di Irene Auletta
Ed eccomi, per la seconda volta in vent’anni, a parlare pubblicamente di te e di me. Del nostro primo incontro e di quella storia che insieme stiamo costruendo, continuando a narrarla.
Il contesto si rivela da subito caldo e accogliente e anche la platea mista di genitori ed operatori, risulta attenta e disponibile all’ascolto e a quel rimando di dialoghi ed emozioni che pian piano danno vita all’incontro.
Il moderatore entra immediatamente in sintonia con il clima e conduce il dialogo a due, quello tra me e un padre invitato come me a testimoniare della sua esperienza, allargando alla platea pensieri e parole, quasi a formare quei cerchi concentrici provocati da un sasso lanciato nello stagno.
Raccontiamo delle nostre esperienze, differenti ma capaci di riconoscersi in tanti passaggi di vita, la nostra e quella dei nostri figli e mi stupisco della serenità che mi accompagna mentre osservo negli sguardi dei presenti l’effetto dei nostri racconti.
Non penso che mi troverò tanto spesso ad attraversare contesti analoghi ma già mentre lo scrivo penso che da anni, silenziosamente, ti porto come me, parlando di te e di me e intrecciando l’esperienza della vita con quella professionale. Solo non lo faccio in modo così esplicito come oggi, mentre il pubblico mi guarda, come mamma di Luna.
Al termine dell’incontro diversi genitori mi avvicinano raccontandomi della loro storia e dei loro figli, quasi a volermeli presentare con un brevissimo racconto o con poche parole.
Mentre l’ascoltavo mi sono ritrovata in tanti passaggi ma per l’emozione non sono riuscita ad intervenire, mi dice una mamma. Ho ripensato anch’io alla nascita di mia figlia, venticinque anni fa, ma mi fa ancora troppo male parlarne.
Penso a quando, ormai circa dieci anni fa, ho iniziato a scrivere di questa mia avventura e di come nel tempo questa possibilità è diventata quasi terapeutica per me e per diverse persone che assiduamente leggono i miei scritti. Un’altra mamma, lì in veste di operatrice, mi racconta di come pur avendo una figlia quasi tua coetanea ma senza alcun problema, si è ritrovata nelle mie riflessioni che le hanno anche permesso di pensare a quanto sovente finisce con l’essere più attenta alle cose che la figlia fa a discapito di quello che è.
Si figlia mia, di te ho raccontato proprio questo. Di quanto è stato crudele vederti descritta tante volte per tutto ciò che non sai fare e di quanto la tua bellezza, ostinatamente, ha saputo farsi largo per mostrare ogni giorno ciò che sei.
La strada non è stata mai facile e temo che continuerà ad essere tale ma mentre penso a te oggi, scopro tanta leggerezza possibile, di quella che piace a noi due che sa guardare molto seriamente all’allegria per incontrare la vita.
Ma cosa hai pensato quando ti hanno comunicato la diagnosi?
Penso, e lo racconto, al titolo di quella bellissima poesia di Danilo Dolci, Ciascuno cresce solo se sognato. E così penso al mio sogno infranto di allora e a quello che ancora oggi nutro e mi nutre, prendendosi cura di noi. E allora lo dico, mentre un sorriso si allarga nel cuore.
Oggi sogno Luna, tutti i giorni.
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