di Irene Auletta
Da anni vado dicendo che mi sento una madre apolide. Proprio così, nel senso di senza cittadinanza e senza appartenenza. Fatico a trovare possibili condivisioni sia con chi vive esperienze tanto differenti dalla mia che con chi attraversa vicende esistenziali assai simili. Una parentesi piacevole e particolarmente positiva la sto scoprendo in questi ultimi anni grazie allo scambio e al confronto tramite il web dove, forse per il numero delle frequentazioni o per le caratteristiche del luogo, sempre più spesso incrocio echi di significati familiari e che riconosco con gradevole sorpresa.
Ho già scritto della questione e qualcuno mi ha anche un po’ presa in giro per il mio cipiglio. Ho osato affermare che mi irritano profondamente tutti quei genitori che, sicuramente per loro difficoltà, hanno sempre bisogno di normalizzare, banalizzando. Li riconosco subito in coloro che di fronte a qualsiasi considerazione o commento riferito ad un figlio disabile, hanno bisogno di affermare subito che anche loro stanno attraversando difficoltà simili, spesso facendo confronti che francamente a volte mi lasciano davvero basita. In genere i figli in questione hanno problemi a scuola, di peso e non raramente, faticano a stare dentro alle mitiche categorie dei percentili pediatrici di sviluppo, divenuti la nuova persecuzione di molti genitori. Naturalmente a disturbarmi non sono questi loro problemi, che comprendo e rispetto, ma l’esigenza di metterli a confronto con qualcosa che sovente è proprio molto lontano dalla loro comprensione.
Sono ancora più in difficoltà quando penso che chi ho di fronte dovrebbe più o meno parlare la mia stessa lingua e invece mi sento una marziana. So bene che ognuno ha bisogno di trovare le sue spiegazioni a quanto sta vivendo ma a me sono sempre state un po’ strette quella sorta di omelie che snocciolano le caratteristiche dei genitori di figli disabili definendoli come individui speciali, persone toccate da fortune o doni inspiegabili, illuminati sulle vie di qualche strano luogo. Questo davvero ho sempre fatto molta fatica a comprenderlo, pur nel totale rispetto del pensiero altrui. Figuriamoci a condividerlo.
Ultimamente invece, mi ha confortato leggere il commento di una mamma, una di quelle che mi fa sentire meno ufo e che, con un tatto invidiabile, invita i genitori con figli disabili a fare meno gli eroi e a chiedere aiuto, pensando anche a se stessi e alla propria vita. Ho apprezzato molto, provando grande rispetto, anche il coraggio di un’altra madre che si è concessa di scrivere in un post di come si ritrova a piangere per la stanchezza, a causa dei disturbi del sonno del figlio. La disperazione a volte spinge a farsi anche queste domande, ma che vita è la mia? Non c’è bisogno di risposte banali, di luoghi comuni e di assurde spiegazioni. Forse bisogna proprio imparare a non aver paura della rabbia, del dolore, dello sconforto, del senso profondo di ingiustizia e del grande smarrimento.
Molte di noi, madri con figli disabili o con gravi problemi di salute, hanno finalmente voglia di allontanarsi da quell’immagine di Madonna a cui sovente vengono associate, per riprendersi in mano la loro vita di donne, madri, amiche, professioniste, mogli.
Vi sembra troppo? Io, per fortuna, inizio a sentirmi in buona compagnia.
Mar 10, 2013 @ 11:44:29
Io non sono brava come te a scrivere che riesci a centrare sempre il problema che ci sentiamo Dentro ma ti assicuro che molti sentimenti che proviamo sono di molte di noi donne e ls penso come te quando dici che genitori con ragazzi disabili sono fortunati con doni inspiegabili ….io non anche amai pensato …adoro mia figlia ma vorrei avere anche una vita mia di donna madre di una figlia sposata …uscire con lei a fare shopping fermarmi ad un ristorante e mangiare con lei per parlare ridere e scherzare …
Con Martina questo non è possibile perché lei è molto gelosa di Barbara e me la tiene a distanza …avere una vita di coppia con mio marito ma diventa molto difficile comunque andiamo avanti …sono sempre lr solite parole ….speriamo che cambi qualche cosa chissà …..ciao un abbraccio amvje
Mar 10, 2013 @ 12:22:53
Grazie Silvana,
scrivo per me ma sapere che scrivo per “noi” mi da ancora più gusto e soddisfazione. Scrivere è anche un modo per sentirsi meno sole e ritrovarsi in storie di altre è un bel modo per condividere e portare insieme la fatica.
Alla prossima!
Mar 10, 2013 @ 14:27:12
Come e’ liberatorio leggere queste parole. Grazie. Grazie a te, Irene, e alle due mamme che citi, per essere state sincere. Sono stanca dei commenti sul nostro essere forti e coraggiose. Sull’essere speciali, noi e i nostri figli. Siamo forti perché non abbiamo alternative. Senza togliere valore al lavoro grande che facciamo e ai sacrifici di ogni giorno. Non ci sono eroi, proprio come dici. Proporci come tali rischia di renderci più sole e fragili.
