Ragioni allo specchio

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Ne scrivevo esattamente un anno …. a conferma di un tema “tormentone” sempre (e per sempre) super attuale.

https://igorsalomone.net/2017/02/04/ragioni-allo-specchio/

 

 

 

Danze possibili

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danze possibilidi  Irene Auletta

Quando cerco di convincerlo a fare una determinata cosa e dopo tante parole e spiegazioni si butta a terra per strada o nel supermercato, secondo lei cosa posso fare?

A pormi la domanda e’ una madre nel corso di una serata a tema rivolta a genitori di servizi per la prima infanzia e la sua domanda fa eco ad altre simili riferite a comportamenti che siamo abbastanza abituati ad incontrare o immaginare proprio nel rapporto con bambini piccoli, ancora alla ricerca di un modo per stare nel mondo delle relazioni con gli adulti e le sue relative regole.

Tante volte mi sono trovata di fronte ad interrogativi analoghi nel mio lavoro con i genitori ma, quando dalla parte del bambino non c’è più un piccolo di pochi mesi o anni ma un ragazzino disabile, la cosa inizia a farsi più complicata.

Osservo la scena di un nonno che tenendo per mano un bambino di non più di tre anni si dirige verso la sua automobile. Il bambino piagnucolando mi passa accanto proprio mentre esclama tra le lacrime “non voglio più camminare oggi, sono tanto stanco!”. Poco dopo, più o meno nello stesso tratto di strada, una scena simile coglie di sorpresa altri due protagonisti parecchio differenti. Una donna di fronte ad una ragazzina disabile bloccata nella sua camminata e chinata in avanti, come a raccogliere qualcosa appena caduto a terra. Osservando meglio la scena però si capisce che mentre la donna cerca di dire qualcosa rivolta a quella che pare essere sua figlia, la stessa procede di qualche passo per poi riassumere la medesima posizione che, a quel punto, appare chiaramente come una netta decisione di non voler proseguire nel percorso.

Presa di posizione o opposizione? Difficile da comprendere quando l’assenza delle parole prova ad essere sostituita da un linguaggio del corpo che trova sovente di fronte adulti incapaci di ascoltare o decodificare alcuni comportamenti.

Questo ragazzino e’ un soggetto collaborante? Oggi ha fatto più volte questi capricci …. Quando si impunta è proprio una testa dura!

Con educatori o genitori di ragazzi disabili mi è capitato più volte di accogliere commenti analoghi e, ogni volta, ho provato a cercare un equilibrio tra le possibilità di dire di uno e quelle di ascoltare dell’altro. Il fatto e’ che anche la scarsa disponibilità o l’incapacità a collaborare hanno molteplici sfumature. Un conto e’ essere seduti sulla poltrona di un dentista e provare ad eseguire le sue indicazioni nel corso di un trattamento, altro è trovarsi calati in una scena che magari non si riesce a comprendere a pieno e provare, in totale assenza di parole o con un linguaggio assai limitato, a dire anche solo semplicemente “sono stanco e vorrei fermarmi un attimo” oppure “non ho voglia di venire con voi!”.

Brutta bestia l’assenza di parole in un mondo che sembra esistere solo quando si sanno pronunciare o in relazioni che sembrano smarrire ogni senso nel silenzio assordante di quel vuoto.

E così, rieccole le due protagoniste di prima. La donna ad un certo punto sembra decidere per il silenzio. Il corpo della ragazzina non le permette più di agire ciò che faceva quando era piccola e di risolvere l’impaccio prendendola in braccio. Il nuovo rapporto tra i loro corpi introduce nuove regole che sono da ricercare in un dialogo tutto da inventare. Parole e corpo o l’incontro tra corpi stanno provando nuovi modi per dirsi, per incontrarsi e provare a condividere scelte e significati.

Le lascio lì nella loro storia a sperimentare mentre stamane provo a raccontarle accompagnata dai tuoi commenti sonori che, se solo non ti avessi di fronte, potrebbero ricordare proprio quelli di una bambina piccola. Invece, tu sei una ragazzina di sedici anni e io una madre che scrive di noi due e di come stiamo provando a cavarcela tra i tuoi silenzi, i tuoi gesti e la totale impotenza di tante mie parole.

Nata dislibera

10 commenti

Ci sono cose che van fatte tutti i giorni. Anche più volte al giorno. Non tutte piacevoli, anzi, la maggior parte, vogliamo dirlo? sono una gran rottura di palle. Il fatto che si debbano fare non le rende necessariamente più attraenti. Verità elementare che ha corso legittimo sino a quando riguarda noi stessi. Quando ha da essere applicata all’altro, cambia colore e diventa facilmente un pippone pedagogico.

Sono una quantità talvolta esasperante le cose che mia figlia deve fare ogni giorno e che non ce n’è: vanno fatte punto e basta. Si aggiunga che praticamente tutte le cose che deve fare non è in grado di farle da sola, dunque gli obblighi sono sempre due: di fare le cose che si devono fare e di farsele fare da qualcun altro. In genere sua madre o io. O magari sua madre e io. Due/quattro mani addosso per adempiere  all’ovvio ripetitivo e sgradevole. Che so, prendere le medicine che, per definizione, fanno schifo.

Dai, su, lo sai che devi farlo come tutti i giorni, non serve opporsi, facciamo il doppio della fatica e alla fine le prendi lo stesso. Dunque? tanto vale  che fai la brava, così ce la caviamo in fretta tutti e due (tre). In effetti, ormai, è esattamente ciò che accade quasi sempre. Mia figlia si sorbisce un cocktail farmacologico diuturno, mane e sera, da più di dieci anni, nella maggior parte delle occasioni senza batter ciglio. Però a volte. Come ieri mattina.

Ieri mattina opposizione da manuale. Testa voltata, mani a stropicciare gli occhi che non centra nulla il prurito agli occhi ma interpone il braccio tra te e la sua bocca, labbra serrate, sguardo di sfida. Uno, due, tre, ics tentativi di convincerla in uno, due, tre, ics modi diversi. Alla fine lotta corpo a corpo. Ovviamente vinco io. Vinco io?

Visto? è servito a qualcosa? alla fine le hai prese lo stesso le medicine e in più ho dovuto costringerti, valeva la pena? a giudicare dalla sua espressione sembrerebbe proprio di sì. Qualcosa non torna. Quando mi impongo con la forza, solitamente sfoggia la sua miglior interpretazione della ragazzina-offesa-e-mortificata. Invece, a medicine ingurgitate, ieri mattina mi guardava con quel suo mezzo sorrisino e gli occhi furbetti. Com’è che sei contenta? che ti ho obbligato a fare quello che non volevi fare? non può essere. Non ti ci vedo nei panni della masochista. E allora cosa sorridi sotto i baffi mannaggia a te!

Poi, terminate le operazioni mattutine, ti accompagno al pulmino in attesa sotto casa e, mentre aspettiamo l’ascensore, capisco. Ti guardo ancora una volta, mi sorridi e capisco. Meglio tardi che mai. Alla fine, se è obbligatorio fare qualcosa e se quel qualcosa qualcuno ti costringe a farlo, mica significa doversi sempre sottomettere senza un fiato. Ci si può anche opporre, si può negare il proprio sì va bene, evitando di far pensare sia comunque scontato. Figlia mia, rifiutandoti di essere scontatamente  consenziente, con quel tuo sorriso sbarazzino e testardo hai insegnato qualcosa a me e ti sei presa beffe della tua dis-libertà.

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