi genitori che possono scoprirti e farti scoprire in aspetti inediti, proprio grazie ai loro sguardi differenti.

Lì, in quel riflesso di novità, c’è tutta la gioia possibile. La raccolgo a piene mani e nel nostro abbraccio te la sussurro, in barba alle inevitabili ombre.

Eccoti qua, il mio altro pianeta preferito!

Quanto di più simile a un bacio

Lascia un commento

di Irene Auletta

Non mi piace parlare di fortune o sfortune perché sono categorie a me distanti, ma di certo la vita a fianco di una persona con una disabilità come la tua, definita gravissima (anche questa categoria poi mi lascia abbastanza tiepida!), attiva i sensi e permette di guardare la vita da particolari prospettive.

Stamane mi ha profondamente toccato il post dell’amica Fiorella che si rivolge ad un’ipotetica coetanea in condizioni di vita evidentemente differenti dalla sua e cioè lontana da quelle pressioni di cura che fanno parte in modo imprescindibile della nostra vita.

Chi di noi, non più giovanissima (ma non solo!), non si misura in modo forte con i timori e i tremori rivolti al futuro? Cosa farcene di tante preoccupazioni che a volte stringono il cuore fino a togliergli il respiro?

Ognuno di noi, madre o padre, ricorre alle sue strategie, come il sorriso malinconico di cui parla Fiorella e che mi pare di riconoscere anche per affinità e vicinanze che ci legano.

A me piace costruirmi possibilità e cercarne piccoli bagliori di luce in ogni pertugio. Di fronte al tuo silenzio cerco la musica dei suoni assenti oppure di quelli che gioco a riprendere nella nostra intima melodia e, di fronte ai tuoi gesti, invento nuovi vocabolari di senso che tante volte forse servono più a me che a te. Di certo nutrono la nostra relazione d’amore.

E così in questi giorni torna, ma in modo più delicato e gentile, quello schioccare di labbra che ripeti in alcune particolari occasioni. A volte ti ritrovi vicino alla mia guancia e mi arriva con una bella intensità proprio quello. Quanto di più vicino a un bacio.

Le genitorialità come la mia, senza volerne negare la complessità, possono avere una marcia in più perché, potendo dare pochissimo “per scontato” e raccogliendo piccoli semi di quanto in condizioni differenti forse neppure si percepisce, affinano i sensi e il gusto di ciò che accade.

E allora, proprio quel bacio che sa di ricerca, di scoperta, di gioco e di sorpresa, e’ quello che ogni giorno mi spinge a cercare conforto nelle nostre speciali meraviglie.

Oggi questo bacio, Fiorella, lo dedico a te e a quel noi vicino al mio cuore, che sa di essere proprio .

Sentieri di luce

Lascia un commento

di Irene Auletta

Ne parlavo proprio ieri con tuo padre della mia difficoltà a scrivere. Sono mesi che vivo ingarbugliata in vicende che sento molto più grandi di me e che, nel mio micromondo e in quello che mi circonda, finiscono con il lasciarmi afasica.

Stamane leggevo su Facebook di una persona che si chiedeva cosa poter fare di fronte a quanto sta accadendo e del senso di impotenza di fronte al dolore, alla morte, alla violenza che, ancora una volta, lascia sgomenti in merito alle azioni umane e incapaci di esprimere opinioni, se non quelle universali che ci ricordano cosa “non si dovrebbe mai fare”, per citare il passaggio di una bella poesia di Rodari.

Certo che grandi tragedie finiscono sempre con il relativizzare quelle piccole e mi chiedo se in fondo non è proprio questo quello che possiamo fare. Imparare ogni giorno da ciò che ci circonda, vicino o lontano, facendo attenzione alle pericolose derive che possono trarre in tentazione, fino a farci perdere il senso del nostro cammino.

