In una supervisione di un gruppo di educatori raccolgo domande e pensieri.
Mi trovo in grande difficoltà quando durante il mio intervento a domicilio assisto a scene in cui la madre maltratta suo figlio. Le aggressioni sono sia fisiche che verbali e io, oltre che a tentare di smorzare la tensione, non so che fare.
Mi è capito di osservare lividi sul corpo di un ragazzino che seguo da un paio di anni e di sapere che l’aggressore era stato il fratello più grande. La madre è a conoscenza del fatto ma tende a giustificare il comportamento del figlio maggiore, dicendo che il piccolo è davvero una peste.
In una delle famiglie con cui lavoro c’è un padre violento, soprattutto con i suoi due figli, ma la madre sembra sottovalutare il problema e per me è difficile affrontarlo direttamente.
Mentre ascolto le parole mi raggiungono forti anche le emozioni che le accompagnano di fatica, disagio, difficoltà e, accogliendo i racconti, cerco di tenere tutto insieme per non perdere il valore delle differenti comunicazioni. In occasioni come queste è molto facile fare scivoloni sia nella direzione del giudizio verso quei genitori, che verso una sorta di tecnicismo che si aggrappa a procedure e doveri, perdendo di vista la storia degli individui e le valutazioni possibili.
E’ troppo facile, e sicuramente non sufficiente, dire che alcuni comportamenti non possono essere ammessi, che non è questo il modo di comportarsi, che di fronte ad alcune azioni possono scattare denunce. Chi si occupa di interventi socioeducativi nell’ambito della tutela minorile, sa bene che argomenti come questi sono all’ordine del giorno e che richiedono attenzione e serietà da parte degli operatori che li trattano.
E chi si occupa di educazione quale contributo può offrire, a partire dalla peculiarità del proprio sguardo professionale? Domanda difficile che spesso trova risposte nel tentativo di molti educatori di impossessarsi di linguaggi altrui, psicologici o sociali, per dare un senso a ciò in cui si ritrovano coinvolti. Come se in alcune occasioni il sapere pedagogico si mostrasse troppo debole o sopraffatto dalle analisi altrui per dare spazio alla propria.
Penso a cosa ho fatto io quando mi sono ritrovata in situazioni analoghe come educatore e a cosa faccio, oggi, quando come pedagogista raccolgo storie simili dagli educatori o direttamente dai genitori. Chiedermi cosa possono insegnare alcune esperienze è il mio orizzonte sicuro e, orientadomi verso di esso, di solito mi avvio in una ricerca che cerca di essere attenta e rispettosa delle difficoltà, delle fragilità e dei limiti che incontro. Pensiamo troppo spesso che proteggere i propri figli sia un’azione istintiva e normale, che la si deve saper fare perchè così è scritto. Ma dove?
A volte è necessario chiedersi cosa le persone che abbiamo di fronte sono ancora in grado di imparare e, se ci pare di individuare qualche fessura di possibilità, pensare anche insieme a loro gli interventi necessari, coinvolgendoli nella loro stessa vita e facendogli intravedere percorsi di crescita e di cambiamento.
Mi ritrovo a pensare che se riesco a far sentire protetti gli educatori mentre ne parlano, posso introdurre il tema della protezione anche verso i genitori, affinchè la possano imparare e rivolgere ai propri figli.
Una mia grande maestra, a proposito dello sguardo rivolto ai bambini, mi ha insegnato l’importanza di distinguere l’azione cattiva dal bambino che la compie. Anche i genitori che compiono cattive azioni, che rimangono tali, possono essere guardati con lo stesso sguardo. Forse proprio lì, da quella prospettiva, è possibile ascoltare cosa ci può suggerire l’educazione.
Feb 04, 2013 @ 12:02:20
Quanti echi hai fatto risuonare Irene!
Quanti volti, quante voci, quanti pensieri ho riattraversato….
E quanto davvero é importante che si rafforzi la distinzione tra il giudizio di un’azione e la sospensione dello stesso sulle persone!
Perché solo questo permette di accedere alla dimensione fondamentale dell’empatia e l’aprirsi di possibilità inattese…
Feb 04, 2013 @ 12:08:10
Devo riconoscere che su questo aspetto, io e te siamo una bella coppia anche “in azione”!
Feb 04, 2013 @ 15:37:34
garzie davvero Irene, per il tuo “tocco”…ma anche per quella grinta pedagogica…poso chiamarla così? Che non ti fa arretrare facilmente e che, spesso, insegna.
Feb 04, 2013 @ 16:35:42
grinta pedagogica? mi piace un sacco e lo considero proprio un bel complimento. grazie a te!
Feb 04, 2013 @ 16:48:54
🙂 …Monica
Feb 04, 2013 @ 20:31:22
una riflessione molto interessante, che muove in me diversi aspetti.
il primo è relativo allo sguardo non giudicante sulla persona ma sull’azione: un’azione quasi scontata (almeno per me) quando si parla dei minori, ma più difficile da tenere sempre in considerazione verso gli adulti. per tanti anni mi sono trovato nella situazione di dover “proteggere” i minori dalle azioni dei genitori. oggi mi trovo di fronte alla situazione opposta, almeno in alcuni contesti.
il secondo è relativo alla necessità di proteggere gli operatori: per anni ho lavorato in contesti (strutturati) in cui l’educatore MAI E POI MAI veniva protetto dall’organizzazione. veniva giudicato, sbattuto in prima linea, snobbato, sfruttato… ma mai protetto. ora sono in una posizione gerarchica differente e sento il bisogno – io per primo – di proteggere i miei educatori. ma io? nel mio ruolo di educatore (che ancora ricorpo) da chi vengo protetto? ne ho scritto sul mio blog qualche tempo fa (labirintipedagogici.blogspot.com “l’educatore solitario: nuove prassi di supervisione”) ragionando sulle nuove prasi di supervisione.
Feb 04, 2013 @ 20:40:55
Hai ragione Alessandro e leggendo il tuo commento mi viene in mente che il titolo del post avrebbe potuto essere anche “Protezione a catena”.
La questione in effetti è complessa e di certo, negli anni, anch’io ho trovato che proprio i luoghi della formazione, della supervisione e della consulenza pedagogica, possono configurarsi come sostegno e nutrimento professionale.
Vale per gli educatori ma anche per i coordinatori, con cui mi è capitato di lavorare molto e che ancora oggi, quando possibile, sono tra i miei interlocutori privilegiati.
Il momento è critico e al pari della crisi economica rischia di sommergerci una crisi culturale di ricerca di senso, di formazione e sostegno delle professionalità educative.
Scriviamo, riflettiamo insieme e creiamo nuove occasioni per il confronto e lo scambio. Al momento questa è la possibilità più attuale e realizzabile che vedo sulla nostra scena professionale.
Feb 06, 2013 @ 21:34:03
Mi vergogno un pò a dirlo, ma io ho più memoria per le citazioni riguardanti
la musica o il teatro piuttosto che per i luminari della mia professione di
Operatore Sociale, quindi per aggiungere a ciò che tu Irene hai scritto mi torna alla mente una canzone di Fabrizio Dè Andrè dal titolo ” La città vecchia” che dice : ” Se t’ inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli in quell’ aria spessa carica di sale, gonfia di odori. Li ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano, quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.Se tu penserai e se giudicherai da buon borghese li condannerai a cinquemila anni più le spese.
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.