Amori saporiti

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amori saporitidi Irene Auletta

Giorni fa una collega, parlandomi di una sua amica con una figlia disabile, mi ha raccontato di come ogni volta rimane colpita dalla relazione che si è creata tra madre e figlia. Di come questa mamma ha riorganizzato la sua vita intorno alla figlia e dei lunghissimi monologhi che accompagnano il loro stare insieme. La bambina ha una disabilità grave e le sue possibilità comunicative sono ridotte a pochissimi movimenti della testa e degli occhi. E la madre, parla, racconta, descrive.

E’ bella la sensazione di riconoscersi parzialmente in questa narrazione e di percepire, al tempo stesso, anche l’altro pezzo di strada fatto finora alla ricerca di un silenzio condiviso che superi l’urgenza di riempire ogni pertugio con tutte le parole che l’altro non potrà mai dire e forse neppure pensare o immaginare.

La tentazione è forte e immagino sia proprio la reazione più naturale di fronte ad esperienze di incontro che chiedono di misurarsi con codici comunicativi totalmente differenti. Sono decisamente meno comprensiva quando questo accade anche agli operatori che dovrebbero aiutare i genitori a trovare nuove e inedite strategie …. ma questa è un’altra storia.

Guardandomi indietro negli anni osservo un silenzio con forme e colori diversi. Disperato, rabbioso, dolorante, incapace, interrogante e sconfortato. Non so cosa accade ad atri genitori che attraversano avventure analoghe, ma per me, durante i primi anni di vita con mia figlia, è stato proprio così.

Stasera è una di quelle che ci vedono da sole a condividere il momento della cena. Arrivi a tavola stravolta per la giornata trascorsa al Centro in quest’estate che toglie un po’ il fiato. In un tuo abituale atteggiamento ti sporgi verso i piatti come se solo la vicinanza estrema ti permettesse di iniziare a gustare il sapore del cibo. Mi accorgo di un silenzio ricco di sguardi che condisce le nostre pietanze e, ripensando al racconto della collega, sento quel senso di quiete che ci ha messo molti anni a maturare. Tu sembri ascoltare i miei pensieri e mi guardi con gli occhi pieni di quel mondo tutto tuo che non ho più l’urgenza di comprendere perché mi piace solo sentirlo accanto.

Il silenzio stasera è come una musica che ci culla per tutto il tempo. Devo farne ancora tanta di strada ma come te, piano piano, imparo. Mi mancano le tue parole figlia e mi mancheranno forse fino alla fine dei miei giorni ma, in questa fase della nostra vita insieme, stiamo sperimentando anche altro e negli anni abbiamo aggiunto nuovi colori al nostro silenzio che ora si può finalmente riposare ed essere anche quieto, sereno, sorridente, pieno e saporito, come quel bacio all’origano che mi dai prima di alzarti da tavola.

La luce dei preziosi

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silenzio 2di Irene Auletta

Allora oggi avete festeggiato un compleanno! dice la mamma spingendo un passeggino su cui è accomodato un bambino di circa tre anni. Il bambino fa un cenno affermativo con il capo mentre chiede quando arriverà anche il suo, di compleanno. Ma tu sei nato a luglio quindi mancano ancora più di sei mesi ed è parecchio tempo. Si, fa eco il bambino, è parecchio tempo. Ma io voglio che sia subito, dice accennando una lieve protesta.

A quel punto mentre mi allontano, sento la madre che prosegue in una dettagliata spiegazione che mi pare si ingarbugli nella teoria del tempo accelerato che, quando sarà più grande, vorrà fare di tutto per voler rallentare, bla, bla, bla.

Ecco, ne parlavo proprio qualche sera fa con una bella platea di genitori, di come il mondo adulto appare travolto da un’onda culturale che, rispetto all’infanzia, sembra aver perso completamente la bussola, a partire dai significati sino al rispetto di quei tempi di crescita, una volta sacri. Senza voler essere nostalgici credo sia importante tornare a chiederci perché tutto questo bisogno di ipercompetenza e di esibizione delle qualità dei figli. Negli ultimi anni mi capita sempre più spesso di incontrare, per il mio lavoro, genitori che sembrano imprigionati in una serie di cliché che forse faticano loro stessi a riconoscere e nominare. Non perché è mio figlio ma devo proprio dirle che è un bambino molto intelligente. Anche le insegnanti lo definiscono un bambino speciale. Ha un livello di comprensione che spesso mi spiazza… mi sembra quasi di parlare con un adulto!