A me, negli anni, è accaduto parecchie volte di isolarmi dal mondo, di sentirmi estranea e di cogliere nel mio sentimento più profondo il rischio di perdermi nel giudizio severo. Possibile che sia tutto così banale? E se quello su cui sembri avere tante certezze riguardasse te? Come non rendersi conto di vivere un momento sereno e positivo che la vita potrebbe interrompere in qualsiasi momento? Perchè abbiamo bisogno di incontrare i nostri piccoli/grandi drammi per accorgerci di quello che abbiamo perso finendo smarriti nel rimpianto? 

Quesiti che mi hanno lasciata sempre esausta, con l’amaro in bocca, incapace di sentirne un qualsivoglia beneficio.

Ti guardo travolta da quei tremori che quando arrivano non ti lasciano tregua e che ogni volta ci portano a rivedere i dosaggi di farmaci che molti adulti anziani non hanno mai neppure lontanamente incontrato nella loro vita. Non ti arrendi mai, tenacemente trovi modi per reagire, per stare in quello che ti accade e ogni volta ti guardo con orgoglio, per quella forza che sembra impossibile in quell’essererina che appare così fragile e indifesa.

E’ quella tenacia che mi insegni ogni giorno, insieme alla voglia di continuare a chiedermi, capire, provare a comprendere, continuando a stare con mille domande aperte per non chiudersi nel proprio piccolo orizzonte.

Ancora una volta tu, lontana e totalmente ignara di ciò che sta accadendo nel mondo, mi indichi la vita.

Liberi di ingegnarsi

Lascia un commento

La nostra vasca da bagno è situata sotto una finestra, con un davanzale interno che finora hai visto solo come possibile appoggio per il tuo equilibrio durante la doccia. Domenica mattina, nel tempo lungo di quei passaggi di cura che provo a rendere morbidi per rispettare i tuoi tempi, già con indosso l’accappatoio temporeggi e, per la prima volta, ti appoggi al davanzale fino a sedertici sopra sperimentando varie possibilità anche per contrastare il possibile scivolamento.

Io ti osservo a distanza cercando di non interferire ma al tempo stesso pronta ad esserci in caso di bisogno. Cosa c’è di strano in questa scena? Ci sono voluti più di vent’anni per poterla intravedere e a te per trovare un interesse diverso e per provare altro. Anche questa è la disabilità.

Tenacia, speranza e fiducia sono gli ingredienti indispensabili per qualsiasi piccolo o grande cambiamento. Lo sanno bene tanti genitori e tanti operatori che ogni giorno, anche dopo anni, riescono a sorprendersi per quell’inatteso che arriva a far intravedere uno spazio per imparare che, se nutrito, ascoltato e visto, può rappresentare uno luogo aperto alle possibilità di crescere.

Spesso le persone con disabilità, soprattutto quelle che vengono definite gravi o gravissime, mostrano davvero tanti aspetti della loro personalità che possano risultare in un contrasto fortissimo e difficili da comprendere.

Tu, figlia mia, sei capace di sorprendermi ogni giorno con le tue espressioni da adulta, con il tuo ascolto raffinato, con il tuo essere presente sempre, proprio in quel momento. Ma sei anche la stessa persona che si perde nei suoi comportamenti stereotipati, che ancora oggi per esprimersi si butta a terra ovunque, che ogni tanto è in un altrove irraggiungibile.

Il rischio di arrendersi o di banalizzare è sempre alle porte e, per anni, ho sofferto ogni volta che qualcuno ti ha descritta solo per una parte, spesso utilizzando parole a me lontane e respirato di fronte a chi ha saputo vedere le altre sfumature che sei. 

Tutti i genitori hanno bisogno di sentirsi raccontare i loro figli dal mondo e purtroppo se la narrazione non riesce ad andare oltre i paragrafi di alcune competenze e prestazioni standard (ma poi per chi?), sono tanti quelli che alla fine rischiano di rimanere emarginati e di gettare la spugna.

Io spero di continuare resistere e, per tale motivo, continuo a scrivere e a raccontare con la speranza di infondere in tanti altri la stessa forza e direzione. Forse dietro alcune definizioni dobbiamo avere il coraggio di chiedere provando ad andare oltre. Cosa intendi quando dici oppositiva? Cosa vuol dire testardo? E perchè dici capisce quando gli fa comodo?

