Amori delicati

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di Irene Auletta

Stamane inizia una settimana di centro estivo Tma (terapia multisistemica in acqua), ricco di proposte e di belle iniziative. 

Durante i preparativi della mattina sei attenta e curiosa ma in auto, nel tragitto verso il Centro, diventi subito seria e, giunta a destinazione esprimi, come fai sempre, la  tua ambivalenza tra andare e resistere. 

E’ facile confondere questo comportamento eguagliandolo a quello dei bambini piccoli e ci vuole ogni volta forza, costanza e competenza, per guardare altrove. 

In una vita dove e’ difficile, se non impossibile,  prefigurarsi i cambiamenti, risultano particolarmente importanti il rispetto dei tempi e i relativi necessari assestamenti. L’equilibrio tra l’attesa e la sollecitazione però, per me, non e’ affatto cosa semplice perché spesso ti vedo imprigionata nella difficoltà di andare oltre la tua stessa “presa di posizione” e allora la sensazione di forzare, a volte, sembra prendere il sopravvento sulla tua volontà. 

E così, con un po’ di disagio nello stomaco e le solite domande spalancate ti lascio al cancello mentre mi guardi serissima, ancora indecisa sul farti convincere ad entrare. Se tu sei ambivalente in queste situazioni io lo sono ancora di più, al limite del dissociata. La testa mi richiama con fermezza alla tua età, al bisogno di proteggerti meno e di forzare un po’ la mano, mentre il cuore mi trova sempre un po’ smarrita e incerta.

Tante volte, pensando ai genitori dei bambini piccoli, ho detto che vanno accolti con delicatezza e pazienza, come “genitori piccoli” che devono ancora crescere nel loro ruolo. I genitori con figli disabili adulti, pur non essendo genitori piccoli, molto spesso riflettono la fragilità dei loro figli e penso vadano trattati con cautela, riconoscendo dietro apparenti fermezze, insicurezze ed  emozioni tanto delicate.

Si, anche ora io mi vedo proprio così come un tuo riflesso, mentre guardo emozionata la foto ricevuta, che trattiene il divertimento e l’allegria.

Ombra e luce. Destino imprescindibile della relazione con te. E poi, ombra e luce non sono i volti della Luna? 

Oltre le parole

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di Irene Auletta

E poi ci sono delle volte in cui le nostre comunicazioni sono intensamente simpatiche e divertenti.

Sul pulmino che ti riporta a casa siete solo due ragazze e il posto a fianco all’autista e’ molto ambito … i ragazzi sembrano non mostrare alcun interesse. Più volte, quest’anno, ho dato voce a questo tuo desidero ma ieri l’ho fatto coinvolgendo la tua “rivale”. 

Sai che Luna non lo sa chiedere con le parole ma anche a lei ogni tanto piace stare davanti. Che ne dici di fare un giorno a testa?

Oggi arrivi seduta davanti, fiera e sorridente. Io ringrazio l’altra ragazza e tu, con tono di voce parecchio sostenuto, esprimi la tua volontà con forza, in un dialogo senza parole che non lascia alcun equivoco sui contenuti. 

Poi sembri volerlo raccontare a tutti e ridi tantissimo quando ti dico che puoi contare sempre sul mio aiuto ma anche sulle tue intenzioni che sai esprimere anche ai sordi! 

E così il tuo tono di voce sale quasi a confermare quello che stiamo condividendo. In questo momento non abbiamo bisogno di nessun traduttore. Le mie parole e i tuoi commenti danzano in perfetta armonia e io mi gusto l’attimo felice.

Devi proprio insistere quando vuoi qualcosa Luna e per tutta la sera ti alleni, mettendo alla prova i miei timpani!

Da anni mi misuro con quelle che penso essere anche le conseguenze della nostra direzione educativa e sono certa che la tua tenacia sia frutto di quel non arrendersi che ti fa persona attiva e non esecutrice delle indicazioni altrui. 

Certamente con la disabilità è facile, e decisamente più gestibile, cedere alla tentazione di orientare molto le scelte altrui, ma io non farei che aggiungere altra inutile sofferenza e quindi preferisco il duello alla resa.

Vederti cosi felice nel poter affermare la tua volontà, mi riempie il cuore di allegria e ancora una volta non ho dubbi sulla scelta. Esistere con dignità vuol dire comunicare, scegliere e … insistere.

Lezione della sera appresa.

Cuore e brillantini

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di Irene Auletta

Mi raccomando curati, non dimenticarti un filo di rossetto e non farti compatire. Mai.

