Amare domande

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pregiudizio1di Raffaella Dellera

Non mi piacciono i riferimenti ai “mostri” e una certa tendenza, imperante in alcuni momenti storici, a cercare il “mostro” di turno, un po’ capro espiatorio, un po’ rappresentante della somma delle brutture e negatività che non si vorrebbero vedere e quindi degno di essere “condannato” da un coro da tragedia greca.

Qualche giorno fa però mi sono trovata a pensare a lungo al concetto di “mostruosità” e a quelle che mi trovo ad incontrare ed incrociare nella mia vita professionale.

Faccio l’assistente sociale, che è un lavoro già difficile da spiegare a chi a volte mi chiede di “farlo in poche parole”, e in più circondato da un’aura di giudizio e pregiudizio per cui tutti pensano di saper bene di cosa un assistente sociale si occupa.

Giorni fa per l’appunto mi trovavo in una panetteria, dove c’era un televisore acceso, sintonizzato su un programma cosiddetto di “intrattenimento” mattutino.

Mentre aspetto il mio turno non posso fare a meno di ascoltare le voci che escono dall’apparecchio. L’argomento è “bambini molestati dalla baby sitter; la madre rischia di perdere la custodia”… Vedo facce e ascolto voci di persone (si chiamano “opinionisti” mi pare) che dicono la loro sull’accaduto, ma a questo punto fortunatamente la commessa richiama la mia attenzione perché tocca a me e non ho l’occasione di scoprire se qualcuno si esprimerà contro uno dei vari protagonisti di questa vicenda.

Esco dal negozio con un senso profondo di amarezza che non so bene spiegare, né collocare, ma so che riguarda i bambini, la madre e anche la baby sitter, nonché il modo in cui certe vicende scelgono di essere trattate. Trattengo i pensieri e le sensazioni fino a quando arrivo al lavoro, dove altre storie piene di dolore catturano ogni mia attenzione…

Cambio “scenario” e nel pomeriggio mi trovo davanti una madre in lacrime e un ragazzino caparbio che ha scelto una posizione difficile. E il mio ruolo in questa scena è quello di chi deve far rispettare una decisione di un Tribunale.

Provo a farlo cercando di ferire il meno possibile chi  mi sta davanti, consapevole che è un compito arduo e che, come sempre più spesso mi capita di pensare, è complicato tenere insieme tutto: la verità della Giustizia, il dolore dei figli e quello dei genitori, che a volte diventa azione ed esternazione che genera dolore a sua volta…

Non posso fare a meno di farmi tante e tante domande, ripensare ad altre madri e lacrime, padri e rabbie, figli e silenzi.

La responsabilità che mi sento di avere a volte pesa tantissimo e ripenso ad Atlante, con il mondo sulle spalle. Non riesco a non chiedermi se chi con apparente leggerezza e facilità di giudizio parla di certe vicende pensa mai a tutti gli altri aspetti e risvolti, quelli che ogni giorno vedo, attraverso e tocco.

Non ho risposte, ma ho imparato che a volte la ricchezza sta nel non smettere mai di farsi domande.

Misure di vita

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misure di vitadi Irene Auletta

Mi ritrovo spesso a riflettere intorno al rapporto con le fatiche e alle diverse percezioni individuali di cui ciascuno di noi è portatore. Ci sono persone che si lamentano quasi per nulla e altre che sopportano pesi incredibili mantenendo la capacità di non smarrire il sorriso. E’ vero anche però che, nelle storie, si incontrano strani intrecci e che non esistono linee di demarcazione così nette nelle varie modalità di reazione e a volte, le differenti possibilità, convivono nella medesima persona a seconda dei momenti, della peculiare fatica e dello specifico stato d’animo.