Mar 10, 2013 @ 14:49:39
Vicino a te, con i miei pensieri, ti mando il mio saluto.
Mar 10, 2013 @ 15:16:19
Grazie. E io lo sono a te. Un caro saluto, Irene
Mar 10, 2013 @ 16:40:25
non penso di essere un eroe, anche se mi sento dire che sono una mamma coraggiosa e che si sa arrangiare e cerca di dare il meglio ai nostri bambini, penso solo che chiunque di noi vorrebbe una vita come le altre senza pensieri, senza dover sempre pensare a quello che sarà domani, ma dobbiamo guardare in faccia la realtà e alla fine i nostri bambini con i loro sguardi ci danno le soddisfazioni che meritiamo
Mar 10, 2013 @ 20:58:30
Sai Laura,
non credo che le altre donne non abbiano pensieri … solo lì hanno diversi.
Le persone sofferenti e che attraversano grandi difficoltà sono davvero tante e se solo fossimo più capaci di non nasconderlo, o di averne meno paura, ci saremmo di certo di maggior aiuto.
Sulle soddisfazioni, non ho alcun dubbio…. grandissime, quasi quanto le fatiche!
Mar 10, 2013 @ 23:23:55
mi viene in mente un passo del libro di Igor ” Con occhi di padre” cioè nel capitolo 5°, dove ci racconta delle persone incontrate nella vostra vita, e che vi hanno detto che…siete fortunati…ad avere una figlia come Luna. Quindi…noi genitori di figli disabili siamo “fortunati”. A volte anche a me viene da dire…”che culo”. Scusate…ma quando ci vuole ci vuole.
Mar 11, 2013 @ 07:36:57
Eh si Paola! quando ci vuole ci vuole … e io credo che chi ci dice “siete fortunati” ha veramente il cervello disconnesso oppure è una persona veramente tanto, ma tanto, confusa.
Poi, penso anche che noi si debba imparare a riderci sopra, come mi pare tu riesca a fare bene! Sia per sopravvivere che per vivere al meglio ogni nostra reale e possibile occasione di vita.
Il mare, i giochi in acqua, il piacere del sole …. se piacciono, guai a rinunciarci!!
Mar 11, 2013 @ 07:39:49
PS. la frase finale era anche un riferimento al tuo commento a “sogni infranti”
Mar 11, 2013 @ 08:27:44
grazie per la testimonianza dei tuoi pensieri che condivido appieno. Uscire da quella gabbia di santità imposta, significa affrontare una vita che spesso fa sentire stranieri ovunque, sia negli ambiti della disabilità che in quelli della cosiddetta normalità. E’ un processo lungo e personale quello che porta a maturare un proprio status, dal “pesce fuor d’ acqua” a individuo portatore di esperienza da scambiare alla pari con gli altri. Tutto va ricostruito, anche il linguaggio, la comunicazione con gli altri, un alfabeto emotivo che accompagni chi non sa a non vederci come coloro che vivono l’ invivibile ma persone che per necessità danno fondo ad ogni creatività per una possibile felicità, ribaltandone il senso comune. Rendere comuni i problemi non significa certo trascinare gli altri nelle proprie disperazioni ma offrire attraverso la propria esperienza delle pedagogie altre che possono illuminare la comprensione che accompagna la crescita di qualunque figlio.
Non c’ è nulla di eroico nello scavare con le unghie le tracce di una vita “possibile”, c’è tanta sofferenza da trasformare, sempre pronta ad assalirci quando la sentiamo nemica, ma pronta anche ad innescare forze dirompenti quando riusciamo a sentirla amica e consigliera.
Ecco, non siamo eroi, ma forse la nostra esperienza può far comprendere che ognuno può essere eroe della sua storia se è disposto a reinventare la sua vita in modo personale e soggettivo, fuori dai canoni e dagli stereotipi di bellezza, ricchezza e felicità standardizzati per convenienza sociale ma portatori di una disumanità uguale per tutti. Riappropriarsi di umanità non è dunque solo un dovere e un diritto ma un’ urgenza uguale per tutti.
Troppi bambini stanno volando giù dalle finestre. Forse i nostri possono aiutarli.
Mar 11, 2013 @ 10:33:58
Grazie anche a te, Raffaella, per l’intensità del tuo commento e per la ricchezza contenuta in ogni riga delle tue riflessioni.
Abbiamo tanto bisogno di condividere anche questi pensieri che, al di là di ogni retorica e dei tanti luoghi comuni, spostino il piano del discorso restituendo valore al senso delle esperienze e alla possibilità che diventino, per chi le vive e per chi le incontra, nuove occasioni di apprendimento nell’individuale ricerca di senso.
