Ogni volta, prima di fare qualcosa mi misuro con le solite domande ormai familiari e quasi amiche. Posso fare questa cosa con te? Sarai in grado di affrontarla? Io, sarò in grado di gestire le tue reazioni se tutto non andasse “liscio? Ce la faccio? Sono dell’umore giusto? E tu, sei dell’umore giusto? Questioni forse difficili da immaginare dall’esterno, che però sono la nostra abitudine
Ieri, dopo averci pensato, ho valutato che si, ci potevi venire con me dal concessionario, visto che ti avevo già raccontato dell’idea di cambiare la macchina della mamma e che anche questo poteva essere un modo per coinvolgerti in questo piccolo cambiamento.
Mi accorgo che formulo questo pensiero proprio mentre al contempo mi rivedo, dopo anni, a dirti che non possiamo prendere una macchina qualsiasi ma dobbiamo andare verso la nostra. Eppure sono convinta che sai riconoscere la mia auto e quella di tuo padre ma è come se la cosa non influenzasse minimamente la tua tendenza a dirigerti quasi sempre verso un veicolo diverso. Il concetto di proprietà è lontano da noi anni luce.
Ci andiamo al concessionario e tu sei bravissima e molto paziente, fino alla fine. Uno dei venditori ci tiene ad accompagnarci alla nostra auto.
Vi apro volentieri la portiera, dice.
Non si preoccupi, ce la facciamo benissimo, rispondo chissà perchè istintivamente.
Non ho dubbi, aggiunge il tipo, la mia è solo una gentilezza.
Sarà per suo cordiale sorriso o per la comprensione autentica che leggo nel suo sguardo che mi ritrovo a pensare alla mia risposta. Rifletto su questo strano automatismo comunicativo e lo riconosco appartenente ad un certo tipo di femminile impegnato nella cura di qualcuno o nell’assunzione di compiti particolari. Ce la faccio benissimo, tutto bene, non ho bisogno di aiuto. A volte queste frasi sembrano esibite come un valore.
Io ho capito nel tempo che per me queste affermazioni funzionano quasi come pillole rassicuranti. Mi vedo intenta a bilanciare quei sentimenti quotidiani, da anni compagni di viaggio. La paura di non farcela, di non riuscire a sostenere la fatica. Il senso di smarrimento e la ricerca di libertà ancora possibili. Il confronto con le mie incapacità e con i miei limiti.
Mi richiami a te con la voce. Mi ero persa, vagando in questi miei pensieri.
Senti, lo sai che la macchina che abbiamo appena scelto mi ricorda un personaggio di un cartone animato? Mi ascolti attenta. Cosa ne dici possiamo chiamarla la macchina di Paperinik? Mi guardi seria con quei tuoi silenzi pieni di mondi che mi fanno sentire abitante di un’altra galassia. Oppure, visto che siamo due ragazze, potremmo chiamarla …. Paperinikka come ti pare?
Sorridi subito e accenni un consenso visibile solo alla nostra storia. Adesso, è davvero nostra.
Respiro mentre mi accorgo che siamo arrivate a casa senza incidenti di percorso. Anche per oggi ce l’abbiamo fatta.
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