Ci sono eredità che sono al tempo stesso forza e condanna. 

Mia madre oggi probabilmente mi ripeterebbe la stessa frase, lei che appartiene a quella generazione che neppure prendeva in considerazione l’idea di mostrare fragilità e dolore. E io, la lezione l’ho imparata benino.

Chissà perché nel tuo dialetto e nella traduzione che ne hai sempre fatto, la compassione ha assunto ogni volta tinte negative escludendo quel “patire insieme” che invece porta sollievo.

Peccato mamma che, della tua versione, tu non sia riuscita a insegnami anche i costi che immagino avrai vissuto in silenzio, incapace di nominarli e condividerli.

In fondo io sono fortunata perché la scrittura lo permette, garantendo la giusta distanza e protezione. 

Come madre, per alcuni aspetti, posso interrompere questo filo ereditario senza perdere però quelle dimensioni di forza che sono tanto necessarie anche a te, figlia mia. 

Dopo quelle crisi pesanti che ogni tanto arrivano, ti vedo allontanarti e quando pian piano ritorni provo sempre a farti trovare un’accogliente allegria. Chissà se riesco a “imbrogliarti” sempre oppure ogni tanto fai finta di nulla ma intravedi le ombre negli occhi che il sorriso cerca di nascondere?

Eredità dense, preziose e profonde che tu non potrai certamente trasmettere ma che mi auguro ti aiutino ad attraversare meglio questa tua vita. Chissà.

A proposito Luna, ma stamane l’abbiamo già messo un po’ di rossetto con i brillantini?

Distanze a colori

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di Irene Auletta

Ci sono esperienze uniche che, nella maggior parte dei casi, possono comprendere profondamente solo le persone che le attraversano. 

Ti penso lontana e ti incrocio nelle immagini e nei racconti degli educatori. Una figlia come te manca nella carne prima ancora che nel cuore e forse questo e’ ciò che può rendere difficile quel passaggio di separazione che non può avvenire “naturalmente”. O forse sarebbe meglio dire, spontaneamente, da parte del diretto interessato che prende pian piano le distanze dalla sua famiglia per muoversi da solo nel mondo.

Il problema per me non è la lontananza e neppure la fiducia, ma la delega della cura. Quella cura che traduco sempre con le parole di don Milani “mi sta a cuore”. 

Ho imparato, e imparo ogni giorno, che la cura può avere differenti sfumature e questo e’ ciò che la rende preziosa. Nessun operatore deve o può imitare i genitori ma non per questo la sua cura risulta automaticamente meno “di cuore”. Al contrario, se la stessa e’ guidata da sapere e competenza, può tradursi in quel valore aggiunto che nutre nuove esperienze, importanti e insostituibili.

Oggi al tuo ritorno, per motivi di lavoro, non potrò esserci ad aspettarti e già mi pizzica il cuore. Non ci sarà neppure babbo e, per la prima volta, dopo una settimana di vacanza, rientrerai a casa senza di noi e sarai tu ad aspettarci.  In questi tempi sono tante le prove che stiamo affrontando, noi tre insieme, e anche questa sicuramente ci farà scoprire qualcosa di nuovo.

Sei grande ormai. Ma a chi lo sto dicendo? A te o a me? Forse neppure importa.

Aspettiamoci amore e continuiamo a tenerci forte nel cuore, dando alla cura la possibilità di sfoggiare tutti i suoi colori più brillanti. 

Attimi di felicità

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di Irene Auletta

Cosa si può imparare vivendo accanto a un mondo senza parole?  Me lo chiedo da molti anni e oggi, forse, sono giunta ad un punto di equilibrio che si colloca a metà strada tra il disfattismo e il romanticismo estremo. Questa ricerca in realtà non riguarda solo gli aspetti legati alle parole e alla loro assenza, ma più in generale vale anche per molti altri aspetti legati alla condizione di disabilità.

Grazie a te, figlia mia, ho imparato che è importante cercare vie alternative e possibili senza tuttavia fuggire dal dato reale riconoscendo che, a fianco di tante possibilità alternative e agli innegabili effetti virtuosi, non sono esclusi momenti di forte frustrazione, rabbia e dolore che riguardano sia me che te.

E’ solo questa nuova opzione di compresenza, razionale e sentimentale al tempo stesso, che rende possibile la continua ricerca e la cura dei piccoli particolari di ogni giorno.

