Oggi voglio parlare della Capoeira. È stato un bel vedere, ieri pomeriggio dopo la dimostrazione mia e di Valerio in via Sanzio a Milano: una ventina di ragazzi e ragazze, soprattutto ragazze, lanciati in una Roda fantastica, a due a due a turno dentro il cerchio che ritmava e cantava accompagnato dal birimbao. C’è poco da dire, un’esplosione di vitalità, allegria, energie, suoni, voci, percussioni, che ha attratto un pubblico densissimo e partecipe, intrigato da quello che succedeva e lontano dal porre qualsivoglia domanda: quello che vedeva e sopratutto provava era più che sufficiente.
Ma voglio parlare sopratutto dell’eros. Quei corpi roteanti, altalenanti, guizzanti gli uni di fronte agli altri, esprimevano una sensualità esplosiva. I sorrisi, il sudore, i respiri, gli sguardi, tutto concorreva a creare un rituale dionisiaco straordinario. Tanto piú potente perchè offerto non al chiuso di una palestra o nel segreto di una bosco all’imbrunire, ma in piena città, in pieno giorno, nel bel mezzo di una festa di quartiere. Corpi, danza ed eros, questo alla fine ho visto nella Capoeira. Ma non un’arte marziale.
Certo, Capoeira è rappresentazione della lotta ma, appunto, ne è solo una fantastica rappresentazione. Ricorda e rinvia le danze tribali che miscelano da sempre erotismo e combattimento. Ma non sono sesso e neppure scontro: sono una rappresentazione dell’uno e dell’altro.
La cosa che colpisce di piú di una Roda, almeno chi come me ha anni di arte marziale sulle spalle, è l’assenza totale di contatto. Tutti quei corpi che si espongono, si sottraggono, si avvicinano, si respingono, si ingannano, si sfiorano, si allontanano e non si toccano MAI. Puó esserci lotta senza che la mia pelle entri in contatto con quella dell’altro? Che i nostri sudori, umori, odori si mischino? Che lotta è se non sento una forza, una fragilità, un movimento, un peso, un’altezza, un volume, una struttura muscolare e articolare, altre da me? Direi anche di più, visto che è una componente fortissima nella Capoeira, che danza è una danza che si tiene lontana da tutto questo?
Capoeira non è un’arte marziale, nè del resto una forma di danza in senso proprio. Peró lascia immaginare di unire danza e arte di combattimento, offrendo una pratica coinvolgente e di gruppo che evita sistematicamente di misurarsi con il corpo dell’altro. Per questo, probabilmente, i corsi di Capoeira fioriscono ovunque e sono frequentati in maggioranza da donne giovani.
Set 17, 2012 @ 10:22:05
Ciao Igor. Avendo praticato la Capoeira in gioventù ( direi un paio di millenni orsono, come mi ricordano le mie articolazioni…!) ho trovato particolarmente interessante la tua nota; ti propongo una mia riflessione sul tema.
Prima di tutto un concetto che hai sottolineato bene e che è alla base della Capoeira: è una danza-pratica-rituale DI GRUPPO. Senza gruppo non c’è Capoeira. L’azione della coppia protagonista nasce dal gruppo, ne è sostenuta, si conclude nel gruppo. C’è una sorta di investimento sulla coppia che gioca: mai come nel momento in cui tocca a te entrare nell’area delimitata dal gruppo senti questo sguardo collettivo, che veicola aspettative, timori, eccitazione. E qui la riflessione va alla funzione catartica del teatro, la messa in scena affidata a quelli che in quel momento sono i campioni del cerchio, che dovranno fare del proprio meglio per rispondere alla massiccia speranza del gruppo (non sono psicologismi: il sudore, la tensione dei corpi, la tonicità dei gesti, l’intenzione e la fierezza dello sguardo sono elementi dannatamente materici!) Giustamente cogli e sottolinei la sensualità della Capoeira.
Passo a parlare del gioco in sé, inteso come interazione tra i due che si “contendono la piazza”… C’è un contatto iniziale tra i due che giocano: ci si tocca le mani, entrando, gli occhi negli occhi, quasi un saluto-augurio-sfida. Parli di assenza totale di contatto: se è vero che non è la manata o il calcio (o l’agile parata, o lo scarto veloce) a fa vincere o perdere l’uno o l’altro, è vero che c’è un fortissimo, necessario contatto visivo ed una intensissimo scambio di sfioramenti, sfregamenti, micro-sgambetti…
Ci sono sempre un vincitore e un vinto nell’incontro -scontro che si materializza in cerchio, questo le sentono e lo vedono tutti: il vincitore è quello che avrà saputo mantenere alta la tensione gioiosa e spettacolare del gioco con più fantasia, cambi di ritmo, provocazioni di senso… io vedo un parallelo con l’arte pedagogica (si tratta di un pensiero in azione) e con l’arte dell’attore drammatico: molto è dovuto ad una ben allenata istintualità, una mente-corpo pronta e lucida, una generosità interessata ad uno scambio fecondo, un narcisismo che sa trasformarsi in relazione con gli altri. Mi vengono in mente anche, osservando soprattutto quando un maschio gioca con una femmina, i rituali del Tango…)
Qui c’è l’agonismo che secondo me avvicina, anche se non accomuna, la capoeira alle arti marziali.
