Onde canterine

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di Irene Auletta

L’ho imparato vivendo insieme ad una figlia come te. 

La vita è davvero come un imprevedibile mare, con giorni di quiete, onde lente e morbide, con quella luce  tiepida che accarezza il cuore. Altri invece nascono già con onde alte, odore di tempesta e un’acqua  che sembra fatta di sola schiuma, sotto un cielo scuro.

Abbiamo imparato insieme a goderne di entrambi, perché così è la vita. Così è la nostra vita.

Ma dove recuperiamo quella gioia che non ci lascia tanto facilmente o che comunque torniamo a ricercare appena sentiamo che ci sfugge tra le dita, esattamente come quella sabbia tiepida su cui mi piace tanto passeggiare?

La ricerca della gioia dovrebbe, o potrebbe, essere quasi una missione di vita e, forse, lo è ancora di più per quelle storie trafitte da dolori forti, che accompagnano nella vita senza lasciarti mai. Insomma, avere un compagno di vita come il dolore che ogni tanto arriva a trovarti e’ una cosa, ma quando il compagno di viaggio diventa un ospite fisso che abita con te da anni e che non intende andarsene,  e’ necessario inventarsi qualcosa e tanto dipende da noi.

A seconda di come lo trattiamo, possiamo ritrovarci imprigionati per sempre oppure scoprici affascinati di fronte ad orizzonti inediti, capaci di insegnarci sempre qualcosa di nuovo.

Ci sono sicuramente diverse persone ed esperienze che negli anni mi hanno accompagnato e aiutato in questa interessante ricerca ma, prima di tutte, rimane sempre lei. Mia madre, ormai lontana, ma sempre vicinissima.

Ogni volta che ripesco la gioia dopo uno smarrimento, la ritrovo lì al mio fianco, a sussurrarmi parole di conforto. Le stesse che ci aiutano a rialzarci e che, ancora con le ginocchia sbucciate, ci fanno scoppiare in una risata, colma di gratitudine.

Da qualche mese hai ricominciato ad utilizzare la voce, per mesi rimasta chiusa in cassetti di triste malinconia. Ogni volta è una sorpresa ritrovare quella tua forza che ci hai insegnato ad amare, anche quando ci manda ai matti!

Stamane cantavi a voce alta e io, commossa, mi sono sentita piena di felicità. Per te, per me e per quel canto capace di dirlo ancora e ancora.

Il mare sa sempre brillare e non c’è nulla come un canto senza parole che possa farlo scoppiare di  splendore.

Danzando insieme

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di Irene Auletta

Come sta la mia Luna?  E’ passato un anno e quella domanda ogni tanto torna a farmi compagnia. Me la coccolo tenendola  stretta vicino al cuore, esattamente come facevo ogni volta che eri tu a pormela. 

Lo sapevo che avrei perso un pezzo,  lo sapevo che nessuno mi avrebbe compreso come sapevi fare tu, lo sapevo che così è la vita, che si nasce e si muore. 

Quello che però non potevo immaginare non era la sofferenza, che mi aspettavo come certezza,  ma il senso di mancanza, di vuoto, di perdita di orientamento, di cuore pesante.

Eppure, negli anni, me lo sono detta tante volte che nessuno mi avrebbe più guardata come mi guardavi tu quando, anche senza parole, ti dicevo, mamma per me è troppo, mi sembra di non farcela. E tu, con gli occhi pieni e brillanti, eri pronta ad esserci e a dirmi ce la fai, ce la fai di sicuro.  

Negli anni ho sempre pensato che questo fosse il più grande tesoro che potevi lasciarmi ed è quello che provo a fare ogni giorno, come madre, nello starti vicino e sostenerti ogni volta che cadi e inciampi. Ce la fai Luna, ce la fai di sicuro. 

Non voglio neppure chiedermi figlia mia se un giorno arriverò a mancarti allo stesso modo, perché se finora ho imparato qualcosa, e’ che quanto ci sostiene e tratteniamo nella memoria, abita nel cuore. Mi va bene così.

Negli ultimi tuoi anni , quelli del tramonto, succedeva una cosa molto bella. Ogni volta che venivo a trovarti, appena mi vedevi esclamavi sorridendo eccola la mia Irene e io spesso, come in un gioco complice,  non potevo fare a meno di risponderti eccola la mia mamma. E ridevamo. Lo faccio spesso anche con Luna, questo gioco, ma lo facciamo in silenzio, come tutto ciò che parla del nostro amore. 

