Una professoressa è stata condannata a 15 giorni di reclusione dopo aver punito uno studente di 11 anni facendogli scrivere per cento volte sul quaderno la frase “sono un deficiente”.
Stamane è stato impossibile non incrociare articoli o post che riportavano la notizia con i relativi commenti e mi pare importante dire qualcosa, come chi incontra quotidianamente l’educazione anche per motivi professionali.
Non ho potuto di fare a meno di chiedermi cosa può aver spinto quell’insegnante a un simile gesto e mi sono immaginata un possibile corposo elenco fatto di lamentele, di denuncia di carenze, di solitudini. Non mi sento di esprimere alcun giudizio verso un gesto di stizza, che ci sta e posso immaginare che nessun insegnante, per quanto competente e preparato, ne sia totalmente esente. Ma mi chiedo anche, oltre la prima reazione impulsiva, se c’era idea di un messaggio educativo perchè tante volte, purtroppo, il gesto educativo è altrettanto violento della violenza che si propone di redimere.
Cosa può aver imparato quell’alunno di undici anni, terminata la scrittura della centesima frase? E, al tempo stesso, cosa possono aver imparato l’intera classe che ha assistito all’evento e la stessa insegnante? Forse quell’insegnante ha perso l’occasione per fermarsi un momento, andando oltre l’esasperazione di quel frammento di tempo, per condividere la domanda con i suoi alunni.
Mortificare per insegnare a non farlo mi pare una strategia ormai vecchia e sorpassata, anche se è ancora incisa nel nostro codice genetico educativo. Parlare di quanto accaduto con i nostri amici, figli, alunni non commettendo lo stesso errore dell’insegnante e provando a porsi domande, può essere un modo per andare oltre la singola notizia e chiederci anche noi, insieme, cosa possiamo imparare da queste cose che, comunque, accadono?
Set 11, 2012 @ 12:06:42
In che senso condannata a 15 giorni di reclusione?? Perchè a me, in definitiva, è questa la notizia che colpisce di più. Vuol dire che la faccenda è finita in tribunale? In un tribunale penale per giunta?
Se è veramente cosí direi che la faccenda mi preoccupa assai più della maestra che costringe un alunno a scrivere 100 volte alla lavagna “sono un deficiente”.
L’imputazione quale sarebbe? Violenza psicologica o danni morali? Tipo, è la ripetizione la violenza o il suo contenuto? Se la frase coatta e ricorsiva fosse stata “sono intelligente” il reato si configurava lo stesso oppure no? E se ere la ripetizione a quale numero si deve considerare scatti la violenza? Stuoli di allenatori stanno tremando.
A me pare che condannare la maestra è radere al suolo un rudere pedagogico d’altri tempi. Ma se la notizia della condanna è vera, significa che c’è stata una denuncia e che la cosa ha avuto seguito sin davanti al giudice. Il vizio di portare i problemi educativi da avvocati e magistrati è un vizio nuovissimo e dilagante che rischia di trasformarci tutti in deficienti.
Anche se non lo scriviamo alla lavagna.
Set 11, 2012 @ 14:24:01
Già, questa, idicata da Igor, è appunto una delle derive possibili. Stamane, nella lettura dei commenti (su facebook) all’articolo odierno di Massimo Gramellini sulla Stampa, sono stata colpita la virulenza dei commenti, equamente distribuiti nel condannare la cattiva maestra, i pessimi genitori (del bullo), il “piccolo delinquente” (citazione letterale), o l’incauto Gramellini, che nulla ha detto della “povera vittima”. Insomma nessuno ha alcun dubbio sul vero colpevole, ma ognuno si sceglie quello più gradito. Un colpevole su misura, basta che ci sia un colpevole, basta essere rassicurati sul parlare bene della vittima.
Mentre le domande che restano a margine sono tante. Ma in fondo la domande sono scomode, perché spostano l’asticella più in alto …
Set 11, 2012 @ 14:29:53
tratto da Facebook https://www.facebook.com/pages/Consulenza-Pedagogica-Rossini-Urso/104430939592809
aggiungo anche questo
“sono un defic(i)ente.
Ci riferiamo alla ben nota vicenda dell’insegnante di Palermo condannata a 15 gg di carcere per aver fatto scrivere cento volte questa frase a un alunno, che aveva insultato un compagno, dandogli del gay.
Evidentemente per noi la condanna è ingiusta.
