di Irene Auletta

Quando si lavora con le persone, soprattutto con quelle che magari stanno attraversando seri momenti di difficoltà, si può avere sovente la sensazione di essere attori di una semina senza fine. Le situazioni si ripetono, gli interventi sembrano fallire o rimbalzare su comportamenti difficili da comprendere e, spesso, gli operatori condividono un senso di sconforto unitamente all’impressione di essere coinvolti in un complesso rompicapo senza fine.

Poi ci sono giornate come questa.

Nello sguardo di una giovane donna intravedo una leggera emozione che durante l’incontro prende una forma sempre più chiara e mi fa intravedere un piccolo canale luminoso che sembra essere comparso, per un momento, tra gli occhi e il cuore.

Una signora, che con una collega incontro da anni, ci saluta con una stretta di mano che sento per la prima volta, accompagnata da quei sorrisi autentici che ogni tanto sfuggono, a contrasto di quelle stereotipie facciali che mortificano le emozioni.

Allora, arriva il momento di fare un grande respiro per gustarsi qualcosa che non bisogna sprecare perchè quella è la fonte che giustifica tante fatiche e che, ogni volta, mi fa riscegliere il lavoro che ho scelto tanti anni fa.

Chissà se queste due donne nel tempo staranno meglio, se troveranno un nuovo equilibrio e se, anche solo in piccolissima parte, ci sarà anche il mio e il nostro contributo?

Molte volte queste domande sono destinate a rimanere sospese e impossibili da afferrare, perchè le storie vanno quasi sempre oltre e raramente è possibile incontrarle di nuovo per intravedere gli effetti  del nostro lavoro, delle nostre azioni e dei nostri pensieri.

Le storie sono così e le vite sono davvero fatte di incontri. Questo mi basta e oggi mi sento in pari.

Chiudo la porta di quel luogo dove ho lavorato per anni, penso all’ultima battuta di una simpatica collega, mi avvio verso la mia  auto e mi accorgo che sorrido.