Forse, ma sono abbastanza certa che sia così, tante parole per gli operatori e per i genitori hanno davvero un peso assai diverso e credo che nella bilancia complessa e difficile delle relazioni sia necessario continuare a provare a trovarsi a metà strada. 

Le parole svelano mondi di significati e solo insieme, genitori e operatori, possiamo intravedere nuovi sentieri per incontrare, stare e pensare tante condizioni di vita che, ogni giorno, hanno diritto di essere viste e rispettate.

Anche per oggi un nuovo mantra. 

Per me, per te, per tanti altri.

Da lontano

Lascia un commento

di Irene Auletta

Ieri ti ho accompagnato io e come sempre riservi la sorpresa di un nuovo comportamento. Da qualche settimana, in tempi di riorganizzazioni dei servizi, stiamo sperimentando l’esperienza di un educatore del tuo Centro Diurno che passa a prenderti e trascorre con te qualche ora fuori casa. Per due settimane consecutive ad aspettarti c’è stata la tua educatrice di riferimento e, in entrambe le occasioni, hai subito lasciato la mano di tuo padre per dirigerti con felicità verso l’avventura di quell’incontro inatteso e straordinario, proprio nel senso di fuori dall’ordinaria abitudine.

Fuori dal cancello questa volta ti aspetta un educatore che conosci altrettanto bene e che con te condivide già da qualche anno l’esperienza della piscina, che ti piace moltissimo. Mentre te lo anticipo sei sorridente e subito disponibile ad uscire ma appena lo intravedi resisti un po’, con quella mano che si stringe nella mia e che mi tira come un invito a seguirti. Ti convinco in fretta e ti dico all’orecchio che finalmente ti potrai liberare per qualche ora di mamma e babbo.

Già tuo padre mi aveva raccontato del sentimento strano nel vederti allontanare per mano a qualcun’altro in questo contesto particolare e ne trovo anch’io la conferma. Mentre siamo insieme immerse nella nostra bolla tutto è certamente più familiare ma guardandoti da lontano ti vedo forse più nitidamente anche con gli occhi altrui, di chi non ti conosce. 

I figli forse andrebbero sempre guardati da lontano per scoprirne sfumature che di certo la vicinanza rende sempre meno nitide. Per me, ogni volta, la tua disabilità è uno schiaffo in faccia, di quelli che subito si sintonizzano con il nodo in gola.

E’ solo un attimo prima che la figlia conosciuta e amata riprenda il suo posto anche negli occhi, ma quella lontananza ha lasciato ancora una volta il suo piccolo segno che si aggiunge agli altri delicati da curare e custodire nel mio scrigno più segreto.

In questi giorni hai riscoperto il gioco di camminare a occhi chiusi, che a periodi torna nelle tue sperimentazioni. Ti guidano le mani a incontrare gli ostacoli sul tuo percorso e ogni tanto sbirci con quell’espressione buffa che, per noi genitori, è di una bellezza struggente. Da vicino e da lontano, tra le esperienze del nostro rapporto con il mondo sin da piccoli. Come ci vedi figlia da lontano? 

Io sto imparando a guardarti da lontano, oltre quella prima dolorosa impressione e so che devo fare ancora tanta strada. Più ti allontani e più il cuore perde il controllo ma, ancora una volta mi dai una bella lezione. Prendendomi per mano e tenendo gli occhi chiusi mi inviti a seguirti in giro per casa. 

Chiudo gli occhi anch’io e ti ritrovo ad aspettarmi, in quel profondo familiare che batte. Aspettami tesoro, che pian piano arrivo.

Pianeti preferiti

Lascia un commento

di Irene Auletta

Approfittando di una tua giornata a casa dal Centro, andiamo a comprare gli stivali per le tue nuove sperimentazioni a cavallo. Tarda mattinata, in un grande negozio sportivo, meta di altri madri e padri con i loro figli in pausa forzata dalla scuola. 

