Passeggiando nel tempo

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di Irene Auletta

Negli ultimi tempi gli incontri con mia  madre si sono trasformati in viaggi nel tempo. Il segreto è non porre resistenza e farsi accompagnare in sbalzi da capogiro, in un movimento continuo tra passato prossimo e passato remoto, con qualche puntatina nel presente.

Diversamente da chi in tali situazioni si angoscia, io ho scoperto la via della curiosità e la possibilità di stupirmi insieme a lei di qualcosa che, anche ripetuta a distanza di cinque minuti, diventa una sfiziosa novità.

Ti stupisci della tua età e della mia e riesci sempre a dirmi che sono sciupata e troppo magra.  Dai mamma non è poi tanto vero, ti dico nel nostro ultimo incontro. Allora mi sorridi e con candore mi rispondi che forse mi “sono fatta vecchia”. Replico ridendo che questo è troppo e le ricordo ogni volta le sue di primavere! Ma veramente? Allora mi sono fatta vecchia pure io!

Così va meglio.

Ti faccio vedere spesso qualche foto di Luna, solo un paio perché di più fai fatica a seguirle e non di rado commenti chiedendomi se riesce a farsi capire. Questa tua domanda mi commuove sempre perché era la tua preoccupazione di sempre nei suoi primi anni di vita e colgo lo stupore quando ti ricordo che ora ha ventisei anni.  Cerco di raccontarti solo cose belle e leggere ma ogni tanto mi punti gli occhi negli occhi e sei tu, che mi osservi nel profondo. 

Quante cose pesanti la vita ti ha messo sulle spalle … Lo dici quasi a bassavoce, come fosse un sospiro.

Non faccio neppure in tempo a trattenere le ultime battute che sei già altrove, indietro di trenta, venti, dieci, cinque anni fa.

Mi torna in mente la bellissima frase di film che ho visto di recente. “A volte è meglio non sapere le cose. Il bello della vita è proprio questo: ignorare che cosa accadrà domani; anzi, che cosa accadrà tra un istante. Del resto, come potremmo nutrire qualche speranza sul nostro futuro, se lo conoscessimo già?”.

Appunto.

Quando mi riprendo dal mio vagare, ti vengo a cercare in un altro tempo e così fino alla fine del nostro incontro, con il tuo saluto che ripete sempre le medesime parole con cui mi accogli. 

La mia Irene … la mia Irene.

E così ti saluto incrociando il tuo sorriso stanco mentre i tuoi occhi sono già di fronte ad un altro paesaggio a guardare chissà cosa. Ogni volta devo fare pace con il desiderio di esserci di più e con la mia vita che decide le sue battute spesso incurante di ciò che vorrei non perdere o trattenere il più possibile. 

Dopo ogni visita, ritorno pian piano verso casa accarezzando attimi di nostalgica malinconia in compagnia dei temporali e delle schiarire del cuore.

Quando torno da te figlia mia, il tempo è quello di un magnifico e terribile inesorabile presente.

Luna lo sai cosa ho raccontato alla nonna? Le guardiamo un po’ di foto delle tante cose belle fatte insieme? 

Nel tuo tempo dell’eterno presente i ricordi, tra profumo di violetta e Leocrema, mi riportano in equilibrio tra i miei affetti più cari e profondi e proprio lì, il battito trova attimi di quiete e di felicità.

Figlie maestre

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di Irene Auletta

Parlando di figli, è più facile raccontare cosa facciamo per loro e quelle che sono le nostre intenzioni educative piuttosto che restituire quello che possiamo imparare nella relazione e quanto ci possono influenzare nei nostri cambiamenti.

Se poi i figli sono persone con disabilità, rischiando di rimanere travolti dalle dimensioni della cura, il rischio è ancora maggiore.

In realtà, se penso alla mia esperienza, che da anni scrivo e condivido, anche senza necessariamente farci riferimento in modo esplicito, devo riconoscere che al netto di questa nostra storia madre e figlia, le occasioni in cui imparo e mi addentro in nuove riflessioni sono in deciso vantaggio.

Quello che sto scoprendo, o riscoprendo, in questi ultimi tempi è la potenza di quel tuo essere e vivere nel presente, che restituisce l’inedita possibilità di non essere travolte dagli scenari futuri, che siano domani o fra un anno.

In realtà, la tua totale impossibilità di prefigurarti cosa sta per accadere, è stata per anni, e per molti aspetti rimane ancora oggi, una delle difficoltà più grandi fonte di smarrimento e dolore. Al tempo stesso, la forza delle ambivalenze che sempre hanno attraversato la nostra storia, oggi mi sta mostrando nuovamente altre sfumature di questa tua condizione, creando nuovi giochi tra luci e ombre.

