Zigulì è un libro interessante, ne ho già parlato nella recensione pubblicata qui. Ma “Zigulì” inteso come il dibattito che il libro ha scatenato in Rete e sui mass media, è ancora più interessante.
Ha fatto bene l’autore a dire le cose come stanno. E’ ora di finirla con il buonismo che nasconde le cose dietro le belle parole. No, non è accettabile tanta cattiveria. Cattiveria? ma che cazzo dici. Ma sai di che stai parlando? come fai a dire questo di un uomo che vive cose del genere? Insomma, posso capire la rabbia, ma alla fine come si fa a dire certe cose del proprio figlio? ma se c’è un sacco d’amore in quelle parole! insomma, sì tra le righe si legge, ma è soprattutto uno sfogo personale, il libro l’ha scritto per se stesso… Ma và! a me è servito leggerlo, un bel pugno nello stomaco, ma adesso so cosa vuol dire. Io per fortuna no, ma certe cose a esserci dentro! Insomma noi genitori in quelle condizioni sappiamo bene cosa vuol dire, ma non c’è solo quello, i figli così sono un’esperienza unica, un dono…Per favore piantiamola, meno male che qualcuno senza ipocrisie ha detto quello che sento da anni e non ho mai osato dire. Che coraggio incredibile ha mostrato. Ma poi cosa succede? scriveranno un libro i due figli sani….?
I toni sono più o meno questi. Un derby all’ultimo respiro. Chi vincerà? I politicamente corretti, i sensibili, quelli che l’amore può tutto (buonisti visti dalla parte opposta), oppure i realisti, i disincantati, i fieri del dire pane al pane e vino al vino (cinici per gli altri)? Al momento a onor del vero i cinici sembrano in leggero vantaggio. L’ola sugli spalti sembra dire un “civoleva” galattico indirizzato alla curva sud dove i “ma insomma” sono attestati e resistono.
I media del resto fanno la loro parte. Anzi, l’hanno indetto il derby a iniziare da quel lontano articolo sul Corriere della sera e passandosi la palla, è il caso di dirlo, da una rete all’altra, da un settimanale all’altro. A La vita in diretta, dove mi hanno invitato proprio per parlare di Zigulì, la raccomandazione era di controbilanciare quelli che il figlio disabile è un dono e l’amore basta e avanza. Poi io mi sono chiamato fuori e da bordo campo ho cercato di dire altro. Ma quando è in corso un derby, chi vuoi che se lo fili uno che non sta né da una parte né dall’altra?
Speriamo comunque che la partita finisca presto e che Il calcio minuto per minuto ne esaurisca la coda. Così magari possiamo parlare d’altro. Tipo ad esempio di cosa significa per un genitore incontrare la disabilità di un figlio. E’ la stessa cosa per un padre e per una madre? o è diverso? E come, e perchè è diverso? e cosa permette di capire dell’essere genitori? e se non è diverso, perchè la disabilità del figlio precede tante separazioni? E i fratelli e le sorelle? O ancora: un’esperienza del genere cosa combina ai propri interessi, alle proprie amicizie, al proprio lavoro? Chiude molte dimensioni, ovvio, ma quali apre? Che trasformazioni di sè, del proprio modo di amare e di stare al mondo un figlio disabile, nel bene e nel male, richiede e rende possibili? E che trasformazioni chiede alle emozioni e alle responsabilità di tutti quelli che stanno attorno?
Insomma, ho il sospetto che si debba andare oltre l’empatia che Zigulì (il libro) stimola, rimettendo a posto le pance e sdoganando il cervello per cercare di capire. L’empatia sarà una gran bella cosa ma, rimpallata e amplificata dai media, prima avvicina e poi allontana nuovamente. Ci volete credere che ho una figlia disabile e mi sono scoperto anch’io a pensare “meno male che a me non sono toccate cose del genere”…? Come dice lo stesso Massimiliano Verga, alla fine c’è sempre un figlio handicappato più handicappato del tuo. E quella della sfiga, non mi pare una bella gara. Anche perchè, di solito, vince chi la perde.
Buona discussione a tutte e a tutti.
