Tra il bene e il male

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di Irene Auletta

Qualche giorno fa mentre leggevo un passaggio sul valore della fatica in uno scritto di Vito Mancuso, mi è venuto da pensare che ogni volta che faccio affermazioni analoghe, per me assai condivisibili, mi sento quasi “fuori posto”.

In realtà, ripensandoci, in queste circostanze credo di trovarmi di fronte ad una dimensione che caratterizza questi nostri tempi non facili e cioè uno scarto pazzesco e a volte anche difficilmente nominabile, tra affermazioni e comportamento. Mai come in questi ultimi anni le parole mi sembrano pian piano svuotarsi di senso e come una naufraga provo ad aggrapparmi a quei gesti, che ancora resistono, capaci di restituirmi una connessione piena di significati.

Le vicinanze, le dimostrazioni di affetto, la comprensione si trasformano sovente, quando va bene, in parole scritte sui nostri dispositivi. Se butta male aspettatevi in prevalenza cuoricini e varie emoticon. Ma si può dire, anche basta? Non rifuggo di fronte a tali forme di comunicazione ma se rimangono solo queste, grazie passo.

Per me esserci è fatto di carne, di mani che si stringono, di occhi che si incrociano, di gesti che affiancano, di attimi vicini e condivisi e di certo, non sono la sola e l’unica, a sostenere la grande e crescente solitudine di questi tempi iper connessi.

Forse per questo le vie di ricerca più accessibili, e al momento parecchio gettonate, sembrano essere quelle da percorrere dentro di se, cercando lì quella comprensione profonda che ci restituisce calore. Anche queste vie però, se uniche ed esclusive, mi convincono poco.

In questi casi, mentre mi arrovello nei miei pensieri, smarrita o fiduciosa a seconda degli stati dell’anima, una mano vicina e silenziosa si rende presente come a ricordarmi la via.

Siamo io e te, in un parco di luci a rappresentare, nella storia di Alice nel paese delle meraviglie, il percorso del Bianconiglio. Non abbiamo sentieri obbligati da percorrere e tu sembri felice e curiosa di muoverti e di scoprire ciò che ci circonda, senza le tensioni dei limiti che continuamente circondano la tua vita. E la mia con te. A proposito di fatica!

Le persone dietro i dispositivi sono ormai la scena più frequente che tutti noi siamo abituati, ahimè, ad osservare e così, a parte qualche foto di rito e di testimonianza di quello che stiamo facendo per potercelo raccontare dopo, lascio tutto nello zaino e ci gustiamo le scoperte luminose. Mi colpisce la quantità di adulti senza bambini a seguito, forse in cerca di magia o chissà ma, ancora di più mi colpiscono adulti in posa su giostre luminose o davanti a istallazioni magiche.

Mentre ti diverti da pochi minuti girando in una tazza luminosa, una coppia ci guarda con insistenza seccata. Al momento non capisco ma poi realizzo che la signora e forse anche il suo accompagnatore, stanno aspettando che tu scenda per farsi una foto anche loro seduti nella tazza girevole. Mi guardo intorno per vedere bambini e ragazzi a occupare con gioia e divertimento le altre istallazioni luminose.

Adesso devi scendere Luna, ci sono altre persone che vogliono provare questo gioco, ti dico mentre sostengo lo sguardo dei due lì vicino che non si sono mossi di un millimetro. Ma davvero? Per fortuna poco dopo, mentre devi affrontare un ostacolo per te difficile e che per me da sola non è affatto semplice, sento una donna vicina che si offre di darmi una mano. Secondo lei come posso aiutarla? Se la sosteniamo insieme per le braccia e la facciamo scendere? 

Un sorriso, un gesto, una vicinanza estranea. Un sollievo. E come dice Jovanotti nella sua celebre canzone Penso positivo, credo soltanto che tra il male e il bene è più forte il bene. Io penso positivo perché son vivo …

Di questo abbiamo bisogno e questo ci auguro per il nuovo anno che, come tuo padre ci ha ricordato è l’anno del Giubileo. Si, forse laici o religiosi, abbiamo davvero bisogno di questo. Di un’indulgenza plenaria, come lo definisce la Chiesa cattolica,  che al tempo stesso sia capace di accogliere e di aiutarci tutti a volgere lo sguardo verso il valore dei gesti e dei sentimenti, permettendoci il gusto del silenzio che può narrarci storie bellissime e incredibili.