Così proprio oggi, in silenzio, mentre le lacrime accompagnano il ricordo, mi raggiunge una musica e nel cuore riconosco la nostra danza.

Eccoci, ancora insieme.

Le nostre primavere

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di Irene Auletta

L’ho condiviso tante volte e oggi mi pare la giornata perfetta per ricordare questo vecchio racconto.

Molti anni fa, da bambina, un giorno a scuola ho scoperto che il mese di febbraio è ancora un mese d’inverno. Lo ricordo ancora bene il mio dispiacere mentre racconto a mia madre che io non voglio essere nata in inverno. 

Che possiamo fare, dice mamma, purtroppo sei nata a febbraio. Ma sai cosa possiamo inventarci? … che dal giorno del tuo compleanno inizia la primavera!

Per molti anni successivi il giorno del mio compleanno ho ricevuto sempre composizioni di primule. Irene oggi è primavera, mi dicevi.

Mia madre era tanto e questa era una delle sue caratteristiche più belle. La capacità di portare leggerezza e trasformare con allegria i piccoli o grandi imprevisti della vita.

Negli anni tante volte mi è apparsa incupita, malinconica e preoccupata ma, appena il sorriso le illuminava il viso, nella stanza entrava un’aria limpida. Nella stanza del mio cuore, intendo. 

Ogni giorno provo a fare lo stesso con mia figlia, soprattutto quando la vita mi mette ancora e ancora in ginocchio. Proprio in questo momento ti penso vicina vicina e pian piano il respira si allarga. 

Quest’anno mamma questo inizio di primavera e’ dedicato a te, alla bellezza che mi hai lasciato e a quel sacchetto di forza leggera dove ogni tanto attingo per prendere pizzichi di allegria a condimento della vita. 

Auguri a me, figlia di questa nuova ennesima primavera. I doni più preziosi sono proprio ben custoditi in quella stanza lì. 

Senza ‘e te 

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di Irene Auletta

Quanto mi ricordi tua madre! Ogni volta tornare a casa vostra e’ un modo per prendere un pezzetto di contatto in più con un’assenza grande.

Lo sai papà che mi fa tanto piacere assomigliare a mamma. Entrambi condividiamo un momento di magone che mio padre interrompe con una delle sue frasi tipiche. Allora cosa mi racconti di Luna?

Tutta la forza che esibisco quasi sempre e ovunque vacilla di fronte allo sguardo intenso di mio padre. Ha perso due figli e Luna fa riemergere, in lui e in me, ricordi malinconici. Riesco solo a rispondere che a volte sono tanto preoccupata mentre lui annuisce dicendomi che, a noi, ci pensa ogni giorno. 

Mio padre è un uomo essenziale, decisamente fuori moda in questi tempi effimeri. Sono stata fortunata ad avere avuto così tanto a  lungo nella mia vita sia lui che mia madre e sono contenta di non aver mai perso occasioni per dire a entrambi della mia gratitudine. Se penso alle nuove generazioni di figli adulti e a tante distanze,  penso che i miei genitori sono stati capaci di insegnarmi anche questo.

Chissà se come madre sarei stata capace di fare lo stesso con una figlia adulta con caratteristiche differenti dalla mia? Chissà. 

Per ora mi gusto ancora quei piccoli momenti in cui sentirmi figlia. 

Se  mia madre mi ha insegnato e lasciato  come eredità indelebile il valore della cura della vita, mio padre ancora oggi mi fa sentire radici forti che anche nelle tempeste mi tengono ben salda. Forse ha ragione la mia maestra Feldenkrais quando dice che noi donne lucane siamo donne quercia. 

E così in auto, mentre gioiosamente malinconica sto tornando a casa, mi raggiunge questa dolcissima canzone…

Vabbè Pino Daniele però ora non mettertici anche tu!

Je te penze accussi’

Per ore e ore

Je te voglie accussi

Te voglie ancora

E si chest nunn’e’ ammore

Ma nuje che campamme a ffa’

E se chiove o jesce o sole

Je te voglie penza’

Pecch senza ‘e te nun so’ niente

(Senza ‘e te, Pino Daniele)

Crepuscolando

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di Irene Auletta

Qualche sera fa, approfittando di una piccola pausa alla calura pesante delle ultime settimane, decido di proporti un’uscita serale anche per interrompere difficili “circoli viziosi” in cui rischiamo di soffocare molto più del caldo torrido.

