Incontri al cloro

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di Irene Auletta

Scusa se ti osservo tanto ma ogni volta che ti vedo penso che mi piacerebbe imparare da  una mamma come te.

Ci incrociamo da circa un anno, una volta alla settimana, in piscina con i nostri figli. Il suo un bambino, la mia una signorina, lei una giovane donna, io con parecchi anni in più.

Di fronte alla sua affermazione prendo tempo anche perché la vestizione ci chiama mentre già penso al momento di infilarti  la muta e alla mia spalla dolorante. 

Poco dopo, mentre siamo in attesa a bordo vasca, osservando da lontano i nostri figli le chiedo se ha piacere di spiegarmi la sua affermazione di poco prima.

Così mi racconta delle preoccupazioni per il futuro e dei timori di fronte alla crescita del suo bambino. Vedi, ora quasi non si vede la sua differenza ma quando vedo i ragazzi grandi e gli stessi comportamenti mi chiedo come farò a gestirli. Si smette di soffrire con il tempo? Quando ti guardo con tua figlia mi sembri così serena e allora penso che forse è possibile!

Quante volte ho sentito queste frasi e forse io stessa le ho formulate dentro di me. Le sorrido mentre riesco solo a dire che si impara a diventare genitori grandi insieme alla crescita dei nostri figli, esattamente come fanno tutti i genitori ma dentro di me so che manca un pezzo importante e che sto scivolando sulla superficie. 

La settimana successiva mentre all’arrivo ci salutiamo, mi avvicino con alcuni fogli raccolti proprio per lei. Ho pensato alle tue domande e, se può esserti utile, ti ho portato queste poche pagine da leggere che in passato sono riuscite, e ancora oggi riescono, a consolarmi anche nei momenti più bui. 

Ci sorridiamo e così accade anche nelle settimane successive quando mi dice, toste quelle pagine grazie, ma sappi che continuerò a guardarti per rubarti i segreti!

Il dolore mi ha insegnato e continua a insegnarmi davvero tanto ma ci sono incontri che riescono a restituirmi nuove sfumature di senso di questa avventura insieme a pizzichi di inattesa serenità. 

Ti osservo da lontano e ti vedo, sempre con un po’ di maldicuore, con tutte le tue enormi difficoltà  e con i  tuoi limiti. Però, mentre mi avvicino alla vasca, i contorni dei sentimenti vanno sfumandosi e di fronte a me vedo solo mia figlia.

La vita, con tutte le sue strampalate altalene, per ora non può che strapparmi un sorriso mentre ci ritroviamo in quell’abbraccio al cloro che ci fa Noi restituendomi la bellezza del nostro incontro.

Salto ancorato

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di Irene Auletta

Luna ha una passione per il salto

Da piccola, quel suo movimento che si traduceva in un molleggiamento delle ginocchia che coinvolgeva tutto il corpo, spesso veniva scambiato per una voglia di ballare e forse a volte era, ed è tuttora, ancora così.

Quando però ho iniziato a vederci un possibile salto e ho cominciato a esplicitarlo, ho avuto la conferma che quello era proprio un desiderio del corpo. Così, quando accadeva, mi capitava spesso di spingerla a continuare, provando a offrirle piccoli appoggi perchè la gravità, anche solo per pochissimi secondi, le consentisse di sollevarsi.

Anche stamane, stranamente eravamo in anticipo, Luna mi ha proposto quella voglia del suo corpo che non lascava dubbi e allora, come spesso accade, l’ho invitata ad appoggiarsi a me per vedere se i piedi potevano fidarsi a lasciare il suolo.

Indubbiamente tutto il corpo salta. Saltano le ginocchia, le braccia, gli occhi, la voce, ma i piedi rimangono lì. 

Salta Luna che ce la fai e così, con la tua forte tenacia insisti e un piede, per una frazione di secondo di stacca leggermente da terra fino a coinvolgere anche l’altro. La gioia, contagiosa, prende il sopravvento e io sono li a incoraggiarti  ridendo con te.

Felice, insisti un po’ e ogni tanto la magia accade nuovamente.

Dall’esterno credo che la scena risulterebbe assai bizzarra e soprattutto, occhi non allenati, immagino farebbero davvero fatica a percepire quel salto. Ma noi lo sappiamo che c’è e ce lo gustiamo ogni volta che si intravede accadere, assaporando la straordinaria ricerca che fai per andarlo a trovare.