Appunto, quasi.

Ma com’è che nella fascia dell’infanzia, indicativamente i bambini sembrano tutti dei piccoli geni e poi nel momento dell’ingresso alla scuola primaria, iniziano a fioccare deficit di ogni tipo, scarsa stima e fiducia nelle proprie possibilità, frustrazione di fronte all’insuccesso scolastico e via di questo passo in un lungo elenco che ogni anno mi appare più complesso e preoccupante? Mi chiedo spesso se tra i due movimenti non ci sia una importante correlazione, magari poco apparente ma assi incisiva. Se tutti quei bravo, bravissimo, sei un genio, sei super, che abbondano nei primi cinque, sei anni di vita non creino nei bambini un senso di attesa che si impenna verso la richiesta di capacità sempre più precoci e sicuramente orientate ad un successo, possibilmente immediato.

Il tema della fragilità è entrato prepotentemente nella mia vita molti anni fa, prima di figlia e poi di madre. Forse per questo motivo nelle scelte professionali il mio personale ago degli interessi mi ha orientato senza dubbi verso studi umanistici e nella ricerca di significati capaci di andare oltre quella patina di superficialità incollata alle nostre esistenze. Quella stessa fragilità che da mancanza, se ascoltata, è diventata valore.

Il silenzio è oro, si diceva una volta, quando si chiedeva anche ai bambini di prendersi un tempo per pensare o per ascoltare. Il silenzio è oro, direi io oggi a noi tutti che come adulti attraversiamo questa fase della nostra vita. Il silenzio è oro, perché fa brillare qualcosa che l’eccesso di parole rischia di offuscare e soffocare.

Il cuore, la scoperta e lo stupore.

Staffette

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Staffettadi Irene Auletta

Ogni tanto immagino che accada così anche nella vita.

Ed ecco il numero dieci che si avvicina e sembra pronto per il cambio con il numero quindici! Avvicinamento tattico e poi lo scatto per il cambio e il volo in avanti verso altro obiettivo.

Fantastico di una telecronaca che dica più o meno così e, in fondo, la staffetta mi pare proprio una bella metafora esistenziale del prendere la rincorsa per affrontare nuovi traguardi e poi “passare il testimone”.

Accade tra maestri e allievi e tra genitori e figli. Quel passaggio di prove, esperienze e storie che dovrebbe lasciare all’orizzonte i più maturi per garantire la scena libera ai nuovi protagonisti dell’esperienza della vita.

Mia madre, che ha sempre adorato il biondo platino e i tacchi alti, negli ultimi anni me lo ripete spesso. Se ti piacciono fallo finché puoi … Vedi, ora che sono diventata vecchia, le mie passioni le ho passate a te e a tua sorella!

E io a chi le passero’? Come potrò vivere il piacere e le emozioni di una figlia “signorina”, come si diceva una volta per accogliere e festeggiare il menarca? Chi lo sa. So per certo però che, insieme a tanto altro, biondo platino e tacchi rimarranno lì, presenti in tante altre storie, ma di sicuro, non nella nostra.

In realtà, anche io e te non perdiamo occasioni per scambiarci la staffetta della vita ma in quel modo tutto speciale che condividono tante madri e figlie, come noi. Tu cresci pian piano e io spero solo di invecchiare al rallentatore. Come dice una mamma amica che come me vive la storia con una figlia “pazzerella”, dobbiamo sempre tenerci in allenamento e può essere che questo ci aiuti pure a rimanere giovani. Chissà.

In questi giorni di cambiamenti e di corpi che si trasformano, il mio e il tuo cercano di trovare nuovi equilibri sempre nel silenzio che caratterizza la nostra storia. Racconti muti di umori, timori, dolori.