Qualche giorno fa al tuo Centro Diurno,  in uno dei tuoi momenti di forte tensione e contrasto a tutto, di fronte ad una scala da scendere e alla tua minaccia di buttarti a terra, c’è stata una bella intesa con l’educatrice presente. Visto l’insuccesso del suo intervento ci siamo accordate con lo sguardo e lei si è un po’ allontanata. 

Parlando a te, a lei e anche a me, ti ho detto di quanto in certi momenti ti vedo in gabbia ma non so come aiutarti. Mentre ti dico che ora penso a qualcosa di straordinario mi accorgo di aver attirato la tua attenzione. “Cosa ne dici Luna, facciamo  una  cosa coraggiosa? Vuoi provare a scendere le scale con gli occhi bendati?”. 

Te lo sussurro all’orecchio ma anche l’educatrice ascolta. Funziona e in silenzio l’operatrice mi fa ok con la mano dicendomi “geniale” con il labiale. Così arriviamo in auto e da lì prosegue il pomeriggio. 

Non sempre si e’ fortunati al primo tentativo e per me ciò che più importa non è solo il risultato finale ma farti sentire sempre la mia comprensione e il mio rispetto. In questi casi, le parole “oppositiva” o “sono capricci” (ma mica hai due anni!) si sprecano, ma oggi e’ andata decisamente bene e voglio trattenerne il senso e il sentimento .

Certo mi accorgo spesso che, forse anche in conseguenza al fatto che parlo tanto per lavoro, nel resto della mia vita il silenzio e’ tanto presente, anche come rifugio a un banale che mi rende sempre più “asociale”. Così anch’io mi sento a volte un po’ disabile soprattutto di fronte a domande del tipo Tuttobene? Pronta per le vacanze? Quanti anni ti mancano alla pensione? 

Mai come in questi giorni  mi manca il conforto che mia madre ha sempre saputo darmi nei momenti più difficili, fatto di poche parole e di gesti gentili. Mai come in questi giorni sento tutta la forza maturata in questa straordinaria e difficile vita.

E così eccomi qui, sempre più consapevole del valore del conforto come gesto d’amore profondo, a confortare madre e figlia, coltivando attimi di piccole silenziose felicità.

Tempo di gite

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di Irene Auletta

Maggio è il tempo delle gite scolastiche e genitori e insegnanti lo sanno molto bene! Chi vive un’esperienza di genitorialità come la mia molto spesso rimane ai margini di queste esperienze e, ritrovarsi nella cosiddetta normalità, ogni tanto mi crea quasi un piccolo senso di spaesamento.

Stamane gita con il gruppo del Centro TMA. Appena ti svegli e te lo ricordo, come accade spesso, passi direttamente dal letto alla porta di casa, senza passare da nessun via. E così inizio a ricordarti che non puoi uscire in pigiama e ti coinvolgo anche nella preparazione dello zaino e della tua immancabile borsa frigo che, in quanto celiaca, ti protegge dal rischio di cibo per te non adeguato.

Sono mesi che non tremi più al mattino ma stamane sembri una foglia travolta dal vento. Provo a controllare i pensieri che mi nascono spontanei. Ma cavolo proprio oggi? Una cosa un po’ più facile no? Mi accorgo che questi pensieri rischiano di rovinare la preparazione e così chiedo al vento forte, già che c’è, di portarseli via. Non so come, accade.

In macchina sei molto contenta ma al tempo stesso assumi la tua espressione seria di quando hai intuito che sta per accadere qualcosa di bello e importante, ma ancora non sai bene come rappresentartelo. Cantiamo fino al Centro e, arrivando in anticipo, ci gustiamo il cerchio di sedie all’aperto che attende il gruppo e che già parla dell’accoglienza per una giornata non ordinaria.

Ti saluto e ti guardo a distanza sempre in compagnia di quel sentimento misto di tante sfumature che ormai è un fedele compagno di viaggio.

Ma possibile che ancora ti emozioni a salutare tua figlia venticinquenne? 

Quando nel pomeriggio ci ritroviamo guardiamo video e foto della giornata e insieme ci gustiamo le tracce della bella esperienza. Saperti felice e curiosa a distanza e lontana da me mi riempie il cuore e forse oggi la mia emozione mi ha raccontato storie un po’ differenti.

Tu impari, io imparo. Qui non ci si annoia mai.

Donne, madri e figlie

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di Irene Auletta

“Sono madre, nonna e ancora figlia. Equilibri complessi soprattutto quello che mi vede come figlia nella relazione con mia madre”. Così si presenta una signora in occasione delle mie ultime serate rivolte ai genitori. 

Ripenso alle sue parole in un giorno dove, nella ricorrenza della festa della mamma, e’ facile incrociare immagini, frasi e commenti intorno a questo tema.