Che ne dici Luna andiamo a trovare  il nonno? Mio padre dorme pochissimo e quando lo avviso della speciale visita serale mi risponde pimpante che tanto lui fino a oltre mezzanotte e’ sempre sveglio e ci aspetta con piacere. Siamo in una botte di ferro. 

La serata è limpida e già il viaggio in auto, le luci, i colori del centro città e la possibilità di muoversi senza traffico, mettono un po’ di calma facendo comparire ogni tanto un piccolo sorriso sulla tua faccia da temporale.

Appena arriviamo, dopo tutti i tuoi rituali che metterebbero a dura prova anche la famosa pazienza di Giobbe, ti dirigi senza esitazione in camera da letto dove tante volte sei stata a riposare, giocando, vicina alla nonna. Sembri proprio cercarla.

Una sua bellissima foto lì vicina, che guardiamo insieme,  mi aiuta a ricordarti che la nonna non è più qui e, anche vedendo gli occhi lucidi di mio padre, ti propongo di stare in sala.

Funziona fino al momento del saluto quando scappi di nuovo in camera e stavolta ti dirigi direttamente verso la foto. La prendo e tu avvicini  il viso quasi a sfiorarne con la punta del naso la cornice. Il pianto solitario di questi ultimi mesi di assenza mi stringe la gola mentre mio padre prova goffamente a dirti nuovamente che la nonna non c’è più. 

Mentre le tue labbra vicino alla cornice sono la cosa di più simile a un bacio, prendo fiato e ti ricordo il suo sorriso, i suoi gesti gentili, i suoi scherzi e le cose che ci diceva sempre. Ti ricordi Luna quando nonna?

Un bacio tu e un bacio io, poi lasciamo la foto sul comodino e usciamo accompagnate da mio padre che timidamente si asciuga le lacrime. 

Fai sempre fatica a salutare e anche stasera lo faccio io per te provando a dare poche parole all’emozione che ci ha travolto mentre mio padre aggiunge quasi in un sussurro, hai ragione Luna anche a me non sembra vero.

Nel viaggio di ritorno verso casa, che allungo sapendo di farti contenta, il silenzio assume tinte molto malinconiche che rigano il viso.

Irene, ti raccomando per la mia Luna l’allegria e il sorriso, ricordati che non vi devono mai mancare!

Le sue parole mi arrivano leggere con tutto il peso della mancanza e mentre mi asciugo gli occhi, faccio un respiro profondo ed eccoci di nuovo lì insieme, noi tre. Ripeto alcune sue battute mentre sbircio il tuo sorriso che mi allarga il cuore tra ferite e cura.

Luna, ma ti ricordi quante volte nonna? 

Gesti preziosi e fagiolini

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di Irene Auletta

Mia madre mi ha insegnato che stare vicino è un fatto di carne, di azioni concrete, di gesti. Poche parole e tanti fatti diceva sempre lei che neppure aveva idea di essere così vicina al filosofo Seneca quando scriveva che i fatti devono provare la bontà delle parole. Altrimenti …

Quando aprivo la porta sorpresa dalla loro visita, la sua e quella di mio padre, la sua frase ricorrente accompagnava una visita di saluto, di compagnia, di vicinanza. Vuoi che ti prepari qualcosa per cena? Guarda cosa ti ho cucinato a casa. Dammi qualcosa da fare, che faccio qui con le mani in mano?

Le parole non erano il suo forte, anche se le sue espressioni e le sue massime in dialetto mi accompagnano ancora oggi ogni giorno, ma i suoi gesti mi hanno sempre raggiunta forti, delicati, amorevoli, presenti. Mi ha insegnato l’allegria proprio così, mentre ripeteva ricordati che ad essere allegri quando va tutto bene, sono capaci tutti! Si mamma, avevi proprio ragione, è l’allegria del cuore pesante la vera sfida, quella che ti orienta a sostenere un sorriso nella tempesta e a cercare tenacemente di insegnarla a chi ami, proprio mentre sta attraversando strade assai accidentate, vicinissime a burroni.

Mia madre non immaginava neppure lontanamente che oggi le vicinanze avrebbero preso quasi esclusivamente la forma di messaggini ed emoticon, rimarcando una solitudine del genere umano forse mai vissuta prima, soprattutto di fronte ad una mancanza grande, ad un dolore, ad un grave inciampo della vita. 

Direbbero i ragazzi, vuoto cosmico, cuoricini e baci come se non ci fosse un domani mentre ciascuno fa i conti con le sue onde esistenziali, che tanto, prima o poi, ci coinvolgono tutti. 