Grazie, a presto Graziano
Set 17, 2012 @ 11:16:14
“Puó esserci lotta senza che la mia pelle entri in contatto con quella dell’altro?”
E non è lotta anche quella delle parole, dove sei in continuo contatto con l’umore dell’altro, con la propria l’altrui veemenza, con l’odore dell’aggressione o della difesa; non ci si annusa a vicenda anche con le parole e con lo sguardo, non si saggia l’altrui stazza, l’altrui peso e competenza, non ci si misura in termini di potere e di confronto anche durante un incontro / scontro / diverbio / confronto fatto di verbo?
La lotta.. è lotta. L’immagine che mi viene in mente è quella di due corpi avvinghiati vestiti di kimono, ma anche di due sguardi contesi sopra una scacchiera, o davanti a dei fornelli brandendo il mattarello, e via dicendo.
Niente a che vedere con l’eros in questi casi, certo.
Ma umori e odori, pesi e misure, volumi e strutture le ritrovo ovunque, compreso nel diverbio tra un Suv e una bicicletta (per parlare di strutture che minacciano..)
Set 17, 2012 @ 14:13:54
Ciao a tutti.
Penso che ci sia un punto nodo da chiarire, ed è quello di calzare un’attività all’interno del contesto, e conseguentemente delle aspettative che ne vengono così ad essere generate.
Mi spiego meglio: parlare di Arte Marziale, e includere una qualsivoglia disciplina all’interno di questa categoria di pratica, significa affacciarsi agli elementi fondativi e agli scopi della stessa. Per l’appunto un insieme di tecniche e principi che nascono e si sviluppano in modi differenti in tre specifici ambienti, ovvero quello famigliare / sociale, quello miltare ed infine quello monastico. In tutti e tre, era imprescindibile il combattimento corpo a corpo quale fine stesso nonché parte integrante della pratica. In quello famigliare per poter fronteggiare prepotenze ed angherie prodotte dal bandito di turno piuttosto che dalle guardie dell’imperatore o dalle fiere, in quello militare per essere preparati allo scontro in battaglia, in quello monastico quale applicazione diretta degli elementi presi a spunto dalla vita (animali o elementi della natura). Non si pensi tanto ai monaci in un assetto meditativo per raggiungere l’illuminazione: nei monasteri in cui era presente l’arte marziale, la pratica del combattimento (combattimento quale scontro fisico con l’altro e non solo come lotta su vari piani di rappresentazione che possono andare per l’appunto dagli scacchi, al sostenere gli sguardi, a chi resiste di più in apnea fino ai campionati di sillabazione veloce delle parole) era centrale per l’ottenimento della crescita spirituale ai pari della recitazione dei sutra. E chi ha dovuto fronteggiare i monaci del Siu Lam durante le battaglie per distruggerne l’ordine ed il monastero, ne sa qualcosa. Praticare un’arte, con infiniti possibili richiami, simbologie, elementi evocativi del combattimento / scontro / battaglia senza provarne mai la parte “reale”, significa non praticare arte marziale. Non è un male e non è un giudizio quello che sto cercando di formulare; significa unicamente produrre un insieme di tecniche e movenze che mantengono unicamente un valore simbolico di un’arte che è binomio inscindibile di simbologia – pratica dello scontro fisico. Ma per l’appunto, stiamo facendo ALTRO: danza, teatro, fitness o terapia del movimento. L’opera di Pechino è piena di teatranti che mettono in scena splendide rappresentazioni che affondano tutta la preparazione, la coreografia ed il contesto nell’arte marziale cinese e negli scontri che epicamente ne hanno tratto origine, senza che alcuno degli attori sia di fatto capace di tirare un solo pugno reale in strada.