Penso alla mia di madre e penso a me figlia. Io adulta e lei anziana, ancora impegnate, per quanto possibile, a stare in questa importante e profonda relazione. In queste ultime settimane, con mia sorella e mio padre, abbiamo affrontato momenti molto dolorosi condividendo la decisione di non coinvolgerla. Avremo fatto bene? Avremo fatto male?

Chissà, i dilemmi etici forse devono rimanere così, sempre un po’ in bilico sul filo del dubbio e ancora oggi mi dico che, proprio nel suo ruolo di madre, abbiamo scelto di proteggerla. E va bene così.

La madre che sono è fortunata perché porta con sé un bagaglio bello ricco di figlia al quale attingo ogni volta che parlo in dialetto con mia figlia, nel nostro linguaggio d’amore, ogni volta che lo scherzo e l’allegria mi aiuta a tenere il dolore un po’ a distanza, ogni volta che devo aiutarla ad affrontare il mondo.

Sono fortunata rispetto a quella signora di cui ricordavo perchè mia madre, che pian piano svanisce nella sua memoria, è sempre più presente nel mio sguardo, nelle mie espressioni, nelle mie parole, oltre che nel mio cuore e questo mi sostiene nell’affrontare anche questa nostra ultima tappa.

La nostra storia ridefinisce ogni giorno la madre e la persona che sono e quindi oggi, guardandola negli occhi, ci farò gli auguri perchè insieme, ancora e ancora, siamo il frutto della nostra bella storia e del nostro unico e straordinario incontro.

Dialoghi e battiti

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di Irene Auletta

Tutti gli organi hanno bisogno di cura e il corpo trae indubbiamente beneficio da un virtuoso dialogo con loro. Ehi polmone stai meglio dopo le nostre camminate? E poi ormai sono parecchi anni che ho smesso di fumare, lo senti? E voi amici reni, intestino e dintorni, vi accorgete della cura a voi destinata? 

Che dire di tutti gli altri in fila in attesa di battute e commenti? Il dialogo prosegue seguendo dettagli, in tante forme, alcune anche assai spiritose finché non si arriva al cuore. Organo delicato, protagonista di poesie e metafore, vicino ai nostri pensieri forse più di tutti gli altri organi. 

Può essere che tutti noi ci rivolgiamo direttamente a quelli che sentiamo più fragili o a quelli malati ma, il cuore, mi pare essere il protagonista assoluto sulla scena.

Forte, spezzato, da leone, debole, frizzante, pesante. Il cuore del mal d’amore, del battito per gli amori fragili, delle battaglie per la vita e delle emozioni gentili.  

Eccolo lì, come mi ritrovo a pensarlo affettuosamente da qualche tempo, il mio cuoricino, di cui prendersi cura e che ogni tanto mi rimprovera di sentirsi troppo bistrattato. Ci sono periodi così nella vita, gli racconto paziente, e forse il passare degli anni inevitabilmente aumenta la conta delle persone care che si ammalano, invecchiano, muoiono. 

E il cuore patisce, si stringe, ti pizzica forte fino agli occhi. 

Allora, appena possibile, non resta che scappare di fronte ad un orizzonte aperto e fare un gran respiro. Ma di quelli lunghi lunghi. 

Resisti cuore, nutriti di questo bello pieno di speranza e di vita e tieniti forte più che puoi. Da te dipende parecchio per sostenere quegli occhi anziani, quel sorriso più caldo e antico della memoria, quell’incontro che profuma amorevolmente di casa e quell’abbraccio che ogni giorno mi orienta verso l’essenza.

La vita è un tuono

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Il monaco zen vietnamita Thich Nhat Hanh ha scritto “Ho attraversato molte tempeste. Ogni tempesta è destinata a passare, non esiste tempesta che duri per sempre. Anche questa condizione della mente passerà. La tempesta è soltanto una tempesta. Noi non siamo soltanto una tempesta; possiamo trovarci al sicuro proprio nel mezzo della tempesta. Non permetteremo alla tempesta di fare danni dentro di noi”.

di Irene Auletta

Ogni tanto vado a rileggermi alcune tracce lasciate da quest’autore e, come accade spesso, scopro il potere curativo delle parole. Così mi ritrovo a pensare ad alcuni momenti che in effetti non ricordo come fulmini e saette ma come tuoni, prima lontani e appena udibili e poi sempre più vicini, ad anticipare l’arrivo di qualche tempesta.

