Virtù in saldo

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Sollevare il figlio

di Igor Salomone

Mio padre mi ha insegnato che fare la cosa giusta non significa fare qualcosa di un po’ meno sbagliato degli altri.
Mio padre mi ha anche insegnato che essere migliore non vuol dire essere “il” migliore, e neppure meglio del peggio che mi sta attorno.
La virtù non può essere comparativa, e neppure superlativa, e nemmeno una somma algebrica con un segno “+” come risultato.
Ho passato l’intera infanzia, in effetti, a veder smantellate ogni sorta di giustificazioni.
Per questo con me non funzionano.
Sono diventato un esperto di fama mondiale in scuse, a forza di cercarne di sempre più sofisticate. Le conosco tutte. Allo stesso tempo, però, so cosa sono. So che giustificare un proprio comportamento a partire da quello altrui è il contrario di ogni forma di virtù. Ci si casca, certo, e spesso. Non si può mica essere sempre virtuosi. E la virtù non è uno stato, è una continua ricerca.
Per questo chi si proclama virtuoso senza se e senza ma, mi insospettisce.
Alla fine il più grande insegnamento di mio padre è che una scusa è una scusa. Può avere delle ragioni, ognuno ne cerca, ma nasconde sempre una debolezza e qualche lezione che deve ancora essere imparata.
La cosa più importante è riconoscerlo.
La cosa più grave è negarlo, trasformandola in un valore che gli altri devono rispettare.

Vogliamo le vostre scuse

16 commenti

scusedi Irene Auletta

Qualche giorno fa ho raccolto l’ennesimo racconto di una madre snobbata di fronte alle sue dichiarazioni legate a problemi di salute del figlio. In questi anni di professione, di storie analoghe ne ho incontrate davvero tante e qualcuna ho anche provato a trattenerla in qualche scritto. Tuttavia, l’elenco è molto corposo e ogni tanto riemergono ricordi.

Penso a quella madre che per anni ha incontrato una psicoterapeuta che metteva in discussione il suo amore per il figlio, prima di ricevere la diagnosi di una sindrome genetica che, peraltro, si allontanava parecchio dal sospetto della terapeuta. Quante volte avete sentito parlare dell’autismo e del fatto che fosse una patologia associata ad un cattivo attaccamento affettivo della figura materna? Immagino lo sguardo di tutte quelle donne travolte da questa interpretazione di fronte alla nuova versione scientifica, di qualche anno fa, che le esonerava dalla colpa e dalla responsabilità. Mi sembra di poter sentire il loro nodo allo stomaco e il gusto amaro in bocca.

Scusate se ci siamo sbagliati e per anni vi abbiamo trattate come le responsabili dei problemi dei vostri figli. Oggi la ricerca scientifica ha dimostrato altro. Arrivederci e grazie.

Anche se sono passati parecchi anni non ho dimenticato, nè mai scritto, le parole dell’illustre neonatologo che, non riconoscendo il problema di mia figlia, aveva diagnosticato per me una bella sindrome psicologica che affligge le madri attempate. In più, come pedagogista, ero pure esperta del settore …. la specie peggiore per le figlie! Non ho mai neppure scritto dell’incontro con il suo, altrettanto stimato collega neuropsichiatra infantile, che definì mia figlia una bambina zen e che non perse occasione per sottolineare che forse, una donna dinamica come me, poteva faticare ad accettare. Da cosa avrà capito, in un solo incontro, che sono una donna dinamica? Doveva essere parecchio esperto per confondere la disperazione con l’ipercinesi.

Giuro che è tutto vero e che potrei fare in qualsiasi momento nomi e cognomi.

Negli anni la mia storia si è incrociata con quelle di tante altre madri e, anche se ogni volta il mio dolore è meno acuto, mi raggiunge sempre un’eco travolgente, insieme ad un profondo senso di rabbia e di ingiustizia.

Ma questi signori e signore che hanno sparato per anni sentenze, e che ancora oggi non esitano a mettere bollini sulle relazioni tra genitori e figli, si fermeranno ogni tanto a pensare a quello che hanno causato e al male che hanno fatto le loro parole?

Glielo auguro, ma in cambio aspetto ancora qualcosa, per tutte noi.

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