Per anni ho nutrito un significativo fastidio nei confronti di coloro che definivo lamentosi rischiando di rimanere io stessa intrappolata nella rete del mio pregiudizio, senza cogliere il valore di ciò che realmente mi suscitava una reazione negativa. In realtà oggi sono arrivata a comprendere che, al di là delle particolari caratteristiche di ciascuno, quello che mi fa pensare e mi dispiace è il rischio di mettere tutto sullo stesso piano, di non riuscire più a discernere i livelli delle preoccupazioni, di trasformare tutto in un dramma e il dramma stesso in una sorta di farsa.

Mi piace nominare quanto accade e provare ad aiutare anche gli altri a farlo, immaginando di attribuire agli eventi un loro posto ipotetico, attraverso parametri che non siano rigidi ma di senso. Chiedersi qual’è il reale peso di quello che stiamo affrontando dandosi il tempo e lo spazio anche per valutare gli scarti tra il percepito e il reale è un’importante occasione di crescita, di maggiore conoscenza e consapevolezza. Farlo per sè e poterlo insegnare ad altri, un’occasione imperdibile.

Ogni volta che mia figlia ha un malore o una semplice influenza di stagione, come sta accadendo proprio in questi giorni, mi misuro con l’ansia e la preoccupazione legata alla nostra storia e alla sua delicata condizione di salute. So bene che a volte le mie reazioni emotive sono eccessive ma so anche che testa e cuore, in alcune occasioni, sembrano proprio non capirsi e allora ci vuole tanta, ma tanta, pazienza.

La ricerca della misura inizia sia da piccoli e forse nella vita è un crescendo di nuovi equilibri possibili. Non smettere di farlo è quasi un’impresa, che però credo valga la pena per non smarrire la via dei significati legati alla nostra esistenza.

Stamane, in preda alla febbre alta, rimanevi immobile, dolorante e quasi timorosa di rompere uno stato di quiete faticosamente raggiunto. Quando ti ho convinta a muoverti per le necessarie pratiche di cura ti ho visto trasformata, in giro per casa a curiosare, come di tua abitudine. Hai trovato un modo tutto tuo per sopportare e affrontare le fatiche e la vita, in questo, ti ha resa maestra.

Penso ai lamentosi, alle occasioni perse di imparare dalla fatica, alle nostre ultime notti insonni che hanno fatto assumere a questi giorni di pausa tinte quasi un po’ oniriche. Penso alla tua grinta, al tuo modo di reagire, al valore che dai alle cose pur senza saperle nominare.

Ora ho ben in mente cosa augurare e augurarmi per il nuovo anno.

Giacca rosa eppur bisogna andar

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di Irene Auletta

Ci sono giorni in cui anche un capo di abbigliamento “leggero” può essere di aiuto per smorzare le fatiche o le preoccupazioni. Ormai oggi, solo gli schiocchi si fanno ancora ingannare da ciò che le persone indossano per decidere chi sono o qual’è il loro reale valore. Eppure, alcune ideologie resistono anche alle intelligenze più raffinate e sovente si raccolgono impressioni o giudizi sulle persone in base a come sono abbigliate o, nel caso delle donne, truccate o ingioiellate.

Certo, si potrebbe obiettare che anche l’abito è un veicolo per comunicare qualcosa di sè ma, in questo caso sarebbe anche opportuno prendere in considerazione il fatto che la singola scelta potrebbe, intenzionalmente, voler fuorviare. O no?

Quante volte si indossa un abito colorato, allegro o magari anche un po’ frivolo, proprio per contrastare uno stato d’animo amaro? In merito a ciò, molte donne ne sanno certamente qualcosa e questa, credo, sia una sostanziale differenza che le separa dal genere maschile.

Una recente moda ha introdotto l’espressione, physique du rôle come a dire che quella determinata immagine o comportamento si addicono, bene o male, a quel certo ruolo che si riveste in una qualche circostanza. Ho il sospetto che questo nuovo e sofisticato modo di dire, possa celare in molti casi il semplice, e decisamente più provinciale, pregiudizio o stereotipo sulle persone. Chissà.

Come va oggi? Di che umore sei?

Vediamo se indovini.

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