Gli elementi aggiunti da Graziano, interessantissimi e che per debita onestà non conoscevo, avvalorano però la tesi che Capoeira sia una rappresentazione di altro. E non quell’altra cosa in sé. E mi piace moltissimo, al pari di qualsivoglia azione richieda della abilità così specifiche ed elevate che si ottengono unicamente con un esercizio impegnativo e protratto nel tempo. Per l’appunto, Arte. Di contro l’esempio del tango è forse il meno calzante in assoluto in quanto è una delle attività in cui maggiormente devi entrare in contatto pieno ed integrato col corpo dell’altro per produrne gli effetti.
Quanto alla lotta coi mattarelli, per chi si dovesse trovare a fronteggiare tale evenienza (non così lontana dalla realtà odierna al di fuori delle strisce di Andy Capp…), auguro nel modo più assoluto di aver seguito un corso in cui almeno una volta sia sia andati all’impatto con questo potenziale strumento di offesa! Perché all’interno di un contesto di lotta dalle mille possibili sfaccettature, sarebbe terribile dover sostenere unicamente con lo sguardo una quarantina di centimetri di legno calati con gentile violenza!
Un caro saluto a tutti
Valerio
Set 17, 2012 @ 16:06:54
Condivido anche io la definizione che ha dato Igor riguardo alla Capoeira: “Capoeira non è un’arte marziale, nè del resto una forma di danza in senso proprio. Peró lascia immaginare di unire danza e arte di combattimento, offrendo una pratica coinvolgente e di gruppo che evita sistematicamente di misurarsi con il corpo dell’altro. ”
Collegandomi però ad altri post che ha fatto Igor sull’argomento dell’evoluzione delle arti marziali e del loro ruolo nella società odierna, non posso non chiedermi se tra 20 anni esisterà ancora un Hung Gar con il contatto fisico e il combattimento, uno karate Shotokan con il kumite etc. oppure evolveranno tutti, per sopravvivere, ad un qualcosa che li avvicineranno sempre più alla fit boxe e alle millemila cavolate che fanno sudare nell’illusione di tirare calci e pugni.
La Capoeira è sopravvissuta nella clandestinità e dai corsi che ho visto non risente molto della crisi che vedo invece per le altre arti marziali.
Qualche settimana fa un paio di miei carissimi amici mi hanno chiesto e avevo qualche idea per fare dell’attività fisica insieme: ho proposto loro di organizzarci degli allenamenti di prepugilistica, fare dei circuiti da boxe, kick e thay. Ho spiegato loro cosa avrebbe implicato e ne sono stati entusiasti, anche se hanno voluto sottolineare che “non hanno nessuna intenzione di avvicinarsi al combattimento, al massimo tirare colpi al sacco ma evitare il più possibile scambi fisici”.
Tenendo presente che sono persone che conosco da 30 anni e che con loro ho scambiato calcioni, gomitate e interventi vari a calcio e a basket, la cosa mi ha lasciato un po’ perplesso….
Set 23, 2012 @ 08:06:06
Torniamo ai corpi. Marco ha ragione: c’è lotta negli incontri anche se la pelle dell’uno non arriva a contatto con la pelle dell’altro. Il contatto visivo e quello della voce sono comunque forme di contatto. È il fondamento stesso della Difesa Relazionale che tento di praticare e insegnare da anni: trovare nei comportamenti quotidiani le proprie strategie di difesa per conoscerle, giocarci e disciplinarle. Non è necessario arrivare alle mani perchè un conflitto degeneri in uno scontro. Sguardi, voce e parole sono piú che sufficienti.
Ma è proprio questo il punto.
Noi abbiamo cinque sensi, taluni sostengono credo a ragione che ne abbiamo in realtà almeno dieci. Ma l’incontro con l’altro si sta progressivamente smaterializzando, il che non significa eliminazione del contatto corporeo perchè al di là delle dicotomie riduttive tra reale e virtuale, anche in video chat i corpi si incontrano attraverso gli occhi e anche al telefono attraverso la voce. Ma sono incontri fondati sull’esclusione sistematicar e spesso programmatica della maggior parte dei sensi per limitare il contatto a uno massimo due di essi.
Escludere uno o piú sistemi di recettori sensoriali nell’incontro con il corpo altrui è un simpatico trucco’ perchè i sensi sono veicoli di piacere, certo, ma anche di sgradevolezze e non si puó avere l’uno senza tollerare le altre. Alla fine la pornografia è esattamente questo: una sensualità ridotta alla sua dimensione visiva e anche questa largamente taroccata. Niente puzze, suoni irritanti, ruvidità o flaccidità tattili, sudori, umori, tensioni indesiderate, movimenti impacciati, avvinghiamenti minacciosi.
