di Irene Auletta
Ci sono esperienze uniche che, nella maggior parte dei casi, possono comprendere profondamente solo le persone che le attraversano.
Ti penso lontana e ti incrocio nelle immagini e nei racconti degli educatori. Una figlia come te manca nella carne prima ancora che nel cuore e forse questo e’ ciò che può rendere difficile quel passaggio di separazione che non può avvenire “naturalmente”. O forse sarebbe meglio dire, spontaneamente, da parte del diretto interessato che prende pian piano le distanze dalla sua famiglia per muoversi da solo nel mondo.
Il problema per me non è la lontananza e neppure la fiducia, ma la delega della cura. Quella cura che traduco sempre con le parole di don Milani “mi sta a cuore”.
Ho imparato, e imparo ogni giorno, che la cura può avere differenti sfumature e questo e’ ciò che la rende preziosa. Nessun operatore deve o può imitare i genitori ma non per questo la sua cura risulta automaticamente meno “di cuore”. Al contrario, se la stessa e’ guidata da sapere e competenza, può tradursi in quel valore aggiunto che nutre nuove esperienze, importanti e insostituibili.
Oggi al tuo ritorno, per motivi di lavoro, non potrò esserci ad aspettarti e già mi pizzica il cuore. Non ci sarà neppure babbo e, per la prima volta, dopo una settimana di vacanza, rientrerai a casa senza di noi e sarai tu ad aspettarci. In questi tempi sono tante le prove che stiamo affrontando, noi tre insieme, e anche questa sicuramente ci farà scoprire qualcosa di nuovo.
Sei grande ormai. Ma a chi lo sto dicendo? A te o a me? Forse neppure importa.
Aspettiamoci amore e continuiamo a tenerci forte nel cuore, dando alla cura la possibilità di sfoggiare tutti i suoi colori più brillanti.




