Di Igor Salomone

Va bene, ora faccio sintesi dei miei quarant’anni di professione pedagogica e dico la mia sulla formazione degli educatori. E’ un bel po’ che manco da questo blog, in realtà è un bel po’ che manco e basta. E può essere pure che questo sia un episodio unico, di quelli che chiudono una serie televisiva strappandola dal pantano narrativo nel quale spesso le saghe, a lungo andare, affondano.
Dunque, pare che la bolla sia esplosa. Gli educatori sono spariti dalla circolazione, i servizi educativi chiudono, o non partono, per mancanza di personale, tutti al capezzale del malato ad analizzare cause ed eziologia del malanno. Semprechè non si tratti in realtà del letto di morte e le litanie in corso non siano orazioni funebri,

Non entrerò nel merito delle polemiche, nè delle dotte analisi, l’ho fatto per decenni e francamente sono stufo. MI limito a cogliere l’occasione per provare a declinare il curricolo che non c’è, dove non abita per altro nessun Peter Pan, e lo farò per brevi e ampie pennellate. Tanto non ascolterà nessuno, ma sono giunto a un’età che non importa chi ascolta quello che hai da dire, importa solo non ti resti nel gargarozzo.

Mi concentrerò invece sul problema della formazione degli educatori, giusto per ricordare a me stesso, e di rimbalzo a tutti quanti, che l’attuale crisi della professione e dei servizi educativi non è solo un problema sindacale o politico o generazionale o vocazionale o quant’altro in questo momento viene chiamato in causa.

L’orgia di professionalizzazione consumatasi negli ultimi decenni, ha fatto credere che un percorso di studi adeguato, ovviamente universitario, avrebbe fornito al lavoro educativo il riconoscimento sociale ed economico che meritava. Mi pare del tutto evidente che questo piano sia miseramente fallito. Il fatto che in Lombardia ben cinque corsi di laurea per educatori professionali (Bicocca, Cattolica, Don Gnocchi, Bergamo e Insubria) non riescano a formare un numero sufficiente di educatori lasciando il mercato scoperto, sarebbe già una prova sufficiente. Aggiungiamoci anche che gli educatori non solo non si trovano ma scappano, o non arrivano proprio in luoghi di lavoro estremamente impegnativi dove vengono pagati meno di una badante, senza alcuna prospettiva di carriera e certamente senza alcuna possibilità di veder migliorare la propria remunerazione. Sin qui i discorsi sulla bocca di tutti.

Ma c’è da considerare anche un altro fattore di crisi, più difficile da nominare: la capacità professionale degli educatori in tutti questi anni non è cresciuta affatto e, per molti versi, è anche peggiorata. Difficile ammetterlo nei convegni, di solito organizzati da quell’Università che avrebbe dovuto far sbocciare queste professionalità. Però non c’è operatore anziano, coordinatore, responsabile delle risorse umane che non borbotti amaramente questa verità sotto gli occhi di tutti. Dunque lo farò io, visto che incontro educatori da quarant’anni, sia nei servizi sia in Università, e un qualche valore di testimonianza posso permettermi di averlo.

Dunque, cosa dovrebbe studiare un educatore per diventare educatore? Secondo me (non faccio altro ormai che scrivere a partire da questo incipit, almeno non tocca di giustificare tesi ovvie appoggiandole a quintali di citazioni altretttanto ovvie o, peggio, di dover dimostrare tesi eventualmente importanti appoggiandole a una letteratura che non le ha nemmeno intraviste) secondo me, dicevo, nel curricolo formativo di un educatore dovrebbero campeggiare:

A) Uno o più percorsi di esperienza ad alta densità corporea. Non importa quali, purchè sin dalla formazione di base si insegni che l’educazione è una questione di postura e che la postura ha sempre a che fare con il corpo

B) Esperienze di teatro. Anche qui di qualsiasi natura, con lo scopo specifico di sviluppare la capacità di muoversi in situazione interagendo con il contesto spazio temporale e con gli altri attori in scena