Dunque, certo che la lotta si fa anche solo a suon di sguardi. Pure troppo, aggiungerei. Per questo andare in palestra e praticare un’arte che fa la medesima cosa mi sembra insegni molto poco. Almeno dal punto di vista della lotta e della propria capacita di sostenere un conflitto aggressivo.
Penso che le esperienze siano formative se aggiungono, trasformano, portano oltre il già dato e al di là dell’ovvio. Per dirla con Valerio e contestuallizzando pratiche e discorsi, a me pare che ci sia un gran bisogno in giro di riappropriarsi della totalità dei sensi nell’incontro con l’altro. Per questo lottare avvinghiandosi non è la stessa cosa che giocare a scacchi, pure essendo entrambe forme di lotta. Mettere in gioco tutti i sensi significa misurarsi con tutte le dimensioni dell’incontro e con i propri limiti nell’accettarlo. Il contatto è un valore ma anche un pericolo e una paura diffusa. Pr questo viene evitato il piú possibile e per questo, insisto, i corsi di Capoeira sono ovunque strapieni.
Se si vuole imparare sul serio a fare i conti con l’aggressività mio caro Marco, alla fine occorre avvinghiarsi, arrivare a sentire l’alito e il sudore dell’altro su di sè, misurarsi col pericolo e la possibilità sempre latente di farsi in qualche modo male. Altrimenti è teatro, hai ragione da questo punto di vista Graziano, ma è solo teatro. E allora tanto vale giocare a basket o meglio ancora a rugby. Sono certo che si impara a lottare più con questi sport che roteando sl suono del birimbao…
Set 23, 2012 @ 15:58:28
Che discussione interessante è nata da questo post! …Igor può aiutare a mettere sempre più a fuoco cosa ha di diverso la tua proposta. Leggendovi mi sono arrivati altri aspetti interessanti di questo incontro particolare che è la difesa relazionale. “In mani addosso” uno dei temi trattati nelle lezioni di Igor, mi ricordo che sentire le differenti “tonacità” nell’incontro tra le mani, mi diceva qualcosa di diverso di ognuno e contemporaneamente di me che dovevo stare in contatto con quel diverso modo di spingere, avvolgere, ecc. E’ un discorso lungo …e su diversi livelli. Inoltre ognuno ha ben presente che mentre pratichi una serie di esercitazioni di incontro di corpi l’altro e te lì state anche tendo presenti a sè e questo arriva anche all’altro. Spero sia chiaro…. Molto probabilmente è da provare almeno una volta per coglierne almeno alcuni di questi aspetti. Igor, buoni incontri per oggi pomeriggio al parco!
Set 24, 2012 @ 15:23:49
Riciao a tutti,
parlando con Igor era venuta fuori una divertente citazione per quelle pratiche che rimandino di fatto a qualcosa che abbia un contatto forte, tagliandolo via per tutta una serie di motivi. L’idea viene dal film di Woody Allen “Il Dormiglione” in cui in un futuro post-nucleare altamente tecnologizzato le persone per fare l’amore, si infilano insieme in un macchinario, l’Orgasmatic, che produce per entrambi il piacere senza che di fatto debbano unirsi. Notevole no? Quante rogne in meno… Ma soprattutto sparisce il rischio, che è l’elemento che caratterizza ogni forma di incontro. Il rischio porta la paura, e questo elemento è il trucco che da sempre la natura usa quale meccanismo di garanzia della sopravvivenza della specie. Senza paura non ci sono accorgimenti, strategie, prudenze o azzardi. Senza paura non c’è coscienza del rischio; si cammina ciechi senza confini verso qualsiasi forma di potenziale pericolo. O, forse peggio, si cammina senza la possibilità di scelta che su quel sentiero ci sia un rischio che valga la pena di essere corso. E gli elementi che ci parlano di questi incroci sono sostanzialmente due: la sessualità e la lotta, in una connessione intrecciata indissolubilmente che ci rappresenta quale ricordo antico di ciò che siamo e da dove veniamo. Ecco perché la smaterializzazione progressiva del contatto è tanto falsa quanto generatrice di problemi infiniti: perché non da più modo di riconoscere e carezzare la paura che è nostra sorella nel senso stesso della vita. La taglia via, salvo doverla rigenerare in modo fobico nel suo incontro nel quotidiano. E per chi pratica meditazione quale fine ultimo dell’uomo, è bene ricordare che prima che si apra l’ultimo chakra, il settimo, quello che proietta nelle sfere impalpabili della buddhità, quello tra i glutei dovrà essere a suo pieno agio sul cuscino!
Caramente, Valerio
Set 24, 2012 @ 15:47:36
grande Valerio…