Interessate agli stessi articoli, a fianco a noi, madre e figlia che potremmo essere noi se non fosse per l’abisso che ci divide. La madre segue un po’ annoiata le molteplici prove della figlia che pare non convincersi sulla scelta. In piedi nel corridoio osserva la figlia gettando un’occhio a lei e uno al suo cellulare. Lo saprà quella madre che si sta godendo una libertà affatto scontata?

Io, inginocchiata ai tuoi piedi, nel tentativo di infilarti stivai e stivaletti, guardo la scena dall’esterno e mi sento incerta sul mettermi a ridere o farmi travolgere dallo sconforto. Dai tesoro guarda quello stiamo facendo, mettici forza anche tu, aspetta ad alzarti che ne manca ancora uno.

Sto morendo di caldo e mentre cerco di convincerti dolcemente a seguire le mie indicazioni, provo a togliermi il giacchino cercando di non disturbare la tua concentrazione e di evitare di dover iniziare a rincorrerti di nuovo per i corridoi.

Dai sbrigati che sono davvero stravolta, dice l’altra madre seguendo la figliola  che volteggia per il negozio, guarda quella ragazzina com’è tranquilla!

No dai, ora ho troppa voglia di farle gli occhi cattivi. Allora mi avvicino e te lo racconto all’orecchio e insieme ridiamo, io per resistenza e tu per le cose buffe che ti dico, compreso il ricordarti gli scherzi che ti ho fatto mentre, prima di convincerti a sederti, ti rincorrevo per le varie corsie del negozio. 

Finalmente stamattina ti guardo mentre a cavallo sfoggi i tuoi nuovi stivali di cui non ti interessa nulla. E hai ragione tu. Penso alle corse fatte per arrivare fin qui. Cambiarti, lavarti, vestirti. La colazione, le medicine. Rivestirti perchè nel frattempo ti sei già tolta il giacchino e sfilata una scarpa. 

Finalmente stamattina ti guardo mentre a cavallo sfoggi i tuoi nuovi stivali di cui non ti interessa nulla. E hai ragione tu. Penso alle corse fatte per arrivare fin qui. Cambiarti, lavarti, vestirti. La colazione, le medicine. Rivestirti perchè nel frattempo ti sei già tolta il giacchino e sfilata una scarpa. 

Ti guardo a distanza, felice ed emozionata per questa nuova esperienza e mi godo il tepore di questo bellissimo sole autunnale. Prendo forza dalla luce perchè so che ne avrò bisogno per tutto il giorno. Essere stravolte può essere un lusso o una punizione divina.

Ti ascolto ridere di gusto e davvero, almeno per oggi, non ho dubbi.

Ci preferisco.

Derive e orizzonti

Lascia un commento

di Irene Auletta

Proprio in queste ultime settimane, trovandomi più volte a confrontarmi con sguardi, pensieri ed emozioni di alcuni genitori con figli disabili, ho pensato tanto ai rischi sempre in agguato di scivolare in angoli bui.

Pensarsi sempre in credito con il mondo rivendicando un atteggiamento risarcitorio, descriversi ogni volta con quel livello di bisogno in più, percepirsi e viversi come un mondo a parte che tanto gli altri non possono capire e, via di seguito, verso questa direzione che molti potranno facilmente riconoscere. No, non sono mai state queste le mie traiettorie di vita e mi auguro non lo diventeranno mai.

Mi dispiacerebbe assai per me e per te, per la nostra storia d’amore e per tutto quello che stiamo costruendo in questo nostro strampalato e non semplice incontro. Ho imparato molto con te e come ha detto di recente tuo padre, sei la cosa più bella che ci è successa. Senza nulla togliere alla fatica e a tutti gli annessi e connessi di vicende analoghe alla nostra.

Ho imparato che la felicità e il dolore possono stare vicini, scritti nella stessa frase e nascosti timidamente nello stesso angolo del cuore. Così come il dispiacere e l’orgoglio, la pena e il sollievo, le ombre del futuro e la tenace speranza.