Gen 31, 2012 @ 21:24:46
Come sarebbe bello se il derby si interrompesse perché l’arbitro fischia un minuto di silenzio, un’ora, un anno…. di silenzio. Di fronte a questi “accidenti” un silenzio rigeneratore per tutti, “per quelli che” e “per quelli che non” affinché tutti possano mettersi davvero in ascolto dell’Altro. Laura
Gen 31, 2012 @ 23:51:49
Mah…non so, Laura. Tra il chiacchiericcio frastornante e il silenzio che non ascolta nessuna voce perchè tutti tacciono ci sono molte altre strade. Non credo che su questi temi si debba tacere. Questo non vuol dire che si debba per forza fare fracasso. Si tratta di provare a parlare per capire
Gen 31, 2012 @ 21:28:52
esiste qualcosa che si chiama estetica. Come esistono gli stili letterari e il romanzo che si fa delle biografie. Forse è necessario fare un pò di tare per tradurre una esperienza in un libro. Ma! non lo so. Certo che sono incuriosito alla lettura
Gen 31, 2012 @ 23:54:25
Così però Gianluigi scriverebbero solo gli scrittori. E certe storie non verrebbero mai raccontate. Il problema è che che tu scriva bene o male, quello che permette di avere ascolto non è né la tua scrittura né ciò di cui parli. Ma quanto qualcuno è in grado (e ha interesse) di farti ascoltare…
Feb 01, 2012 @ 00:04:58
infatti scrivono solo gli scrittori 🙂
tranquillo che lo stile conta e spesso travalica quello che accade, diventa esso stesso “fatto” e biografia. Io non ho letto il libro, ma le polemiche. E si concentrano molto sullo stile. Nessuno mette in dubbio l’esperienza, ma il livello di esposizione e il “rispetto” che per alcuni manca e per altri è, invece, paradossalmente restituito alla sua dimensione più vera e umana. certo che in polemiche di questo tipo Moreno, nella sua concretezza, scompare. Comunque ribadisco che tutto questo mi incuriosisce e non posso farci niente. Mi piace questo stile, mi piace essere provocato e scavato, mi piace la spudoratezza e lo spiazzamento. Cosa questo c’entri con la comunicazione di una esperienza non lo so!
Feb 01, 2012 @ 10:42:26
Non so. Un derby è figlio di questi tempi malsano di parcondicio, di 50% di qui e di la che impone trovare sempre dove stanno bene e male.
Ma da quando lavoro con la “disabilità” diciamo circa 20 anni sento che ci sono sempre troppe parole o troppo poche. A seconda dei casi.
In ogni caso i genitori, agli occhi di chi educa per professione, è spesso oggetto di stupore, per via di quei fattori di resilienza che espone o non espone, nelle scelte e nelle fatiche, nelle esplorazioni della vita che permettono e o raccontano con le azioni, con i scabrosi rifiuti (?) che propongono.
Ma alcuni momenti di incontro sono incredibili.
La mamma di … istituzionalizzata perchè la famiglia non riusciva più gestirla, e i genitori si erano arresi per salvare le altre due figlie, e la madre “sconfitta” veniva a trovare la sua “testa di legno”, reimparando ad incontrarla “grazie/attraverso” alla scelta degli operatori di non sedarla più e passare ad un altro tipo di approccio di cura, più contenitiva e di contatto ..
I genitori di … autistico affascinante, educatissimo, di grande eleganza, … gli avevano offerto sempre il meglio in termini di cure, abbigliamento e viaggi (spariva uno o più mese all’anno per andare in viaggio con la madre, capo verde, Brasile etc ..) La madre affermava sempre che se il figlio non fosse stato autistico gli avrebbero offerto il meglio delle università straniere, così anche nell’autismo non facevano che offrirgli il meglio che avevano; e lo facevano con estrema semplicità e umiltà, per quanto paia paradossale.
In ogni caso più passa il tempo e meno le categorie della genitorialità che gli operatori appiccicano ai genitori (scambievolmente ricambiati) sembrano avere un senso: troppo amore, poco amore, troppa cura, poca cura, troppo/poco non dicono nulla delle alchimie che si creano, delle vite possibili che generano.
Ci si chiede come facciano alcuni a “restare” a fronte ad alcune disabilità davvero “insostenibili”, e altri a sfuggire davanti a figli che paiono deliziosi e di cui come operatore di “innamori” a pelle, come facciano a lasciarli in un grande istituto, o come altri si inventino vite non facili ma belle.
al limite ci si tengono le domande
Feb 01, 2012 @ 22:38:24
scusa monica se del tuo commento ho colto solo quello che volevo cogliere “troppo amore, poco amore, troppa cura, poca cura, troppo/poco non dicono nulla delle alchimie che si creano, delle vite possibili che generano.”. ma mi è piaciuto troppo.
sono la mamma di un bimbo disabile è a volte , paradossalmente, quello ch e piu mi pesa è il mondo circostante, non la nostra vita.
ritengo che nessuno possa giudicare l’altrui vita, soprattuto poi in certe circostanze. le frasi che meno sopporto: signora lei è una persona meravigliosa. ma se non ci conosciamo neppure. ok, sono meravigliosa perchè ho un figlio disabile!