Mi insegni questo ogni giorno figlia mia e, andando oltre tante banalità che orami sono diventate slogan quotidiani in netto contrasto con le azioni ricorrenti che ci circondano, stamane con te raggiungo attimi intensi di felicità.

Quelli minuscoli, che con te ho imparato a cercare e a trattenere nei nostri voli ancorati.

Salta Luna, vola in alto, che da mi aiuti a stare al mondo.

La morbidezza dei muri

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di Irene Auletta

Cadere, medicarsi le ferite e rialzarsi. Cadere, medicarsi le ferite e rialzarsi. Cadere, medicarsi le ferite e rialzarsi.

Per me l’incontro con la disabilità è stato questo, ed è questo ogni giorno.

Sono convinta che quest’esperienza non sia di per sé un’esperienza ricca, positiva e generativa di possibilità, ma un’esperienza che ogni giorno ci sfida e sfida le nostre possibilità di trasformare quello ci accade in una possibilità.

Ci sono altre possibilità? Ci sono altre strade?

Certo che ci sono. Sono quelle dell’abbattimento, dell’impoverimento, della rinuncia, della rassegnazione, della rivendicazione, dell’amarezza.

E’ questo che ho imparato finora nell’incontro con la disabilità, che è stata rimandata a me la palla rispetto al tipo di vita che voglio vivere e offrire a mia figlia, provando a scegliere e riscegliere, ogni giorno. Indubbiamente questa è anche una sfida alle mie risorse, perchè tutti noi abbiamo risorse differenti e non tutti siamo in grado di fare le medesime scelte.

Per me però è molto importante questa direzione che spesso incrocio anche nel mio lavoro e, proprio poco tempo fa, con un gruppo di educatrici accennavo al valore della Teoria dei Vincoli e alla necessità di poter accogliere il vincolo, a volte anche arrendendosi un po’, per poter scoprire come questa resa, quest’accoglienza, può far emergere nuove possibilità. 

Forse ogni tanto dobbiamo proprio smetterla di voler abbattere il muro che ci troviamo di fronte e magari provare a dipingerlo con colori di luce e fiori allegri! dice un’educatrice. E continua … può essere che il muro diventi così un’occasione per esprimere la nostra creatività, facendolo apparire quasi morbido!

Mi è sembrata un’immagine bella e penso ci possa indirizzare verso un altro modo di vivere le esperienze difficili. Questo naturalmente non vuol dire avere il pensiero magico del “va tutto bene”, né pensare che le esperienze difficili sono in automatico belle, che non ci saranno più difficoltà e, per quanto riguarda nello specifico della disabilità, che si supereranno tutte le fatiche e i costi con essa costitutivamente intrecciati.

Però questa mi pare una scommessa importante sulla qualità della vita e sulla qualità di quello che vogliamo offrire ai nostri figli disabili. Questo orientamento dello sguardo non ha nulla a che fare con il falso ottimismo o il buonismo della teoria del dono, ma si configura come quella spinta alla scelta di vita che sia il più possibile dignitosa e ricca anche nell’attraversamento di tante, e tante, difficoltà.

So bene che continuerò a cadere, a dovermi medicare le ferite ma mi auguro, e lo auguro a tante altre famiglie amiche di avventura, di riuscire a trovare la forza e la motivazione per rimettermi in piedi ogni volta, già con la ricerca curiosa negli occhi, verso i nostri orizzonti possibili. 

Chissà che questo non lo si possa in qualche modo trasmettere anche a chi, inciampando in un sassolino, si rappresenta già di fronte alla montagna!

Viaggiando pensieri

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di Irene Auletta

I nostri viaggi in auto sono da anni uno spazio sacro che ci permette di attraversare alcuni momenti vivendo una quieta tregua. Da quando poi sei diventata abbastanza grande per viaggiare seduta al mio fianco, mi godo quasi sempre pause di pace serena, osservandoti.

Quando eri piccola, molto spesso ero travolta dall’esigenza di riempire il vuoto del tuo silenzio, soffocando con le mie parole vuote e inutili tutto l’indicibile che stavo attraversando. Poi, pian piano, e’ arrivato l’ordine a sistemare i pensieri e i battiti del cuore e da allora il tuo silenzio e’ diventato uno dei momenti più pieni e intensi del nostro stare insieme. 

Ti guardo seduta al mio fianco mentre guido tranquilla in una città quasi deserta per le festività natalizie. La musica ci accompagna dolcemente a sostegno di quegli sguardi pieni che ci scambiamo ogni tanto. 