Ci guardo qui a passeggiare su questa accogliente spiaggia d’Abruzzo e, per sdrammatizzare, penso a come si dice da queste parti. Insieme, io e te, facciamo ancora una bella lontananza. E va bene così.

Lo spazio vicino fa sentire troppo il cuore e quello, si sa, rimane per pochi intimi.

Sfidami sempre

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sfidami sempredi Irene Auletta

Ti era già accaduto un paio di anni fa.

Tu, che non hai mai messo le mani in bocca neppure da piccola, un giorno, forse per caso, hai scoperto quel gesto che subito ha raccolto il dissenso esplicito da parte degli adulti a te vicino. Non solo. Come sovente accade, come genitori, educatori e insegnanti, in difficoltà o anche solo presi alla sprovvista, siamo tutti caduti nella trappola della prescrizione accompagnata per alcuni, da quelle mani addosso che purtroppo tu non riesci proprio a respingere.

E così, tu ci hai dichiarato guerra. Nel giro di una settimana ci siamo dovuti tutti misurare con il tuo comportamento divenuto ormai quasi ossessivo. In me madre, hai toccato le corde profonde e di grande sofferenza che da anni mi trovo a gestire nell’incontro con quei tuoi comportamenti che mi mettono spalle al muro. Non tanto per la trasgressione in sè, ma per ciò che comportava rispetto alla nuova immagine che tu offrivi a me e al mondo.

Peccato, mi disse una persona, era una ragazzina così a modo e graziosa! 

Doppia pugnalata. Quella sera stessa, abbiamo cambiato rotta.

Poche parole sostenute dai toni dell’amore e un abbraccio di comprensione per la nuova sfida da affrontare insieme. Ce l’abbiamo fatta.

Oggi è accaduto ancora. Arrivo a prenderti nel nuovo centro che frequenti da poche settimane e subito ti intravedo con il dito in bocca e con quello sguardo inconfondibile di trionfo. Per rincarare la dose, mentre l’educatrice mi racconta cosa è accaduto, afferri un gioco lì vicino e, guardandomi, assaggi anche quello. Ci risiamo, ma stavolta non ci casco.

Le nuove persone che andrai conoscendo dovranno imparare a incontrarti e io farò la mia parte per aiutarti a trovare altri modi possibili per contrapporti, sfidare, farti valere e contrastare gesti e parole che, seppur spinti dalle migliori intenzioni, rischiano di azzerarti e mettere a dura prova la tua volontà.

Naturalmente, mentre ci dirigiamo verso l’auto, quel comportamento pian piano scompare mentre ti racconto quanto mi sei mancata. Mi guardi con quello sguardo che sembra contenere mille domande e io lo sostengo, provando a riempire il silenzio della mia comprensione.

Sai che ti dico amore? Non ti preoccupare, passerà anche stavolta ma tu non arrenderti. Sfidami sempre e abbi pazienza. Se ogni giorno tu riesci a convivere con la tua disabilità, posso farcela anch’io, con la mia.

Lassù qualcuno ti ama

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lassù qualcuno ti amadi Irene Auletta

Ti aspetto al nostro solito appuntamento al tuo arrivo con il pulmino pomeridiano. Oggi cambio di programma perchè devo fare piccole commissioni e  ti propongo di allungare il giro prima di tornare a casa. Dopo la tappa in cartoleria, passiamo davanti alla chiesa di quartiere e tu, senza alcuna indecisione, mi tiri verso l’ingresso e l’interno, irremovibile nella tua decisione di farci un giro.

Di solito queste esperienze le fai con tuo padre ma oggi vuoi coinvolgere anche me in questa tua curiosa avventura. Appena entrate, dopo esserti ben guardata in giro trovi un posto che ti piace e ti accomodi ad ascoltare, con grande attenzione, il silenzio.

Mi siedo lì vicino a te e ti osservo mentre ogni tanto fai piccoli suoi con la voce meravigliata dell’eco che ti risponde nella grande chiesta praticamente vuota. Momento magico. Tu ascolti il silenzio e io prego, come so fare, da laica.

