di Irene Auletta
Tutti i giorni, più o meno, lo stesso rituale. Varchiamo la soglia del nostro portone e invece di dirigerti verso l’ascensore tenti il passaggio furtivo verso uno scaffale pieno di volantini e giornaletti pubblicitari. La carta in mano, il suo rumore, i suoi colori sono un po’ un gioco e un po’ una stereotipia e quindi non sempre è facile capire il punto del limite, da ridefinire ogni volta.
Dai Luna lascia stare queste carte, te lo dico ogni giorno e poi guarda quelle che hai buttato a terra e che ora dovremo raccogliere! La nuova sostituta della custode che mostra già di averti ben identificata, mi conferma che passare inosservati è praticamente impossibile. Non si preoccupi signora lasci stare che ci penso io, dice con estrema (e per me eccessiva) gentilezza.
Potrei lasciar correre, come faccio tante volte, ma oggi no. Mia figlia ha fatto questo pasticcio e lei lo sistema, ribatto cercando di non apparire ostile alla sua cordialità e al suo sincero dispiacere per l’ingrato compito a cui sto sottoponendo la “povera” fanciulla.
Mi torna in mente quanto accaduto qualche giorno fa con un tuo compagno del Centro. Di fronte al suo tentativo di avvicinarsi per abbracciarmi ho allungato la mano dicendogli che lui è un ragazzo grande e io una signora e quindi ci si saluta così. Ho aggiunto che lo dico sempre anche a te quando ti accade di non rispettare quel confine fisico importante per definire gli incontri e le relazioni.
L’educatore mi sorride a distanza con un cenno di approvazione che parla di tutte le volte che probabilmente si sente dire non si preoccupi, non mi da fastidio! Ecco, appunto. A parte che questa frase anche risentita a distanza è davvero bruttina, forse bisogna proprio imparare a dire che non è questo il problema. Il messaggio non piacevole da ricevere, ogni santa volta, è la negazione della possibilità di imparare e, soprattutto, il diritto di farlo.
Io, cara figlia, continuo ad insistere per questo, per sostenere il tuo diritto di imparare seppur con i tuoi tempi a volte anche per me indecifrabili. Raccogliamo le carte sparse sul pavimento e alla fine facciamo il patto che una sola puoi tenerla.
In ascensore ti faccio una delle nostre espressioni buffe per scherzare su quanto accaduto poco prima e tu, guardandomi dritto negli occhi, mi restituisci il giornale che hai in mano.
Ecco.
Lug 12, 2015 @ 11:46:35
Ci regali punti di vista nuovi.
Quel ruolo educativo che ci dev’essere sempre, oltre ai “non importa” o ai “non mi dà fastidio”.
Educare tutti ed essere educati come tutti è un diritto che spesso si perde, anche se le intenzioni sono buone e non si vuole porre in difficoltà il prossimo
Ma il compito ci richiama al dovere, dovere che alla fine si tramuta in libertà d’essere in relazione con gli altri, rispettando se stessi e chi circonda attraverso la condivisione delle medesime regole.
Lug 12, 2015 @ 14:08:42
Ti ci vedo, e intravedo anche Luna e credo proprio che sia importante ciò che dici a lei e a noi!!
spingi a pensare ai gesti che hanno acquistato culturalmente il senso dell’arresa…chissà poi perché si sono anche consolidati nel tempo.
…qualche punto di rottura fa bene e apre nuovi sguardi
Grazie 😊
Lug 12, 2015 @ 14:46:30
Imparare come diritto è diverso che imparare per essere educata o meglio è diverso che avere come fine la buona educazione anche se atteggiamenti che agevolano l’integrazione sociale sono importanti. Io credo che sostenere il diritto d’imparare riguarda ogni allievo sia esso nei panni dello scolaro, dell’educando o del figlio, così come riguarda ogni adulto genitore, insegnante, educatore ecc… Il diritto d’imparare non ha lo scoop di normalizzare né di punire
Lug 12, 2015 @ 15:03:30
( non avevo finito e mi è sfuggito l’invio riprendo) il diritto di imparare per come lo racconti Irene e per come ho avuto modo di interpretarlo nella mia esperienza di insegnante e di madre riguarda di più il senso dell’investimento sul provare ad avere successo, sul riuscire, sul farcela con grande attenzione ai limiti insormontabili. Sul poter comunicare che si può. Trovo che provare a spingersi sempre un po’ più in là significa attribuire fiducia ed intelligenza sia a chi impara che a chi insegna, stabilendo che l’orizzonte a cui ci riferiamo sta in un percorso di ricerca che coinvolge entrambi ed evitando di anteporre un limite di impossibilità preposta. Credo che il diritto di imparare abbia tanto a che fare con l’esplorazione, e con l’elaborazione in un processo meticcio e “caldo” in cui a volte è difficile riconoscere chi insegna e chi impara. Credo che il diritto di imparare abbia a che fare con la meraviglia della restituzione imprevista ed inattesa anche se di carta di giornale.