In realtà io cerco di ascoltare il più possibile il racconto dei tuoi occhi e provo a immaginare cosa ti arriva oltre, nella mente e nelle emozioni. Mondi imperscrutabili a cui ormai mi sono completamente arresa.

Eppure, in questa bolla c’è tanta energia e io stessa, come te, ci metto un po’ a decidermi di lasciare quel luogo sicuro per gettarmi nel mondo. 

E così tu, per farmi sentire proprio intensamente il rifiuto di quell’idea di gettarsi oltre, fai di tutto per rendere complicato il passaggio successivo. Non vuoi scendere, poi non vuoi salire in ascensore, non vuoi togliere il capotto. Non, non, non, moltiplicato parecchie volte. Anche per te e’ difficile vero amore?

Inutile ripetere (ma forse no, continuerò fino alla nausea!) che ripenso a queste scene ogni volta che sento alcuni operatori che lavorano con persone disabili parlare di comportamenti testardi, oppositivi, poco collaboranti. E via di questo passo in una fiera di banalità a cui, per fortuna, non mi sono ancora arresa, forte anche dell’incontro con tanti altri operatori sensibili, competenti e attenti.

La povertà dell’altro sovente riflette la povertà degli sguardi che incontra e ahimè ancora oggi, con la disabilità di strada ne abbiamo da fare parecchia. Ma se lo immaginano questi operatori, il peso di alcuni zaini di vita, le fatiche di ogni giorno, il bisogno di farsi capire da un mondo sordo? E poi, sia chiaro, non parliamo di una fatica o sofferenza di passaggio, che questa appartiene all’umano, ma di una condizione di vita che, a fianco della persona disabile, diventa quella della sua famiglia. Iniziate a moltiplicare per quindici, venticinque, trentacinque, quarant’anni.

Forse, dove non riesce ad arrivare la competenza professionale e il sapere tecnico, potrebbe esserci uno sguardo capace di cercare senza smarrirsi in facili etichette. Io, in tutti i luoghi professionali che attraverso, non perdo l’occasione e la speranza di continuare a nominare altro, quanto meno, fa bene a me.

Con le stampelle dei tanti non alla fine riusciamo a voltare pagina e anche stavolta buttarla in musica e’ un modo per salvarsi. 

E poi Luna, guarda un po’ cosa troviamo ad aspettarci?

Hey, hey, hey, hey, hey 
Proverò a pensarti mentre mi sorridi 
La capacità che hai di rasserenare 
Mi hai insegnato cose che non ho imparato 
Per il gusto di poterle reimparare 
Ogni giorno mentre guardo te che vivi 
E mi meraviglio di come sai stare 
Vera dentro un tempo tutto artificiale 
Nuda tra le maschere di carnevale 
Luce dei miei occhi, sangue nelle arterie 
Selezionatrice delle cose serie 

…….

Sentieri di luce

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di Irene Auletta

Ne parlavo proprio ieri con tuo padre della mia difficoltà a scrivere. Sono mesi che vivo ingarbugliata in vicende che sento molto più grandi di me e che, nel mio micromondo e in quello che mi circonda, finiscono con il lasciarmi afasica.

Stamane leggevo su Facebook di una persona che si chiedeva cosa poter fare di fronte a quanto sta accadendo e del senso di impotenza di fronte al dolore, alla morte, alla violenza che, ancora una volta, lascia sgomenti in merito alle azioni umane e incapaci di esprimere opinioni, se non quelle universali che ci ricordano cosa “non si dovrebbe mai fare”, per citare il passaggio di una bella poesia di Rodari.

Certo che grandi tragedie finiscono sempre con il relativizzare quelle piccole e mi chiedo se in fondo non è proprio questo quello che possiamo fare. Imparare ogni giorno da ciò che ci circonda, vicino o lontano, facendo attenzione alle pericolose derive che possono trarre in tentazione, fino a farci perdere il senso del nostro cammino.

A me, negli anni, è accaduto parecchie volte di isolarmi dal mondo, di sentirmi estranea e di cogliere nel mio sentimento più profondo il rischio di perdermi nel giudizio severo. Possibile che sia tutto così banale? E se quello su cui sembri avere tante certezze riguardasse te? Come non rendersi conto di vivere un momento sereno e positivo che la vita potrebbe interrompere in qualsiasi momento? Perchè abbiamo bisogno di incontrare i nostri piccoli/grandi drammi per accorgerci di quello che abbiamo perso finendo smarriti nel rimpianto? 

Quesiti che mi hanno lasciata sempre esausta, con l’amaro in bocca, incapace di sentirne un qualsivoglia beneficio.