A ognuno il suo sentiero e il suo Angelo, qualunque significato incarni. Il mio è qui al mio fianco che mi stringe forte la mano.

Magie in viaggio

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di Irene Auletta

La malattia neurologica è davvero bastarda e lo sanno bene le persone che ci vivono accanto, come me.

Sono stati giorni difficili che, fra tante altre complicazioni aggiunte, hanno contribuito a rendere davvero pesanti le ultime settimane. Tante crisi con molti tremori che spesso ti hanno dato il buongiorno non lasciandoti tregua fino alla sera, in barba alla terapia farmacologica.

In queste situazioni non cambia solo il tuo umore ma si sfumano quelle che sono le tue caratteristiche più belle e luminose, tanto che fatico a ritrovarti in quelle espressioni serie, lo sguardo molto sfuggente, gli occhi opachi. Dove sei finita figlia mia e in quale mondo parallelo stai navigando?  

Mi accorgo ogni volta di quanto il tuo sorriso sia la mia cura quotidiana e di come in questi giorni mi è mancata l’aria. Ogni volta i soliti tormentati quesiti. Sarà un problema di salute, emotivo o neurologico? Stavolta forse un gran mix che ha reso ancora più lungo il recupero. 

Senti Luna andiamo a lavare i capelli prima di cena e togliamoci il pensiero. Stasera l’operazione è serena e leggera e, mentre ti asciugo i capelli ridi e canti. Sentendo un pizzico forte al cuore mi accorgo di quanto mi sei mancata e di come forse solo i genitori che vivono le medesime storie possano capire cosa vuol dire stare dentro il movimento di queste onde. 

Vai e torni, vai e torni. 

Ritrovandoti mi accorgo di quanto ho trattenuto il fiato e di come questi giorni mi abbiamo chiesto tanta forza per continuare a sorridere anche per te e a sussurrarti appena possibile che poi passa. Resisti amore che passa. 

Stasera sei tornata e la nostra casa brilla come il mio cuore che batte insieme al tuo, di felicità. 

Anche stavolta il respiro e’ tornato profondo e si fa ricchezza e scorta per le prossime onde alte. 

Bentornata Luna! 

Il rischio della magia

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di Igor Salomone

Voglio raccontarvi due fatti.

Il primo è di qualche giorno fa. Ragazzi che muoiono per un incidente stradale. Quanti ce ne sono? e quanti ce ne saranno. Ma questa volta è diverso. 

Quando ho letto la notizia, il titolo per la verità, per prima cosa ho pensato a un’imprudenza escursionistica, visto che quel titolo parlava di ragazzi morti in montagna. Poi leggo che erano in Jeep e immediatamente il pensiero è corso agli stereotipi che tranquillizzano la nostra coscienza: eccoli i ragazzi che tornano ubriachi dalla discoteca. Però l’elenco era strano, dagli 11 ai 24 anni, curiosa combriccola per una serata in discoteca.
Leggo meglio: erano ragazzi di un piccolo comune del cuneese ed erano andati in montagna per la notte di San Lorenzo. Sì, erano saliti in alto in uno dei punti più bui e quindi favorevoli, così racconta il sindaco, per vedere le stelle cadenti. Durante il ritorno, chissà che serata meravigliosa avevano passato, la tragedia.  Beh, però, magari portarsi dietro dei ragazzini per un’escursione notturna in un posto forse sconosciuto… Neanche per sogno, i ragazzi si conoscevano tutti perchè  costituivano il cinquanta per cento dei giovani del loro paesino nel cuneese, e “sono strade che loro conoscevano molto bene, che facevano tutti i giorni per portare le mucche al pascolo”, dice sempre il sindaco.
Quindi non ci sono più scuse, quei ragazzi non sono morti per i mille motivi consolatori che siamo abituati a raccontarci quando muoiono dei ragazzi. Sono morti perchè i ragazzi muoiono, ma ce lo siamo dimenticati. 
Nel cuneese qualche notte fa quei ragazzi sono morti perchè erano andati alla ricerca di una magia senza alcol, senza droghe, fatta di cieli notturni e stelle cadenti. In tanti, maschi e femmine, di tutte le età.
 