C) Un intenso training di problem solving, a scolpire indelebilmente l’idea che educare significa affrontare, capire e governare problemi, per trasformarli in occasioni educative

D) Un altrettanto intenso percorso di analisi pedagogica per iniziare a ricostruire le traiettorie educative personali lungo le quali si è definito il processo formativo di ognuno

E) Studi di pedagogia, storia del pensiero pedagogico, antropologia dell’educazione, sociologia dell’educazione, storia dell’educazione, diritto dell’educazione, politiche educative, filosofia ed epistemologia dell’educazione, psicologia dell’apprendimento. Studi da effettuare in un’ottica interdisciplinare finalizzata alla comprensione del fenomeno educativo nella sua genesi

Per intenderci sul piano ponderale: i punti A B e C devono costituire l’ossatura portante della formazione di base, non essere conditi via con qualche laboratorio. Il punto D non va sbolognato rinviando ogni studente a qualche forma di psicoterapia, ma va costruito organicamente nel percorso universitario. Il punto E comprende tutti i saperi scientifici a mio parere necessari per fare l’educatore con una ampia prospettiva culturale dei quali del resto sono già saturi i curricola universitari, ma non dovrebbero superare il terzo del tempo a disposizione e, sopratutto, ognuna di queste discipline va modulata sulla prospettiva particolare che può offrire sull’oggetto educazione che può offrire. Altrimenti restano dei bigini di materie importanti, semplificate per una laurea di serie B.

Il tirocinio, in una prospettiva di questo tipo, potrebbe essere superato, visto che una formazione così delineata non potrebbe che essere caratterizzata da un’altissimo tasso di esperienza pratica. Il superamento del tirocinio, inteso come momenti trascorsi sul lavoro durante il periodo universitario, può aprire la strada a forme di apprendistato, inteso come periodo di entrata al lavoro concentrato sula traduzione nei compiti operativi del sapere acquisito in Università. Inoltre l’istituzione stessa dell’ apprendistato sancirebbe che non basta fare qualche esame per diventare educatori, che occorre invece un congruo periodo di tempo per apprendere le pratiche lavorative concrete dopo gli studi di base. Infine, iniziare una carriera professionale come apprendista educatore, implica creare un percorso di carriera professionale per gli educatori, attualmente inesistente e appiattita sui compiti quotidiani rispetto ai quali tutti hanno la medesima responsabilità e le medesime funzioni, dall’ultimo arrivato sino al senior in servizio magari da decenni.

Per poter realizzare tutto ciò serve una cosa sola: fare spazio. Perchè i curricola universitari sono già sin troppo pieni e non è pensabile pigiarne a forza altri contenuti. In particolare:

A) Tutta una serie di saperi connessi a condizioni specifiche di lavoro, che quindi orientano a questa o quella fascia d’utenza o problematica sociale o modello di intervento, vanno opportunamente posticipate al periodo di entrata in servizio. Studiare un po’ di adolescenza, un po’ di disabillità, un po’ di infanzia, un po’ di alzheimer, un po’ di servizio sociale, non serve a nulla, o per lo meno, serve a molto poco rispetto ai cinque ordini di saperi che ho descritto all’inizio. In compenso porta via un sacco di tempo e a quei cinque ordini vengono dedicate quando va bene scarne ore di laboratorio

B) Vanno invece semplicemente eliminate tutte quelle discipline impartite a mo’ di bigino solo perchè hai visto mai che potrebbero servire tipo, pediatria, neuropsichiatria, genetica, igiene, linguistica, diritto amministrativo, che poi servono senz’altro: servono a creare cattedre per permettere l’inizio di carriere universitarie.

Come promesso, un curricolo formativo molto stringato, andrebbe poi declinato punto per punto. Io sono qui, se qualcuno è interessato ho parecchie idee in proposito. Perdonatemi invece qualche temperie polemica, non ce l’ho fatta a evitarle proprio tutte tutte. Ma vi prego di capirmi, sono un vecchio guerriero stanco di combattere battaglie inutilmente vinte.