Si è proprio vero, i fatti devono provare la bontà delle parole e, per quello che mi riguarda provo a farne tesoro, ogni giorno, con le mie vicinanze preziose, con i miei affetti più cari e con quella fantastica signorina che non si fa fregare dalle parole.

Siamo sedute vicino, io un po’ persa nei miei pensieri, quando la tua mano si avvicina al mio viso per girarmelo delicatamente, ma senza equivoci e con fermezza, verso di te. Per un attimo i tuoi occhi mi trafiggono riportandomi vicina con la carne. Le tue mani mi cercano tirandomi a te e qui, proprio qui, c’è il prezioso che mi guida indicandomi la via. 

Sto imparando da parecchi anni a non perdere di vista l’intensità della vita lasciando andare tutto ciò che non mi riguarda e che davvero non ha più senso. Piano piano imparo Luna, tu continua ad avere pazienza.  Che ti preparo per cena? Vengo vicino a te a pulire i fagiolini, che faccio qui con le mani in mano? 

C’est la Vie 

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di Irene Auletta

Dove vai figlia mia quanto ti perdi nei tuoi mondi a me sconosciuti? Dove vado io quando attraverso i miei sentieri misteriosi?

Viaggiatrici toste ma in affanno stiamo vivendo tempi difficili e ognuna di noi due, per le sue vie, cerca soluzioni per affrontare tempeste e schiarite. 

I nostri viaggi in auto sono da sempre un’occasione per perdersi e ritrovarsi e ogni martedì ci aspetta il prima e dopo piscina che riempiamo di silenzi con tante chiacchiere di intensità. Con il cuore pesante alcune settimane fa ti ho raccontato che la nonna si è addormentata per sempre.

Ho fatto riferimento allo stesso linguaggio che anni fa ci aveva aiutato di fronte alla morte della nostra gatta. Ti  aveva accolto alla nascita, in casa, annusando la placenta e da allora ti ha protetto come sua cucciola fino alla fine. Avevi accettato di accarezzarla nelle sue ultime ore di vita ma, appena morta, ti sei rifiutata categoricamente di avvicinarti. Luna, ti ho detto, la nostra Mimi’ si è addormentata per sempre e tu sembravi aver capito benissimo.

E ora, con gli occhi pieni di lacrime e il cuore dolorante, mi chiedo se riesco a raggiungerti. Non ti nascondo il mio pianto perché so che quando arriva lo senti, ma provo a trasformarlo, come ci ha insegnato la nonna, per renderlo più leggero. Hai già tanto peso da portare nel tuo zainetto  e purtroppo negli ultimi anni la vita ha aggiunto ancora qualcosa da portare insieme.

Mentre a volte sembri davvero altrove, altre vedo e sento i tuoi occhi profondi che mi cercano e mi scrutano, insieme a quella ricerca di contatto che ci tiene strette nel nostro incontro d’amore a prenderci cura l’una dell’altra.

Senti Luna, ti ho visto tuffarti, sei davvero coraggiosa … Non vedo l’ora di nuotare con te e di divertirci insieme in acqua a farci gli scherzi!

In acqua le tue enormi difficoltà motorie diventano morbide e il tuo viso felice racconta l’esperienza di quella fluidità per te assai difficile nella gravità. Osservo la stessa leggerezza ogni settimana dopo  la tua lezione Feldenkrais  che, nel nostro ritrovarci, mi coinvolge in quella tua camminata addolcita, quasi a compiere insieme passi di danza.

Così ogni volta, grazie all’esperienza che passa dal corpo, provo a stare con te nelle piccole leggerezze ritrovate e possibili e, cercando di gustarmi questi momenti preziosi, chiedo aiuto alla terra di radicarci forte e a quell’indelebile sorriso abbracciato al mio cuore di continuare a illuminarci la via. 

Sempre, sempre. Nelle dolorose cadute e nei nostri fantastici voli.

C’est la vie mon amour!

Cuori forti

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di Irene Auletta

Mi capita spesso di riflettere e di scrivere intorno al tema della fatica che per molte persone pare essere una condizione inscindibile dall’esistenza. Mi dispiace tanto per loro ma quello su cui cerco di concentrarmi sono gli effetti di questo comportamento sull’educazione. 