Il secondo fatto. Stamattina, solito agriturismo estivo frequentato ormai da venti estati, stavo comprando il pane dall’ambulante che passa tutti i giorni. In coda con me c’era un amico conosciuto diversi anni fa, da sempre in vacanza con moglie e due figli. Quest’anno però li vedo arrivare in tre e chiedo sorridendo se si erano persi la figlia più grande. Ovviamente era proprio così, ha compiuto diciotto anni e quest’estate viaggia per altri lidi. Davanti al pane appena sfornato, riprendo l’argomento e gli dico: “dai coraggio, fra due o tre anni, sarete liberi di andare e di fare quello che volete in vacanza”. Lui annuisce sorridendo, ne aveva appena parlato con la moglie si erano detti la stessa identica cosa. Interviene d’istinto il fornaio che, mentre ci incarta il filone, se ne esce con un “beh, mica tanto”. Gli chiedo spiegazioni e lui risponde con un laconico e vagamente dialettale: “perchè la testa sempre lì va’”.

Certo, è il destino dei genitori: puoi avere settant’anni ed essere costantemente preoccupato per le sorti dei tuoi figli quarantenni. Lo sarai sino a quando la testa e il cuore te lo permetteranno, dopodiché toccherà a loro esserlo per il tuo di destino.
Ma sapete che c’è? La preoccupazione per un figlio assente non è assolutamente paragonabile alla preoccupazione per un figlio che non potrà mai esserlo. Io non so cosa darei per poter avere quella preoccupazione lì e tirarmela dietro sino all’Alzheimer e forse oltre. Se invece c’è qualcuno che farebbe a cambio con la mia, pur di non essere in ansia quando i propri figli sono lontani dagli occhi ma conficcati nel cuore, si faccia pure avanti. 

Che tragedia immane cinque ragazzi che muoiono per essere andati in jeep a vedere le stelle cadenti in alto, in montagna. Non ci sono parole. Quindi è meglio tacere, prima di dire idiozie sulle responsabilità, sulle strade insicure, sui soldi che non ci sono, sui genitori che li hanno lasciati andare, sopratutto quelli più piccoli, sulla sconsideratezza di viaggiare in troppi sullo stesso mezzo. Per evitare il rischio di morire, quei ragazzi dovevano evitare di vivere. Con tutto il dolore che comporta, prendiamone atto. 

Magamamma

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magammadi Irene Auletta

Una bambina che ci conosce da diversi anni osservando uno dei nostri giochi con le mani ci si avvicina chiedendo se sto facendo una delle mie magie e mi dice che si ricorda ancora bene di quella che ho fatto anche per lei tempo fa.

La guardo cercando di recuperare pezzi di memoria mentre lei mi incalza chiedendomi se le faccio ancora le magie.

Ora ricordo. Era caduta sbucciandosi le ginocchia proprio mentre io, poco distante, ti stavo massaggiando una gamba dolorante. Avvicinandosi mi aveva sentita bisbigliare qualcosa e la sua curiosità aveva subito preso forma nella domanda cosa stai facendo?

Sai, Luna ha un po’ di male e io sto cercando di fare una magia per farglielo passare!

Nel giro di qualche minuto erano vicine, entrambe sdraiate, mentre io improvvisavo un magico massaggio per provare a guarirle …. Riuscendoci!

A distanza di anni quel ricordo mi fa sorridere perché in effetti le magie con te non ho mai smesso di farle. Mentre ti massaggio le mani per calmare i tremori, parti del  corpo per qualche tensione, i piedi o le gambe per una delle tue ricorrenti cadute.

Magia, magia questo male porta via!! E tu ridi, riconoscendo quel nostro gioco iniziato quando eri ancora molto piccina.

Il senso di impotenza delle madri può assumere le forme più variegate e io sono qui, proprio oggi, a dirti di stare tranquilla. Le tue mani tremano tanto e io mi avvicino con un fare un po’ teatrale e la voce “da maga”.

Attenzione, attenzione e’ in arrivo una super magia! Ridi come una matta e i rituali magici già mostrano i loro primi effetti. Anche stavolta l’esperimento e’ riuscito!