Mi capita spesso, quando incontro i genitori per il mio lavoro, di entrare in uno spazio di ascolto che sembra lasciare fuori il mondo, facendone entrare solo fili di luce che portano riflessi in quello che accade proprio lì.
Ma come fai a fare questo lavoro e a lasciare fuori la tua esperienza di madre?
Me l’ha chiesto qualche giorno fa un’amica che non incrociavo di persona da tempo ma che mi segue molto attraverso le pagine di questo blog.
Se fossi al tuo posto, con quello che ti ritrovi ad affrontare ogni giorno, forse sarei sempre incazzata e di certo sarei poco disponibile a capire i piccoli problemi con i figli che, gran parte di noi, ingigantiscono.
Capisco che in realtà il quesito può sorgere spontaneo e mi sono ritrovata a fare un salto nel passato. Quando mia figlia era piccola mi trovavo, molto più di oggi, ad attraversare il mondo dei servizi per l’infanzia, incrociando operatori, bambini e genitori che, in ogni momento, segnavano lo scarto impietoso con l’esperienza che in parallelo stavo vivendo come madre.
Ricordo molto bene le spalle curve, appesantite dalla mia nuova esperienza e il respiro profondo che facevo ogni giorno, prima di aprire la porta che mi introduceva nel mio mondo professionale. Eppure, anche allora, l’ascolto dell’altro mi aiutava a sospendere quello rivolto alla mia vita e nel tempo, ho imparato che prendendomi cura dell’altro, lenivo pian piano anche le mie ferite. Non ho mai pensato che l’altro genitore mi portasse banalità e, al contrario, spesso provavo e provo dispiacere, quando intravedo una concentrazione su singoli aspetti definiti problematici che rischiano di lasciare sullo sfondo la bellezza di quel figlio e di quell’incontro.
Certamente negli anni tutti i genitori, e anche gli operatori, che ho incontrato mi hanno permesso di trovare connessioni, incroci e nuovi dialoghi tra esperienze educative diverse e con esse, anche con la mia.
Razionalmente so tutto e capisco bene quello che mi dicono le insegnanti e le terapiste ma ho bisogno di continuare a parlarne perchè io non l’accetto che mia figlia abbia queste difficoltà.
Inutile dirle che sono piccole difficoltà, che stanno pian piano risolvendosi, che tutto probabilmente andrà bene. Inutile almeno per me, per come intendo il mio lavoro, senza ricette. Forse stupisco questa madre quando le dico che fa bene a dirlo, a ripeterlo e che l’accettazione richiede tempo e grande disponibilità a mettersi in cammino.
Non mi viene mai da confrontare quello che ascolto con la mia realtà, con la mia storia di genitore o con mia figlia e, semplicemente, non mi viene perchè non mi appartiene. La mia storia di genitore mi insegna ogni giorno moltissimo e credo che i genitori che incontro beneficino, senza saperlo, di una ricchezza che va oltre la mia competenza tecnica e finisce negli occhi che stasera mi guardano felici mentre, dopo mesi di inappetenza e nausee, mi rubano il cibo dal piatto.
Questa è la mia felicità e domani, ne porterò con me spiragli di luce.
Mag 21, 2013 @ 10:44:16
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