Mar 11, 2013 @ 11:42:58
sai Irene, penso tu l’abbia capito, sono una persona schietta e voglio dire che (almeno per me) in tutti questi anni, ho solo imparato, a convivere con questo fardello. Ho accettato mia figlia per quello che è, ma…nello stesso tempo, se mi trovassi su un lettino nello studio di un psicologo e dovessi rispondere alla domanda Forse dalla mia bocca uscirebbe un bel “NO”, so che se scavassi nel mio subconscio, quella sarebbe la risposta. A chi mi ha detto che sono fortunata ad avere Rossella (eh si, è capitato anche a me una persona con il cervello disconnesso) la mia risposta è stata…Rossella è stata fortunata ad avere una mamma come me, che nonostante la giovane età che avevo quando l’ho partorita, ho saputo rimboccarmi le maniche, dedicare tutto il tempo che potevo a lei per insegnarle tutte quelle cose che per il genitore di un bambino normodotato, sono come uno sputacchio, ma che per noi…sono e saranno una grossa, ma grossa fatica mentale e fisica. D’un botto abbiamo dovuto assumere il ruolo oltre che di mamma…di educatrici, assistenti materiali, animatrici, psicomotriciste, psicologhe, dottoresse,maestre di sostegno e…chi più ne ha più ne metta, e poi alla fine..ci sono alcune giornate che assumiamo anche il ruolo di papà, visto che se la svignano ogni tanto.
Mar 11, 2013 @ 13:02:37
la domanda che potrebbe farmi uno psicologo (che durante l’invio del commento è andata persa) era…in fondo, in fondo, hai accettato veramente questa situazione?
La risposta “NO”, forse non fa di me una buona mamma, anche perchè nei momenti di sconforto ne ho detto di cotte e di crude a riguardo di questo “regalo speciale” (come alcune persone lo definiscono) che è arrivato nella mia vita, sconquassandola tutta, mandando all’aria tutti i sogni e progetti fatti durante l’adolescenza, e…ne ho dette di cotte e di crude anche a quelle persone che attribuivano quell’aggettivo.
Mar 12, 2013 @ 07:07:57
Sai Paola, tocchi un tema caldo e sul quale si potrebbe discutere parecchio e cioè il tema dell’accettazione. Posso dire, abbastanza serenamente e come professionista (prima che come madre) che questa parola è stata talmente abusata che si sono smarriti i significati, fino alla sua più totale banalizzazione.
Se qualcuno me lo chiedesse, e non è mai accaduto (??!) risponderei con una domanda “cosa intende per accettazione?”. Da lì si può iniziare a costruire qualcosa di interessante …. ma solo dopo. Altrimenti si rischia di rimanere sommersi da una serie di luoghi comuni di cui è giunta l’ora di liberarsi perchè di fardelli ne abbiamo già parecchi … o no?
Mar 12, 2013 @ 15:02:53
ho trovato sui 2 vocabolari la parola “accettare”
sul 1° c’è…
1 accogliere prendere ricevere con piacere qlco
***accettare un regalo
***accettare un invito
2 consentire acconsentire a fare qlco
***accettare una sfida
3 riconoscere ammettere prendere atto
***accettare i propri limiti
4 tollerare sopportare serenamente
***non accettare di essere criticato
5 approvare considerare valido
***accettare un parere
***accettare un consiglio
sul 2° c’è…
1. Consentire ad accogliere, a ricevere quanto viene offerto o proposto: a. volentieri, di buon grado, con riluttanza; non sempre è facile a. ciò che il destino ci manda; sopportare o sottomettervisi con rassegnazione;
2. Impegnarsi a fare, a eseguire: a. un incarico, una commissione.
Queste definizioni, si confanno perfettamente a quello che intendevo dire cioè…ho accolto mia figlia con piacere; ho acconsentito a fare tutto quello che dovevo per il suo bene; ho preso atto di cosa andavo incontro;ho tollerato e sopportato tutti i problemi che mi si presentavano, però…se andassi in psicoanalisi, il mio subconscio tirerebbe fuori tutto il contrario, forse perchè a volte in momenti poco tollerabili, siamo indirizzate involontariamente a pensare gli altri, quelli che non si trovano nella nostra medesima situazione, la cui vita si svolge con grattacapi meno seri.
Mar 15, 2013 @ 21:31:28
Forse Paola,
ci sta proprio tutto con il suo contrario, perchè l’ambivalenza svela parti misteriose ma inevitabili dell’umano.
Sono convinta che ammettere sentimenti considerati “poco nobili” non sia facile per timore del giudizio altrui ma, prima ancora, per timore del nostro stesso giudizio.
Proprio in questi giorni si parla tanto di “viaggiare con portando una croce” …
Desiderarla a volte meno pesante, spero non sia peccato!
Lug 02, 2017 @ 10:10:57
L’ha ribloggato su Cronache Pedagogiche.