I tuoni hanno per me una loro speciale bellezza, forse perchè ogni tanto riescono a stupire per il loro gran trambusto che alla fine si traduce in un nulla di fatto, fino a lasciarci sorpresi e meravigliati di fronte a nuovi squarci di cielo che fanno ricomparire la luce del sereno.

Si, per me la vita è proprio così. La vita è un tuono e, prenderne confidenza, vuol dire non spaventarsi di fronte al primo boato lontano ma farsi incuriosire dalle possibilità differenti che possono verificarsi preparandosi a rimanere radicati, ognuno per come riesce. 

In questi giorni ti vedo di nuovo sorridente e serena e mi sembra che, anche per stavolta, siamo scampate ad una tempesta. Molti problemi correlati alla tua disabilità sono come tuoni potenti che mi rimbombano nella pancia, su fino al cuore. Rimango molto tiepida di fronte ai tentativi di spiegazioni razionali perchè io capisco quando non stai bene non nella testa, ma nella pancia, nello stomaco, nel cuore.

Così i miei organi interni sembrano bloccarsi in attesa del cambiamento desiderato e quando accade mi capita di dirlo proprio così, con estrema leggerezza. Oggi sono davvero felice e per me vederti sorridere, cantare e ballare, non ha confronto con nessun cielo illuminato. In questo c’è tutta la bellezza e tutta l’ombra del nostro legame e per tale motivo negli anni, ho imparato a voler bene ai tuoni.

Mi avvisano, mi preparano e per fortuna, tante volte mi sorprendono con esiti positivi. Quando accade il contrario, aspetto e trovo rifugio nelle parole e in quel silenzio che, con incredibile forza e tenacia, mi hai insegnato ad amare.

Per oggi è passata senza fare troppi danni e magari domani andrà meglio. Chissà.

Insieme ai tuoni arrivano nuove domande. Ma quando passa? Fino a quando?

Insieme ai tuoni arrivano anche nuove risposte.

Passerà anche stavolta e continuerà a passare finché lì, al centro di questa storia fatta di dolore e fiducia, di fragilità e forza, di gioia e malinconia ci saremo noi che, non mollando mai la presa, continueremo a tenerci strette per ricordarci che noi non siamo soltanto una tempesta!

Al calore delle nuvole

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di Irene Auletta

Giorni fa, parlando con una mia cara amica che mi fa memoria di tante onde di questi ultimi venticinque anni, ho realizzato di quanto io mi sia preoccupata tardi della disabilità di mia figlia. 

In realtà l’impatto più tragico, almeno nei primi dieci anni di Luna, e’ stata la malattia. Si, perché è vero che spesso esistono correlazioni tra disabilità e malattie ma rimangono due storie differenti. Molti bambini con disabilità nascono sani, considerando la disabilità una condizione e non, appunto, una malattia. Ma tanti, come la mia signorina, arrivano al mondo con un bis non troppo piacevole nel loro zainetto di vita e la malattia e’ arrivata prepotente a distogliere l’attenzione da qualsiasi altra cosa. 

Ricordo le paure tremende di quegli anni, i lunghi e ripetuti periodi di ospedalizzazione, l’angoscia della morte, il tempo sospeso che, oltre le apparenze di normalità, mi hanno fatto vivere tanti anni in apnea. Cavoli, dico ripercorrendo pezzi di storia, ti ricordi come ero angosciata? Uhhh e chi se lo dimentica mi risponde Patty, con quel sorriso condiviso che ci ha fatto attraversare insieme tante burrasche, mie e sue. 

Però ancora oggi ridiamo tantissimo quando ci vediamo, di quella risata che libera il cuore e mi lascia più leggera dopo ogni incontro. E così ci salutiamo con alcune battute, tra il serio e l’ironico, che mi accompagnano nel corso della serata … bastarda la vita eh?! E poi non c’è nulla da fare, i sessant’anni segnano una svolta! Vabbè, ci stiamo facendo vecchie, direbbe mia madre.

In compenso oggi, per diversi aspetti, non sono più quella stessa persona. La vita ci ha provato diverse volte a farmi sgambetti e ancora sembra non essersi stancata di fare tentativi, ma gli anni mi hanno insegnato passi inediti, danze possibili, battiti di riserva. Insomma tra la depressione e la speranza, scelgo ogni giorno la seconda.

Perché ne scrivo ancora? Perché se anche solo una persona, come tante volte mi è stato restituito, leggendo ciò che provo a raccontare farà un respiro lungo portatore di un filo di leggerezza, ne sarà valsa la gioia di continuare a provarci. 

Ancora e ancora.

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