La Covid, ho scoperto di recente che pare si dica al femminile, “ti farà un baffo, dopo quello che hai attraversato in questi anni!”, mi ha detto oggi una persona che non sentivo da parecchio tempo. Non so se è proprio così, ma so per certo che anche in queste settimane, ho cercato di non farmi travolgere dal “povera me che sono pure bloccata a casa con una figlia disabile!”. La tentazione è forte e la comprendo benissimo. Sospendo davvero il giudizio verso chi rimane intrappolato in pensieri come questo, ma io non posso accettarlo e per me sarebbe davvero un danno collaterale insostenibile e troppo oneroso.

Ma allora, come sono andate queste settimane, mi chiedo? Ti ho vista crescere, inciampare e rialzarti come sempre fai nella tua vita, stupirci ogni volta per la disponibilità a stare in un cambiamento per te senza senso ed essere sempre la perla lucente del nostro trio. 

Ti guardo curiosa, ammirata e ancora una volta, grata. Ciò che ci accade , in moltissime circostanze, non possiamo cambiarlo ma, di sicuro, possiamo cambiare sempre il nostro modo di viverlo e di starci.

Sta a noi scegliere tra il respiro corto o la luce negli occhi rivolti all’orizzonte e noi scegliamo, ogni giorno.  Grazie Luna della Terra.

Chi di bellezza vive

Lascia un commento

di Irene Auletta

La vita con te ci è andata giù pesante e, proprio in questi giorni, il fantasma della tua malattia autoimmune torna a bussare alle nostre porte. Ho cercato di tenerlo a bada, di non fargli invadere lo spazio, di non fargli togliere troppa luce ma, le voci dominanti e la realtà, ormai non fanno altro che renderlo sempre più forte e potente.

In questi casi spesso mi chiedo come stai vivendo questo cambiamento. Sei a casa da quasi tre settimane e le nostre possibilità si sono drasticamente ridotte. Tutto quello che adori, cinema, teatro, musei, pranzare all’Ikea, piscina, al momento è fuori dalla lista delle possibilità. E allora cosa ci rimane? 

Come sempre, mentre ti guardo, trovo in te le mie risposte più preziose. Ti sei appena risvegliata da un pisolino mattiniero, dopo uno dei tuoi risvegli notturni. Lo sai che rimarrai ancora a casa con mamma e babbo per diversi giorni? Che parole posso usare? Che faccio ora, parlo di virus, contagio, paure? 

Mai come in questi giorni mi risulta sempre più chiara la differente direzione che possono prendere gli sguardi di fronte a qualcosa di grande e spesso non facilmente comprensibile. Escludendo i complottisti dell’ultima ora sempre pronti a sventolare la loro bandiera, penso a quanti interpretano quello che sta accadendo come un messaggio quasi sovrannaturale, o della natura stessa, di fermarsi, rallentare, ritrovare nuove occasioni e possibilità.

Non posso che condividere alcune di queste riflessioni ma partendo da una differente prospettiva e cioè, più che interpretare l’intenzionalità di segni e segnali, a me piace ascoltarli per capire di quali possibilità nuove possono essere portatori.

Penso che in fondo è un po’ la stessa differenza tra chi pensa che un figlio disabile sia un dono e chi, con dolore, serietà, fatica, amore, instancabile ricerca di felicità, prova a inventarsi e vivere ogni giorno una genitorialità straordinaria, intesa proprio nel senso di fuori dall’ordinario.

E così, torno alle mie domande e stupita ti osservo mentre da giorni non chiedi di uscire, proprio tu che passi il tempo chiedendoci di farlo. Mentre ti racconto percepisco un senso condiviso che va oltre qualsiasi parola e ancora una volta, proprio tu, incapace di intravedere un futuro, mi stai insegnando ogni giorno a gustarci il presente o ancora meglio, proprio questo momento qui.

Ma senti, non è anche bello stare così tanto a casa con mamma e babbo? 

Facciamo le nostre facce innamorate …. e ridiamo, ridiamo.

Older Entries