Quando decidi di uscire, ci dirigiamo verso casa cercando di non perdere neppure una pozzanghera per camminarci dentro, ridendo ogni volta come fosse la prima.

Quasi sotto casa ci superano un giovane ragazzo per mano alla sua ragazza e, forse pensando di fare per lei una grande prodezza da vero figo, ti guarda e girandoti le spalle imita la tua camminata dinoccolata e instabile, ridendo di gusto con la fidanzata.

Caspita. In chiesa ero stata così brava e avevo fatto anche qualche pensiero misericordioso. Com’è che ora gli spaccherei subito la faccia e mi ritrovo a fare pensieri così terribili? Tu neppure te ne accorgi e continui a ridere delle mie facce e degli scherzi che non perdo occasione di farti.

Questa è la differenza tra me e un serial killer. Io l’ho solo pensato, e neppure per la prima volta, mentre quel ragazzo neppure se lo immagina. Ma si sarà sentito davvero tanto figo ad imitare la camminata di una ragazzina disabile? Poveretto, non sa che rischio ha corso.

Oggi ho fatto delle belle preghiere per te, amore. La prossima volta però devo farne una anche per me, per le brutte cose che ho appena finito di pensare.

Per fortuna esisti tu, che mi trascini nelle chiese.

Le madri che non sopporto

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di Irene Auletta

Immagino di essere una fonte non sospetta e forse, proprio per questo, credo di potermi permettere qualche piccola stizza, dopo anni che dedico il mio interesse culturale e professionale alle mamme e alle riflessioni intorno ai  temi del materno.

Chi mi conosce sa che tempo fa sono stata in una piccola città nei dintorni di Bologna per presentare un libro, insieme alle curatrici&editrici del testo stesso, dal titolo “Maternità possibili”.

Una bella idea, sostenuta dalle curatrici del testo, è stata quella di ingaggiare anche le autrici abitanti in loco, coinvolgendole nella presentazione.

Eccoci al giorno della presentazione, la seconda in realtà, perchè anche il giorno prima ci aveva ospitato una bella biblioteca della cittadina.

Una delle autrici avvisa con sms che è in ritardo per un sopraggiunto problema e che farà di tutto per raggiungerci quanto prima. Arriva trafelata sul finire della presentazione e, in un piccolo spazio che le viene dedicato per salutare il pubblico, motiva il ritardo riferendosi proprio al suo essere mamma, ad un figlio lontano da casa che ha richiesto il suo tempestivo intervento, al suo fare mille corse perchè le dispiaceva rinunciare a questo impegno. Abbiamo intuito dalle sue parole che, il tempestivo intervento,  riguardava un versamento in posta o qualcosa di simile.

Alla fine conclude dicendo: “insomma, scusatemi tanto, ma visto che è stato presentato proprio questo libro …. devo dirvi che ha vinto il mio cuore di mamma!”.

Perchè dare queste spiegazioni? Esprimere il dispiacere per il ritardo legato a un impegno sopraggiunto non basta? Si pensa di fare bella figura, trascurando il piccolo particolare delle altre persone presenti tra il pubblico (forse mamme con poco cuore?) e delle altre tre presentatrici provenienti rispettivamente da Sofia e da Milano?

Questo tipo di spiegazioni fa davvero il paio con le persone che, mentre stai parlando di lavoro ti dicono, solitamente per disdire un impegno o una responsabilità, che la loro priorità è il figlio e la famiglia.

Lavoro con donne da tanti anni e tante volte mi sono sentita ripetere questa frase.

Oggi mi viene l’orticaria, solo a intuirne la possibilità, di queste spiegazioni in arrivo.

Nessuno è tenuto a entrare nel merito della sua vita privata ma, tutti noi siamo tenuti, quando siamo in qualsiasi relazione, a chiederci se quello che stiamo dicendo (o evacuando, si potrebbe dire in  uno psigologhese pret-a-porter), non rischia di ferire chi abbiamo di fronte o, peggio ancora, di offenderlo o mortificarlo, a seconda dei casi.

Ma ogni tanto, stare zitte, no?

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