BAH
Feb 01, 2012 @ 12:04:43
beh, naturalmente (ma forse sarebbe meglio dire “culturalmente”) concordo con quanto scrivi nel post…siamo davvero immersi nelle polarità e mi sembra che la ricerca di una e molte “sintesi”, in questo momento dove è sempre più necessario è lo stesso difficile….forse perchè implica un cambio di paradigma importante…
Interessante anche la riflessione sull’ “arbitro”…e, guarda un po’, mi ha fatto pensare al coordinamento pedagogico….ha una funzione di controllo ma anche di apprendimento importante…è proprio vero che certi eventi personali e…professionali ti cambiano la vita…e questa del cambiamento è proprio una partita “da giocare”…infine…sull’empatia e le emozioni…straconcordo! Servono…ma se poi non ci si mette una virgola non te ne fai molto
Feb 01, 2012 @ 12:16:11
…e c’è da dire…che è una “virgola” mooolto impegnativa
Feb 01, 2012 @ 13:45:27
Feb 02, 2012 @ 11:20:34
Grazie Gianluigi, con la tua considerazione finale hai dato voce ad un interrogativo che mi accompagna nelle riflessioni degli ultimi giorni e nell’avvicendarsi di post e commenti.
Più ci si espone, più si scandalizza e provoca, più si dice il vero? Ma cosa sono il vero o il giusto? Cosa aiuta a comunicare un’esperienza? E che fine fanno i protagonisti?
Non so, e a volte sento troppo l’olezzo del “grande fratello”.
Naturalmente non in ciò che l’autore voleva dire ma in quello che più sembra piacere, in una lettura un po’ da voyeur, tra le righe.
Come dice anche Monica, a volte pare di trovarsi di fronte ad un elastico che rimbalza continuamente in giudizi di bello/brutto, troppo o poco.
Mi verrebbe da dire chissenefrega.
Leggendo di un esperienza o incontrandola personalmente posso imparare qualcosa di me, del mio rapporto con i miei figli e del mio modo di incontrare il mondo?
Siamo tutti diversi e qualcuno impara anche grazie agli schiaffi in faccia.
Io preferisco una mano che mi guidi e sappia stringere la mia di fronte alla paura del nuovo e di quello che ancora posso imparare e scoprire.
Feb 03, 2012 @ 09:56:18
Reblogged this on SBIRCIAPAOLA.
Mar 10, 2012 @ 20:45:37
Leggendo “Zigulì” sono stata accompagnata nella stanza dei fantasmi. Il racconto mi ha fatto immaginare “come si sta”, o meglio “come e quanto si sta male”, nei panni del genitore di un bimbo disabile. A volte ha mosso in me la tenerezza, a volte la paura, altre la comprensione profonda, la compassione ed ancora lo sconforto. Nelle parole di Massimilliano (l’autore e il padre) ho sentito, la rabbia forte e profonda tanto verso un tale destino esistenziale che verso Moreno (suo figlio) ed in sottofondo, dirompente tra le parole “cattive ed arrabbiate” anche l’amore.
Il racconto mi ha tenuta in bilico tra un troppo poco e il troppo che non viene esplicitato ma emerge come qualcosa che è così grande da non poter essere detto.
Una testimonianza importante non lo nego… ma alla fine della lettura mi è rimasto quel senso del nulla che emerge da ogni fine paragrafo.
I pensieri volentieri finiscono bruscamente, quasi mozzi. L’elaborazione è lasciata lì, per aria, senza cura… come se tutto poi in sostanza non avesse senso e quindi si butta via.
Mi dispiace, perchè Massimiliano con coraggio ci ha fatto entrare dentro al suo profondo più intimo, lasciandoci infine sulla soglia. Senza insegnarci quello che solo lui può sapere… forse per non soffrire di più e non farci soffrire troppo.
Rimane però aperta una domanda, una ricerca e un’attesa che alla fine convoca una responsabilità collettiva: – Che ne facciamo di esperienze così? –
Mar 11, 2012 @ 17:07:15
Marina Balestra
Forse il derby tra cinici e buonisti intorno allo stile con cui è scritto Ziguli non dipende solo dal fatto che i dibattiti si trasformano frequentemente in arene tipo “grande fratello” anche se indubbiamente, parafrasando il cantautore G. Manfredi, questo modo di comunicare “ci è entrato nei polmoni e ci da il suo ritmo di respirazione”
Il problema è anche che Ziguli è un libro che non mi ha suscitato interrogativi.
E questo non è dovuto al fatto che sia bello, o brutto, giusto o sbagliato e nemmeno che non voglia insegnare qualcosa.
Secondo me non suscita interrogativi perchè è un testo che parla di un grande dolore narcisticamente ripiegato su se stesso che non alza lo sguardo dallla propria immagine allo specchio. E come tutte le forme narcisistiche lascia tremendamente solo chi lo scrive e chi lo legge.