l'era dell'iperboledi Irene Auletta

“Il bambino ha un’accentuata balbuzie e, avendo escluso origini patologiche, i genitori hanno raccontato le loro strategie per incoraggiare il figlio. In realtà quello più coinvolto sembra essere il padre che di fronte alle difficoltà lo sostiene dicendogli ripetutamente che lui è il massimo, che è il numero uno”.

Inizia così il racconto di un’insegnante di scuola per l’infanzia in un recente incontro di formazione che prova a mettere a tema alcune difficoltà nel rapporto con le famiglie e in particolare, con quelle famiglie che si trovano ad affrontare qualche disagio, piccolo o grande, che riguarda il loro bambino e il suo sviluppo.

Cambiano le agenzie educative, i territori di riferimento, gli operatori, ma ci sono episodi che ricorrono con una precisione impressionante sia nelle narrazioni degli operatori, che nelle strategie ricorrenti attivate dai genitori. Quando metto l’accento su questioni più specificamente pedagogiche guidando fuori da pantani psicologici che a volte intrappolano le insegnanti in interrogativi infiniti, ritrovo sguardi perplessi. In particolare, a suscitare dubbi e stupore, sembra essere il mio riferimento alla nostra epoca e all’invasione dei superlativi assoluti in gran parte degli scambi educativi che riguardano bambini al di sotto dei dieci anni. O perlomeno, fino a quest’età mi pare che l’eccesso riguardi un’enfasi su caratteri positivi, dopo ho l’impressione che si assista ad un’inversione di rotta e allo snodarsi di una storia assai differente.

Un’insegnante tra le esperte prende la parola. Ma se la mia generazione è cresciuta con pochissime gratificazioni, una spinta continua verso il senso dovere, un’avarizia di gratificazioni, non è giusto invece riconoscere e premiare per sostenere ed incoraggiare?

Interessante quesito che spalanca porte semantiche. Da quando per incoraggiare l’unica via sembra quella di fare indigestione di “complimenti”? Gli eccessi di ciò che è considerato buono, possono anche far molto male e, paradossalmente, produrre proprio l’effetto contrario di quanto invece sta nelle intenzioni di chi li attraversa. Soprattutto, mi pare che sia importante ritornare alla sostanza, all’essenza e riconoscere senza timori quell’apparenza che getta ombre e fumo nello sguardo di molti adulti, genitori e insegnanti.

Se ad esempio, un bambino esprime insicurezza , bisogno continuo di rassicurazione e incoraggiamento, forse non lo aiutiamo solo rinforzandolo con i vari bravissimo, sei un genio, sei il numero uno. Anzi, personalmente ho parecchie perplessità.

Un po’ nostalgicamente, io sono legata anche ad altre vie e mi piace suggerire differenti percorsi paralleli. Mi piace pensare l’adulto che, da persona grande, consola invitando il bambino a non preoccuparsi e garantendo con forza il suo aiuto. L’adulto che sospende il torrente di parole per far parlare un silenzio affettuoso che stringe fra le braccia e impara a recuperare il valore di tutto ciò che sembra sempre una mancanza.

Educare può essere davvero una meravigliosa avventura ma, per viverla, mi pare giunto il momento di fare parecchia pulizia.