Quel che da gusto

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di Irene Auletta

Qualche giorno fa, pranzo all’Ikea, una delle cose che ti piace molto fare e che spesso scegliamo anche perché “a tua misura”. Ti puoi muovere con una certa libertà e facilità in spazi non costretti dove puoi curiosare senza eccessivi freni, con un po’ di autonomia … e c’è il menù per celiaci!

Essendo un giorno infrasettimanale non mi aspettavo così tanta gente e questo mi mette subito in allerta, sia rispetto ad una maggiore attenzione e protezione, che al dovermi preparare al peso degli sguardi che, a volte, così moltiplicato, diventa davvero difficile da sostenere e gestire affinché non interferisca sulla serenità del nostro momento. Ma, sono pronta e allenata e quindi decido di trasformare il fastidio eventuale in uno stato di osservazione curiosa che mi permetta sempre di più di capire cosa scatena la diversità.

Oggi mi colpisce in particolare la reazione di bambini e ragazzini che, in qualche occasione, mi spinge quasi a bloccarli con gli occhi, come a dire “guarda che così e’ davvero troppo!”. Gli adulti invece mi strappano qualche sorriso soprattutto quelli che guardano, ma fanno di tutto per non farlo vedere, esibendo strane roteazioni degli occhi e della testa.  A me gli strani sembrano loro!

Gli indifferenti e gli occhi gentili, che sono bellissimi da incrociare,  mi danno un po’ tregua anche per affrontare qualcuno che risulta sovente eccessivamente inclusivo. Una signora inizia a sorriderti in modo parecchio ostentato mentre siamo in coda al self service. Quando si avvicina con un “buongiorno bella signorina” mi scatta l’allarme e mi avvicino subito intercettando la sua mano che si sta avvicinando per toccarti. La signora mi pare capire il mio gesto, peraltro credo non fraintendibile, ma non rinuncia al “non mi vuoi proprio salutare?”.

Il tutto avviene in silenzio e potete immaginare le risposte nella mia testa mentre con un braccio sulla spalla ti tengo vicina, sorridendoti a modo nostro.

Quasi vicine alla cassa mi raggiunge un “si vede che le piace proprio tanto questo posto e che non vuole essere disturbata dalle mie chiacchiere”. Appunto.

Gli anni mi hanno insegnato a non essere sgarbata e a cercare, in queste circostanze, una maggiore serenità soprattutto perché alcune reazioni facevano più male a me che ai possibili destinatari. Mi rimane però un senso di invadenza e di intrusione che un po’ sento come limitazione alla mia libertà e alla possibilità di gustarmi momenti di leggerezza senza dover necessariamente attingere con forza alla mia volontà. 

Ecco, quando si parla delle fatiche dei care giver forse dovremmo imparare a raccontare e a condividere anche queste, probabilmente invisibili, per chi non lo e’.

Per il pranzo scegliamo il tuo posto preferito vicino a una grande vetrata che quasi fa sentire sospesi nel vuoto. Quello che ci circonda si dissolve lasciando spazio a noi due. E finalmente è possibile. 

Madre e figlia che pranzano insieme all’Ikea!

L’arte di reinventarsi

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di Irene Auletta

Ci sono momenti della vita dove molti sperimentano cosa vuol dire non riuscire a riposare e a ricaricarsi. In genere questi coincidono con la presenza di bambini piccoli, malattie transitorie o la presenza di genitori anziani. In comune, ciascuna nella sua peculiarità, hanno la consapevolezza di essere un passaggio.

Quello che invece sanno bene i genitori con figli disabili, prima piccoli, poi ragazzi e infine adulti, è che questo stato diventa una condizione di vita, esattamente come lo è la disabilità. Per questo sostengo da anni che investire energie nella speranza di un repentino cambiamento, vuol dire canalizzare verso una direzione sterile le proprie forze.

Al contrario occorre capire come riuscire a trasformare quanto si vive, rendendolo una carica possibile. Facile a dirsi, soprattutto per chi osserva dall’esterno, affacciato alla sua comoda finestra, ma possibile.

Mi raccomando riposati! In questi giorni voglio proprio rilassarmi! Ora stacco la spina e non ci sono più per nessuno. Quante volte, proprio in prossimità di questi giorni di pausa natalizia, abbiamo sentito frasi analoghe?

In effetti per anni ci ho sperato anch’io e, guardando nella direzione sbagliata, ogni volta, alla fine del periodo, mi ritrovavo sempre più stanca. Poi, pian piano, ho imparato a inserirmi nelle tue pause di riposo, a godere di quella lentezza che a volte fa apparire le giornate slowmotion, a stare in quello che per noi è possibile, a lasciar andare le rinunce. 

Io e tuo padre abbiamo imparato ad alternarci nelle fatiche e le nostre danze familiari molto spesso hanno trovato un loro ritmo che risulta anche piacevole. Le nostre ricariche sono potenziate e così ieri sera, da soli a cena  fuori casa e al cinema, ci siamo nutriti di leggerezza e di quel tanto che molto spesso appare scontato proprio perchè si è smarrito il gusto della libertà. 

Non sembrate stare insieme da tanti anni, ci hanno detto di recente, aggiungendo che non appariamo neppure particolarmente stanchi. Forse in situazioni come la nostra bisogna affinare l’arte di inventarsi nuove vie possibili, reinventando periodicamente la propria storia con gli ingredienti del presente. Anche inciampando a volte in qualche piccolo o grande inferno.

Guardando nella nostra direzione impariamo ogni giorno a intravedere pertugi di felicità, momenti di leggerezza, spazi ampi di amore sconfinato. Questo ci auguro davvero in questi giorni e per quelli a venire. Non è forse questo il gusto riposante delle pause?