Ne discutevo giusto qualche sera fa con un gruppo di genitori parlando di ciò che si insegna, sovente, senza alcuna consapevolezza. Il perenne lamento, la polemica continua, la critica appena possibile, la fatica per tutto, anche mentre si descrive qualcosa di bello, e via in questa direzione nel trascorrere dei giorni. Cosa insegniamo ai nostri figli e ai bambini e ragazzi tutti con questi comportamenti? 

Ti ho salutato tante volte in questi ultimi mesi e ogni volta il tuo cuore ha continuato a resistere rimandando il momento della tua morte, che ogni giorno diviene inesorabilmente più vicino. Oggi, mentre ti invito a riposare, ti racconto delle tante cose belle che mi hai insegnato, del mio bene immenso e della fortuna di averti avuto come madre. Anche la fatica mamma sei riuscita a farmela vivere con leggerezza e bellezza aiutandomi ogni volta a riempirla di quel senso che la giustificava dandole valore. 

Ti racconto di quanto mi sento immensamente grata mentre tu sei già altrove e forse neppure riconosci questa tipa che da un’ora ti stringe le mani e ti abbraccia. 

Quando sono diventata madre mi hai aiutata a rimettere insieme i pezzi di una maternità inattesa e piena di dolore e pian piano mi hai accompagnata a riprendermi la voglia di non perdere di vista la gioia. Il tuo dono più grande che oggi mi fa me e che fa di me la madre che provo a essere ogni giorno.

Signora non si faccia vedere mentre piange, mi dice un’assistente che passa dalla tua camera. Non rimango zitta e, chiedendole il perché della sua affermazione, le dico che le emozioni sono belle di tutti i colori e che nella storia con mia madre hanno sempre avuto un posto importante. Oggi non sarà un’eccezione.

Non voglio la sua risposta ma solo che esca dalla stanza insieme alle sue inutili prescrizioni che ancora una volta stridono con la mia idea di saluto. Quanto è difficile vivere la morte nella sua dimensione naturale e nel rispetto di chi si stringe nel suo dolore. 

Anche adesso, nelle tue ultime battute di vita, le tue mani instancabili sembrano cercare sempre qualcosa da fare e qualcuno di cui occuparsi. 

Anche adesso sei tu mamma, proprio la mamma che mi ha insegnato la profondità del valore della cura e della preziosità di occuparsi di chi amiamo. La parola fatica l’ho sentita pochissime volte uscire dalla tua bocca perché sei sempre andata oltre alla ricerca dei significati più profondi e me li hai insegnati. 

Poche parole, tantissimi gesti e azioni concrete.

Così, anch’io oggi, ti saluto in silenzio, con il dolore nel petto e il cuore forte che mi accompagna nella vita e ogni volta che abbraccio mia figlia.

Proprio , in quell’abbraccio, ogni volta siamo in tre.

“Più che temere che la mia vita abbia fine, temo che non abbia inizio. Non ho paura di morire, a questo tutti siamo obbligati, ma di non vivere. A te ne chiedo il segreto, cuore. Deve esser nascosto nella tua cavità se abbiamo scelto te, un organo cavo, per riassumere la vita dell’uomo, perché è ‘al cuore’ che si fa sempre ritorno”. Resisti, cuore. L’Odissea e l’arte di essere mortali di Alessandro D’Avenia

Passeggiando nel tempo

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di Irene Auletta

Negli ultimi tempi gli incontri con mia  madre si sono trasformati in viaggi nel tempo. Il segreto è non porre resistenza e farsi accompagnare in sbalzi da capogiro, in un movimento continuo tra passato prossimo e passato remoto, con qualche puntatina nel presente.

Diversamente da chi in tali situazioni si angoscia, io ho scoperto la via della curiosità e la possibilità di stupirmi insieme a lei di qualcosa che, anche ripetuta a distanza di cinque minuti, diventa una sfiziosa novità.

Ti stupisci della tua età e della mia e riesci sempre a dirmi che sono sciupata e troppo magra.  Dai mamma non è poi tanto vero, ti dico nel nostro ultimo incontro. Allora mi sorridi e con candore mi rispondi che forse mi “sono fatta vecchia”. Replico ridendo che questo è troppo e le ricordo ogni volta le sue di primavere! Ma veramente? Allora mi sono fatta vecchia pure io!

Così va meglio.

Ti faccio vedere spesso qualche foto di Luna, solo un paio perché di più fai fatica a seguirle e non di rado commenti chiedendomi se riesce a farsi capire. Questa tua domanda mi commuove sempre perché era la tua preoccupazione di sempre nei suoi primi anni di vita e colgo lo stupore quando ti ricordo che ora ha ventisei anni.  Cerco di raccontarti solo cose belle e leggere ma ogni tanto mi punti gli occhi negli occhi e sei tu, che mi osservi nel profondo. 