Ti guardo travolta da quei tremori che quando arrivano non ti lasciano tregua e che ogni volta ci portano a rivedere i dosaggi di farmaci che molti adulti anziani non hanno mai neppure lontanamente incontrato nella loro vita. Non ti arrendi mai, tenacemente trovi modi per reagire, per stare in quello che ti accade e ogni volta ti guardo con orgoglio, per quella forza che sembra impossibile in quell’essererina che appare così fragile e indifesa.

E’ quella tenacia che mi insegni ogni giorno, insieme alla voglia di continuare a chiedermi, capire, provare a comprendere, continuando a stare con mille domande aperte per non chiudersi nel proprio piccolo orizzonte.

Ancora una volta tu, lontana e totalmente ignara di ciò che sta accadendo nel mondo, mi indichi la vita.

Universi morbidi

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di Irene Auletta

A volte anche la scrittura ha bisogno di prendersi una pausa quando le parole hanno necessità di ritrovare uno spazio di quiete, per riposarsi e pensarsi. E così, pensando alla necessaria pausa delle mie parole di questi ultimi mesi, mi è tornato alla memoria l’invito ripetuto, della tua e mia maestra Feldenkrais, di cercare la morbidezza.

In fondo la morbidezza non riguarda solo il corpo ma coinvolge anche le emozioni, i sentimenti e quello che poi riusciamo a giocarci nelle nostre relazioni. Io assomiglio parecchio a mio padre e quando vivo un dolore o un forte disagio mi guardo sovente, nell’angolino della vita, a limare mente e cuore, a renderli appuntiti e spigolosi. Anche questa è un’eredità.

Accorgersene è probabilmente la nostra differenza più grande e, in una recente passeggiata, ho avvertito di nuovo quel sentore morbido che permette alla vita di fluire diversamente. Le cose da affrontare rimangono le stesse ma le loro forme, diventando più rotonde, permettono di respirare diversamente e di guardarne inedite prospettive.

Me lo insegni ogni giorno figlia, quando la rigidità dei gesti, delle posizioni e dei comportamenti può spingere esattamente nella stessa direzione conducendo ad un inevitabile insuccesso e dispiacere per entrambe. Allora il gesto gentile, il tono moderato, il silenzio, l’attesa o la sdrammatizzazione di uno scherzo ci aiuta a cambiare il passo e il sorriso che compare giustifica il senso di quell’ennesima ricerca. 

Giorni strani questi della fine di un lungo anno, per me e per tanti altri affatto facile. Giorni in cui si salutano maestre, si pensano nuove speranze per il futuro vicino e lontano, si cercano pertugi di piccole scintille che non facciano smarrire la propria e unica via.

Stiamo vivendo momenti difficili, per molti individui e per l’umanità e non posso che augurarmi, e augurare, di avviarsi verso il nuovo anno accompagnati dallo spirito della ricerca, consapevoli che proprio in quegli spazi morbidi è sempre possibile gustarsi ciò per cui gli occhi possono ancora brillare di curiosità.

Noi vediamo l’universo come lo vediamo perché esistiamo.Stephen Hawking

Esploratori di significati

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di Irene Auletta

Non smetterò mai di parlare dell’importanza delle parole che utilizziamo come educatori e, più in generale, come operatori impegnati in relazioni educative o di aiuto alla persona. Naturalmente vale lo stesso per i genitori, ma quella è una storia che osservo da un altro punto di vista e con differenti valutazioni.

In particolare, pensando al mio lavoro con gli educatori, mi risuonano espressioni come capriccioso, testardo, pigro, oppositivo, demotivato, aggressivo. Ognuno può arricchire la sua personale lista. Ma io, ogni volta, mi chiedo cosa vuol dire?

Mi sembrano etichette vuote, che non parlano di nulla e che invece ci spingono a cercare puntualità e profondità, prima di tutto nel rispetto delle persone a cui ci rivolgiamo e subito dopo in quello della nostra professionalità.

Più volte mi è capitato di sottolineare il ricorrere di alcune parole, e dei significati correlati, a seconda del destinatario dei vari servizi educativi.

Avete presente è intelligente ma non si applica, potrebbe fare di più? Come potrebbero non risuonarci echi sentiti tante volte negli incontri scolastici? Ma non meno frequenti e ricorrenti le altre parole nominate, sovente rivolte sia a bambini piccoli che a bambini o ragazzi con disabilità. 