Stare con te mi tiene ancorata al momento, mi fa gustare attimi di allegria, mi nutre del nostro amore e della cura che tu hai imparato a restituirmi e non solo a prendere.

Ieri sera sei venuta a prendermi in cucina, come fai quando hai bisogno di qualcosa, e mi hai portata in sala chiedendomi di sedermi sul divano, vicino a te. Ho aspettato a farti domande perchè ho capito che non era la “solita” scena ma che in realtà volevi dirmi qualcos’altro. Pian piano ti sei avvicinata abbracciandomi con l’intento, assolutamente non fraintendibile, di rimanere lì, in quel momento, solo per stare insieme, in silenzio.

Hai ragione Luna, penso, sono giorni (o mesi?) che corro come una matta provando a tenere insieme una nuova complessità che ci ha travolto e rischio di perdermi di vista il tuo aiuto. Così mi abbandono nelle tue braccia, mentre tu lo sei nelle mie e la stanchezza viene pian piano alleggerita da una nuova forza.

Mi dimentico di tutte le cose da fare e quando ti saluto per la notte, mi accorgo che, per qualche ora, tutto il resto del mondo è rimasto fuori, sospeso nella sua realtà, mentre noi ci siamo regalate un tempo tutto nostro, per continuare ad affrontarlo.

Buongiorno Luna, ieri mi hai aiutata tantissimo, ti dico al risveglio mentre tu ti avvicini e, all’orecchio, mi racconti storie bellissime di quelle che solo senza parole si possono raccontare. 

Lezione numero chissaquale, appresa.

Chi di bellezza vive

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di Irene Auletta

La vita con te ci è andata giù pesante e, proprio in questi giorni, il fantasma della tua malattia autoimmune torna a bussare alle nostre porte. Ho cercato di tenerlo a bada, di non fargli invadere lo spazio, di non fargli togliere troppa luce ma, le voci dominanti e la realtà, ormai non fanno altro che renderlo sempre più forte e potente.

In questi casi spesso mi chiedo come stai vivendo questo cambiamento. Sei a casa da quasi tre settimane e le nostre possibilità si sono drasticamente ridotte. Tutto quello che adori, cinema, teatro, musei, pranzare all’Ikea, piscina, al momento è fuori dalla lista delle possibilità. E allora cosa ci rimane? 

Come sempre, mentre ti guardo, trovo in te le mie risposte più preziose. Ti sei appena risvegliata da un pisolino mattiniero, dopo uno dei tuoi risvegli notturni. Lo sai che rimarrai ancora a casa con mamma e babbo per diversi giorni? Che parole posso usare? Che faccio ora, parlo di virus, contagio, paure? 

Mai come in questi giorni mi risulta sempre più chiara la differente direzione che possono prendere gli sguardi di fronte a qualcosa di grande e spesso non facilmente comprensibile. Escludendo i complottisti dell’ultima ora sempre pronti a sventolare la loro bandiera, penso a quanti interpretano quello che sta accadendo come un messaggio quasi sovrannaturale, o della natura stessa, di fermarsi, rallentare, ritrovare nuove occasioni e possibilità.

Non posso che condividere alcune di queste riflessioni ma partendo da una differente prospettiva e cioè, più che interpretare l’intenzionalità di segni e segnali, a me piace ascoltarli per capire di quali possibilità nuove possono essere portatori.

Penso che in fondo è un po’ la stessa differenza tra chi pensa che un figlio disabile sia un dono e chi, con dolore, serietà, fatica, amore, instancabile ricerca di felicità, prova a inventarsi e vivere ogni giorno una genitorialità straordinaria, intesa proprio nel senso di fuori dall’ordinario.

E così, torno alle mie domande e stupita ti osservo mentre da giorni non chiedi di uscire, proprio tu che passi il tempo chiedendoci di farlo. Mentre ti racconto percepisco un senso condiviso che va oltre qualsiasi parola e ancora una volta, proprio tu, incapace di intravedere un futuro, mi stai insegnando ogni giorno a gustarci il presente o ancora meglio, proprio questo momento qui.

Ma senti, non è anche bello stare così tanto a casa con mamma e babbo? 

Facciamo le nostre facce innamorate …. e ridiamo, ridiamo.

RiflettendoCi

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di Irene Auletta

Il ricordo mi raggiunge forte mentre sto cucinando. Quel gesto, quel movimento, fatto proprio come lo sto facendo io adesso, riflesso in un passato che mi vede spettatrice ad osservare mia madre. Le emozioni  di ieri che ancora oggi si incontrano valorizzando quel filo rosso invisibile ma tenace che ci lega, madre e figlia.