Quante cose pesanti la vita ti ha messo sulle spalle … Lo dici quasi a bassavoce, come fosse un sospiro.

Non faccio neppure in tempo a trattenere le ultime battute che sei già altrove, indietro di trenta, venti, dieci, cinque anni fa.

Mi torna in mente la bellissima frase di film che ho visto di recente. “A volte è meglio non sapere le cose. Il bello della vita è proprio questo: ignorare che cosa accadrà domani; anzi, che cosa accadrà tra un istante. Del resto, come potremmo nutrire qualche speranza sul nostro futuro, se lo conoscessimo già?”.

Appunto.

Quando mi riprendo dal mio vagare, ti vengo a cercare in un altro tempo e così fino alla fine del nostro incontro, con il tuo saluto che ripete sempre le medesime parole con cui mi accogli. 

La mia Irene … la mia Irene.

E così ti saluto incrociando il tuo sorriso stanco mentre i tuoi occhi sono già di fronte ad un altro paesaggio a guardare chissà cosa. Ogni volta devo fare pace con il desiderio di esserci di più e con la mia vita che decide le sue battute spesso incurante di ciò che vorrei non perdere o trattenere il più possibile. 

Dopo ogni visita, ritorno pian piano verso casa accarezzando attimi di nostalgica malinconia in compagnia dei temporali e delle schiarire del cuore.

Quando torno da te figlia mia, il tempo è quello di un magnifico e terribile inesorabile presente.

Luna lo sai cosa ho raccontato alla nonna? Le guardiamo un po’ di foto delle tante cose belle fatte insieme? 

Nel tuo tempo dell’eterno presente i ricordi, tra profumo di violetta e Leocrema, mi riportano in equilibrio tra i miei affetti più cari e profondi e proprio lì, il battito trova attimi di quiete e di felicità.

Cura, cuore e grammatica

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di Irene Auletta

In alcune situazioni delicate o di difficoltà ho sentito spesso mia madre ripetere una frase in dialetto che tradotta suona più o meno così. Il male è di chi lo sente e di chi lo ha in mente.

Avere nella mente è un’espressione che mi è sempre piaciuta e che sento più potente del “semplice” pensare, perchè mi restituisce un’idea di continuità, di processo, di una forma di vicinanza e di attenzione particolari.

Forse non a caso questa frase l’ho ritrovata familiare e sentita vicina nel mio percorso, personale e professionale, di ricerca sulla cura e su ciò che le ruota intorno, caratterizzandola.

Avere nella mente a partire da chi “sente il male”, mi evoca anche una condizione di rispetto per chi sta vivendo quel momento e la necessità di sapersi posizionare nel modo adeguato. Siamo circondati da una frettolosità che sovente rischia di farci fare scivolate, dal punto di vista comunicativo, rubando la scena alla storia dell’altro. 

Quante volte, di fronte a chi prova a raccontare, si ascolta subito l’eco di coloro che hanno urgenza di mettersi in primo piano sulla scena narrativa. Si anche a me è successo, anch’io vivo lo stesso, ti capisco perchè anche a me, perchè anche io

Questo IO dominante che, decisamente distante dalla condivisione, interferisce con quell’ascolto profondo fatto  sovente di sguardi, vicinanza e silenzi.

Se fossi una maestra elementare forse approfitterei della grammatica e dell’insegnamento dei pronomi personali per aiutare i bambini a comprendere il valore del tu, noi, loro in un intreccio tra grammatica e significato relazionale.

Mia madre mi ha insegnato ad avere rispetto del racconto dell’altro, perchè lì c’è la sua storia, il suo malessere, il suo male, il suo dispiacere, non il nostro. Il rispetto nella dimensione dell’ascolto, molto difficile da praticare, chiede una delicata  attenzione e una grande disciplina.

Il “male” di mia madre comprende sia il dolore fisico che quello del cuore e, nelle relazioni di cura, fa intravedere la dimensione della protezione, verso chi sta attraversando un momento di fragilità o difficoltà.

In questi casi ho imparato che ciò che rende intensa la scena di tale incontro, può essere solo la comprensione vista a braccetto con la condivisione, nel silenzio pieno di quei significati che tu mi hai insegnato ad apprezzare e ad amare.

La danza della cura, tra la mente e il cuore.

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