Proprio pensando a questi ultimi sento sempre più forte l’esigenza di mettere a fianco dei bisogni i diritti e di introdurre parole, quasi rivoluzionarie, come sogni, desideri, interessi, possibilità, fantasia. 

Ci sono parole che creano gabbie, che bloccano, che banalizzano l’altro e l’incontro. Oggi più che mai abbiamo bisogno di aperture, di nuove possibilità e orizzonti inediti e originali, di creatività nel senso più nobile e artistico del termine, anche nelle relazioni umane.

Vorrei sentirmi raccontare sempre meno dell’opposizione di mia figlia, per sentire valorizzata la sua possibilità di scegliere e di esprimere la sua volontà. Mi piacerebbe che non venisse più etichettata come non verbale, per intravedere, insieme agli operatori, nuove vie per comunicare. 

Dopo l’ultima seduta con la tua maestra Angela hai indicato a tuo padre il punto del tuo corpo su cui avete lavorato e quando lui ti ha chiesto di raccontarmelo hai toccato lo stesso punto sul mio viso. In quei momenti il silenzio si riempie di meraviglia e di un’intensità che fa scintille.

Ah giusto! …. Possiamo aggiungere anche queste ultime due parole?

Così, tanto per cominciare.

Ma perche?

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di Irene Auletta

Molti anni fa, nei miei primi incontri con le educatrici degli asili nido, uno dei temi ricorrenti riguardava l’organizzazione delle feste, tra tutte anche quelle natalizie. L’ostinazione degli adulti che prevedeva l’immancabile arrivo di Babbo Natale, spesso si scontrava con il pianto dei bambini che pativano sia la presenza dello strano personaggio che la confusione sovente associata a tali momenti.

Da allora i servizi per l’infanzia, hanno fatto tanta, tanta strada e oggi accade raramente che le feste non sia pensate riflettendo sul senso che può arrivare agli stessi bambini e sulla selezione di tutte quelle scelte forse gradite dagli adulti, ma certamente non adeguate ai piccoli.

Certo, ancora oggi la strada si profila lunga, ma ci sono segnali confortanti.

Lo stesso percorso sembra non aver contaminato i luoghi che accolgono le persone con disabilità dove da anni assisto a situazioni che oscillano tra l’imbarazzo, il vuoto di significato e la voglia di scappare appena possibile.

Oggi, per la prima volta, ho osservato gli altri genitori e devo ammettere che mi sono sentita quasi confortata da un disagio collettivo che si percepiva nelle espressione e negli sguardi dei tanti presenti.

Tra le altre cose, molte delle persone accolte in questi servizi soffrono di disturbi neurologici e il chiasso, la confusione e la concentrazione di molte persone in un unico ambiente, facilmente possono generare un’eccesso di eccitazione con il conseguente bisogno di ritrovare, con non poche difficoltà, l’equilibrio smarrito. 

E allora ogni volta, come operatore e come genitore, mi confronto con domande che urgono.

Cosa impedisce di mettere grazia e bellezza in un momento di festa rendendolo davvero un’occasione di incontro? Perchè le canzoni strimpellate ricordano più una balera emiliana che un centro per persone con disabilità. E dicendolo so già di fare un torto a tante balere che negli anni hanno sicuramente aggiornato e rinverdito il loro repertorio musicale.

Di cosa parla questa disattenzione e il vuoto di senso? Forse che le cose importanti passano solo dalle attività, dai laboratori, dalle esperienze rivestite di quell’eccellenza ostentata?

Io di certo non la penso così ma, in questo caso, finiamola con questo patimento che alla fine diventa un peso per tutti. Disabili, genitori e operatori. La festa da sempre dovrebbe evocare leggerezza e allegria, quando queste dimensioni di smarriscono rimane solo squallore e tristezza. 

Anche no, grazie.

Ci sono cose …

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di Irene Auletta

Mi è capitato spesso di ricorrere ad alcune immagini per focalizzare caratteristiche legate al ruolo di genitori con figli disabili, ma di recente, leggendo il post di un padre, la memoria mi ha suggerito l’immagine dei Cercatori della famosa saga di Harry Potter. 

Il Cercatore, nella partita di Quidditch deve catturare il Boccino d’oro, quindi svolge un ruolo molto importante, visto che una partita non finisce fino a quando il Boccino non è stato catturato. La cattura del Boccino d’oro permette al Cercatore di far guadagnare 150 punti alla sua squadra. Insomma, un’avventura nell’avventura, esattamente come mi pare accada a questi genitori.

