“Le parole a volte si ingolfano, altre si consumano. Altre volte ancora arrivano in ritardo e non servono più a dire quel che volevano.” (Mi sa che fuori è primavera di Concita De Gregorio)
Ieri ho ascoltato, quasi in religioso silenzio, i vari interventi che si sono alternati nella seduta straordinaria di Montecitorio, nel rispetto delle testimonianze portate da ciascuna donna.
Mentre mi è parso quasi naturale che le voci plurali comprendessero interventi politici o di specialiste impegnate a vario titolo intorno al tema, Contro la violenza sulle donne, ho trovato interessante la scelta di dare la parola anche ad altre donne, esse stesse vittime di violenza. In particolare, ancora una volta, mi hanno colpito i dati snocciolati con attenzione puntuale e le forme crudeli con cui la violenza e’ stata nominata e identificata. Violenza domestica, vendette “amorose”, stalking, omicidi.
Al femminicidio ha fatto eco il figlicidio, anche qui dati inquietanti, come modo di fare violenza alla donna uccidendo il figlio. Quindi uomini che accecati dalla violenza, dimenticano il loro essere padri o comunque, lo fanno passare quasi in secondo piano, uccidendo il proprio figlio per punire la donna. E come madre, rimango in silenzio, immaginando il dolore.
Per me, di fronte ad alcune enormità, è sempre molto difficile esprimere di getto valutazioni e sicuramente, con il passare degli anni, mi sento molto distante da chi sembra avere subito le idee chiare su tutto e un giudizio in punta di lingua pronto per essere espresso.
Dal mio osservatorio di donna e di professionista impegnata in relazioni di aiuto, so bene che le sfumature dell’umano ci costringono ad avvicinarci a pensieri e azioni a volte impossibili anche solo a dirsi. Trovo tuttavia che sia un dato di civiltà e maturità smetterla di utilizzare come lente di comprensione degli eventi complessi e gravi “la caccia al colpevole” e spostare lo sguardo verso la ricerca di responsabilità. Individuali, sociali e culturali.
Oltre ogni ragione ci sono persone, mondi e storie. Provare ad accoglierle e ascoltarle, in tutte le loro sfumature, senza l’urgenza di aggiungere la nostra personale sentenza, può essere un modo per fare cultura, provando a capire e soprattutto, ad assumersi ciascuno la propria responsabilità. Come donne, uomini, professionisti e, soprattutto, adulti.
La violenza sui più deboli e’ ahimè storia assai antica dell’umanità, ma mai come oggi gli adulti sono in scacco rispetto alla loro assunzione di responsabilità. Potremmo partire proprio da qui, per leggere con lenti multifocali la complessità delle storie e degli eventi?
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