Stamane pensavo a Malala Yousafzai che ha vinto il premio Nobel per la pace 2014 insieme a Kailash Satyarthi, “per il loro impegno contro la sopraffazione nei confronti dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini a un’istruzione”. A diciassette anni, Malala è la più giovane premio Nobel della storia.
Ci pensavo perchè sono giorni che rifletto sul senso di responsabilità e sulla difficoltà ad assumere e sostenere un pensiero collettivo anche a costo, o a rischio, di andare contro il proprio interesse individuale. Mi chiedo come possiamo tutti noi, aiutarci ad uscire dalle trappole di tanti slogan quotidiani che ormai, ahimè, sembrano vuoti, senza alcuna anima o significato. Quasi senza accorgercene la cultura del proprio interesse personale, dei propri affari è diventata dilagante e si è infilata nei pertugi delle vite, anche di quelle che forse hanno tentato una resistenza fedele.
Devo preoccuparmi del mio bene… Devo imparare a curare il mio interesse … Non vedo perchè occuparmi degli altri quando ognuno è preso solo da se stesso. Quante di queste frasi o similari ci sono diventate ormai familiari? E chi di noi non si è trovato nella condizione di volerle rivendicare anche un po’ per sè?
Il problema, sempre e ancora una volta, mi sa che ha a che fare con la misura. Non è quindi dire o pensare al proprio interesse o a quello dei propri cari ma, farlo diventare l’unico sguardo possibile e quello pervasivo in qualunque situazione e nei contesti più diversi. Ogni volta che sono in una scena professionale e sento la frase “la priorità è la mia famiglia”, non posso fare a meno di chiedermi cosa centra. Ogni vita attraversa tante scene e credo che ognuna abbia la propria peculiare priorità. Il problema forse è non confonderle e trovare modi possibili per farle dialogare.
Il fatto è che, proprio il lavoro, costringe ad un continuo confronto tra la sfera privata e quella pubblica in cui siamo immersi quotidianamente.
Una ragazza di diciassette anni capace di guardare al mondo, agli interessi altrui, oggi mi commuove.
Mi commuove perchè ho una figlia della stessa età che non potrà mai pensare il futuro e forse anche perchè mi trovo di fronte a tante scene quotidiane che mi sembrano risuonare all’unisono con la difficoltà degli adulti ad assumersi una responsabilità collettiva.
Mi commuove e mi fa paura. Come possiamo insegnare che lo sguardo al futuro è un respiro imprescindibile per qualcosa che va oltre i ristretti confini della nostra persona? Forse per deformazione professionale mi ritrovo spesso a pensare che anche in questo caso, sui piatti della bilancia potrebbe esserci la cura. Da una parte dei propri affari e dall’altra?
Sei troppo idealista, mi hanno detto di recente. Ci ripenso ancora stamane e mi dico che Malala sta insegnando al mondo che le idee, sono forti, preziose, importanti, soprattutto quando si è capaci di guardare lontano.
Direbbe Tata Matilda “lezione numero uno, appresa!”.
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