A conferma di tale sensazione, le pagine dei social amplificano e rendono pubblico quello che molte famiglie attraversano nelle loro continue prove quotidiane, nei molteplici tentativi di risolvere difficoltà, nei conseguenti piccoli successi e nelle continue rinnovate sfide. Persone che raccontano di notti insonni, di farmaci che deludono le attese, di interventi sanitari, chirurgici e riabilitativi pensati e ripensati per affrontare i tanti problemi che molte forme di disabilità portano con sè. Lo mostra bene una madre pubblicando la foto della schiena del figlio aggredita da un’impietosa scoliosi.

A volte è necessario fermarsi per respirare, per pensare nuove strategie e per non rimanere schiacciati da una visione oscura della propria esistenza.

E così accade anche che, esattamente come per i Cercatori, si raccolgono nuovi urrà e racconti capaci di esultare per piccoli-grandi successi, immagini che mostrano nuovi progressi e abilità, storie che narrano forme di esistenza che fanno della resistenza un valore che riesce ad assumere toni delicati e pieni di speranza. Non sarà forse questa una forma possibile della bellezza della vita?

Anche noi ci proviamo sempre e il nostro quotidiano è spesso attraversato da sorprese, da fatiche inattese, da gioie insperate, da nuove ricerche e da tante risate che cerchiamo di non farci mancare mai.

Scena interno casa, momento del pranzo. Cosa ne dici di offrire a babbo un pezzetto della tua buonissima focaccia? Capita di fare domande così che molto spesso rimangono sospese nell’aria insieme a tanti altri tentativi in lista d’attesa che rischiano di dare alle parole un amaro retrogusto di senso unico.

Ma oggi no. Prendi la mano di tuo padre e con decisione la orienti verso il tuo piatto e verso un pezzetto di quello che contiene e da offrire. Una comunicazione delicata e chiara, che condisce con nuovi significati i sapori del nostro pranzo.

Tanti non potranno neppure lontanamente capire, tanti sorrideranno insieme a noi.

Nel frattempo, abbiamo afferrato un altro Boccino d’oro!

Bizzarre curiosità

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di Irene Auletta

L’espressione “paziente non collaborante” ha sempre destato in me una certa curiosità, forse perchè pensandomi in alcuni contesti sanitari, più che a collaborare, mi vedo intenta a sopportare o ad obbedire, spesso consapevole del fatto che questa mia arrendevolezza o consenso sono fondamentali all’esito positivo dell’intervento o della visita. In campo medico tuttavia questo significato ha un suo perchè e una logica assai condivisibile.

Quello che invece mi raggiunge stonato, è quando la stessa espressione viene trasferita, a volte con estrema facilità e superficialità, anche nei contesti educativi o riabilitativi. Proprio in quei contesti dove si corre il rischio di etichettare le persone come pigrone, testarde, furbe. Non manca quasi mai la frase “quando una cosa gli interessa vedi come si organizzano!”.

L’impressione è che dalle persone in difficoltà, disabili, anziani e a volte anche bambini piccoli, sovente ci si aspetti quasi un’adesione automatica alle richieste smarrendo il valore del rispetto della volontà, dell’importanza di una condivisa ricerca di senso, dell’accettazione o di un’affermazione di non disponibilità o rifiuto.

In tanti anni ho imparato che non è di minore importanza il rispetto dei tempi , anche per il consenso. Sovente tra la richiesta di fare e il fare reale è importante prevedere un tempo che è quello necessario per quella persona lì. In questa scena, l’assenza di parola dell’altro e l’abuso della nostra, rischiano di configurarsi solo come la classica ciliegina sulla torta.

Voglio ricordarmi, ogni giorno, che collaborare vuol dire anche dare il proprio contributo e spero di continuare a farlo cercando di aggiungere alla ricerca quel pizzico di allegria che può rendere il tentativo sempre un po’ più leggero. Forse siamo proprio noi genitori che dovremmo per primi, fare attenzione alle trappole delle facili etichette cercando, anche per questi aspetti, nuove collaborazioni con gli operatori educativi e sanitari.

Un medico molto competente che di recente è riuscito a organizzare quasi una magia facendoti una tac polmonare senza alcuna sedazione e con il tuo piccolo-grande contributo, ha concluso così una mail: salutatemi la mia amica Luna.

I linguaggi e le parole fanno sempre la differenza e io continuerò a insegnarti a non subire, cercando vie possibili per proteggere la tua tenace e non sempre facile da gestire, meravigliosa volontà.

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