Come posso non pensare, quasi simultaneamente, a che fine faranno i miei gesti? Spariranno con me, perché per te figlia mia sarà impossibile riviverli domani. In questi casi è facile rimanere soffocati dal peso di un’eredità dispersa. I gesti di mia nonna, di mia madre, i miei, sono davvero destinati a morire con me?

Per fortuna l’arte culinaria mi distrae lasciando spazi a recenti memorie di altre narrazioni. Per una serie di coincidenze sono mesi di ricche raccolte nella mia vita professionale. Persone che non vedevo da anni mi raccontano tracce del nostro incontro come importante bussola, mi ricordano maestra, evocano frasi, gesti e progetti che non hanno dimenticato. A volte si scoprono importanti tracce di eredità proprio laddove non si cercano e ancora una volta mi ricordano che spostare lo sguardo, svela sempre possibilità. 

E così oggi, dopo un’intensa e ricca mattina di formazione, io e te ci regaliamo uno di quei nostri momenti insieme che sanno di noi. Facciamo tutto con calma, lentamente, assaporando, insieme al cibo, ogni momento. Tu sei felice di essere libera e io cerco di starti vicina senza ostacolare la tua voglia di esplorare e di curiosare. Sei diventata più sicura nel muoverti anche  fra tante persone e io più attenta a rispettare i tuoi desideri di viverti piccole e importanti autonomie. Stranamente però oggi sei tu che ti allontani ma ogni tanto torni a prendere la mia mano, per poi allontanarti nuovamente.

Che fine faranno i miei gesti figlia mia? La tua mano mi stringe forte riportandomi alla realtà. Gli occhi ti brillano di gioia come sanno brillare solo gli occhi della purezza e in quel momento i miei gesti li ritrovo proprio lì, in quel riflesso.

Il nostro domani, è oggi.

Fortuna fortunella

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fortuna fortunelladi Irene Auletta

Sarà che stavo rientrando a casa dopo una serata al cinema o che mi stavo gustando una passeggiata accarezzata dall’aria frizzante della serata, ma la scena che si svolge davanti ai miei  occhi mi  risulta assai stonata.

Madre e figlia che evidentemente stanno discutendo animatamente di qualcosa. Non colgo i significati ma solo la scena finale della madre che si allontana scocciata mentre la figlia, non più che sedicenne, la segue con la frase “… è che io non ho più voglia di vivere!”.

La mia prima reazione qualcuno se la immagina. In che senso non hai più voglia di vivere, mi verrebbe da dirle, pensando alle fatiche che la mia, di figlia, fa dal giorno in cui è nata proprio per vivere?

In quel momento non ho voglia di pensarci troppo, mi stringo al mio compagno di viaggio e di vita e proseguo nella passeggiata verso casa. Stamane però, la scena mi ritorna in mente, davanti agli occhi e la riguardo come al rallentatore.

Ci stanno la stizza del momento, frasi buttate lì senza troppa importanza e altro ancora. Ma la frase di quella ragazza mi colpisce comunque e, tanto più, mi colpisce la reazione della madre che si allontana. Forse perchè dentro di me immagino che avrei reagito diversamente.

Col cavolo che ti lascio andare mentre mi dici una frase del genere, adesso rimani con me e ne parliamo, oppure non ne parliamo affatto ma rimani vicino a me e andiamo a casa insieme e non io a piedi e tu in autobus.

Penso che anche nel film appena visto, al centro della vicenda c’è un rapporto teso tra padre e figlia ma la differenza è che lì la figlia è ormai un’adulta e qui, nella scena reale, è ancora una ragazzina e questo, secondo me, fa proprio tanta differenza. Mi dispiace sempre vedere relazioni tra genitori e figli che si bruciano velocemente, perdendosi il gusto di rivestire i panni di adulto e non lasciando al figlio la possibilità di scaldarsi nei suoi abiti di bambino, ragazzo e poi di giovane adulto. Si perdono occasioni importanti, peccato.

Il gusto delle piccole cose che fanno la differenza a volte si smarrisce nelle attese deluse, nelle frenesie quotidiane, nello sguardo perso verso un luogo oscuro, quasi senza tempo. Mi sento fortunata con te, figlia mia, che mi costringi sempre a stare sul presente e su quanto accade tra noi, che mi permetti di non guardare troppo a quel futuro che mi mette paura, che mi confermi, incondizionatamente il tuo amore.

Le fortune preziose sono un po’ così e di certo hanno il tuo viso e la tua ostinata e tenace voglia di vivere.