Comunque, mettiamola tra parentesi un attimo, facciamo una riflessione più ampia. Grazie a questa sentenza abbiamo ottenuto i seguenti risultati:
– un dodicenne che consapevolmente o meno mette in atto comportamenti razzisti viene giustificato
-questi comportamenti razzisti vengono abbondamente legittimati
-il dodicenne con i suddetti comportamenti razzisti acquisisce un appagante senso di onnipotenza (questo non può causare un disturbo di comportamento in fututro?)
-la vera vittima, il ragazzino offeso, rimane una vittima, perché inascoltata e vede l’aguzzino protetto dalla legge
-la parola “gay” rimane un’offesa e nessuno nemmeno si scandalizza
-si crea un precedente per cui tutti i genitori e i ragazzi si sentiranno autorizzati a denunciare gli insegnanti per qualsiasi tipo di punizione
Complimenti alla sentenza.
Il tutto perchél’insegnante ha indicato il tempo verbale sbagliato: se avesse fatto usare il passato prossimo, saremmo qui a parlarne?
Io sono STATO un defic(i)ente è più corretto. E’ vero.”
Set 11, 2012 @ 17:38:13
Il commento di Monica e quello riportato da Rossini Urso, mi aiuta a capire cosa non mi quadra del ricorso alla via giudiziaria in casi come questi. La giustizia e i suoi rappresentanti hanno due compiti: accertare i fatti e individuare i colpevoli. Un fatto accertato è un fatto sul quale possiamo non porci più domande di senso e una volta individuato il colpevole tutti gli altri sono assolti da ogni responsabilità.
Le domande aperte invece sul “caso” dell’insegnante condannata sono invece molte senza nulla togliere all’insulsaggine del suo gesto. Provo a farne un elenco sparso:
– quali passaggi intermedi hanno compiuto i genitori prima di procedere alla denuncia? e se non ne hanno fatti che significa? e se ne hanno compiuti che esiti hanno avuto e se non ne hanno avuti a chi occorre chiederne conto?
– la via penale era l’unico modo per sanzionare il comportamento dell’insegnante?
– che cosa sta insegnando l’esito della faccenda al ragazzino “punito”?
– che cosa sta insegnando l’esito della faccenda ai suoi compagni di classe, ivi compreso il ragazzo offeso dal ragazzo “punito”?
– che atti stanno compiendo tutti gli attori coinvolti nella faccenda, genitori e insegnanti di quella classe in prima istanza?
– che linea difensiva, se ne ha adottata una, ha assunto l’insegnante incriminata?
– che tipo di precedente stabilisce una condanna di questo tipo e che possibili ripercussioni potrebbe avere nel delicato rapporto insegnanti alunni?
Ovviamente le domande non finiscono qui, ma il punto è che arrivata in giudicato, la questione rischia di chiudersi, invece di aprire una discussione e se accade questo le domande che ho provato a formulare, se ne vanno tranquillamente in prescrizione…
Cari genitori, dunque, credo sia importante capire che ci sono due ordini di ragioni. La prima è quella dell’aver ragione rispetto a un torto subito, la seconda è quella del comprendere le ragioni di ciò che ci accade. Priam di rivolgervi a un tribunale, chiedetevi ogni volta che cosa vi aspettate sul piano educativo dalle scelte che fate per i vostri figli.
Set 11, 2012 @ 17:42:27
Il padre del ragazzino è un avvocato.
Povero ragazzino, aggiungo
Set 11, 2012 @ 18:02:07
in un racconto zen l’insegnante, adirato con il proprio alunno, sospende ogni possibile replica perché è troppo arrabbiato per avere il giusto equilibrio per una punizione. Poiché il compito di un insegnante è educare, “se” vuole usare un sistema di apprendimento basato su premi e punizioni l’obbiettivo dev’essere quello, sempre e comunque, di EDUCARE.
Personalmente sono profondamente convinta che gli abusi psicologici sono peggio di quelli fisici, che che se ne continui a dubitare.
Un abuso psicologico come quello di far sentire un bambino un deficiente è qualcosa che segna tutta una vita, indipendentemente dall’eventuale o meno supposta iperprotettività degli altri adulti significativi della sua vita (ovvero i genitori).
Inoltre il processo educativo non può, non dovrebbe mai essere slegato dal contesto familiare dal quale proviene un alunno, anche perché non si deve dimenticare che quello che compie un insegnante è una “delega educativa” che va compiuta INSIEME alla famiglia e non centro contrapponendosi ad essa!
Stupiscono i 15 gg di reclusione? E perché mai?
Evidentemente i danni subiti dal ragazzino sono notevoli o si vuol fingere di non sapere che alcuni episodi subiti durante l’infanzia possono rovinare tutta una vita?
Forse sono un po’ troppo estremista nel considerare l’insegnamento un lavoro delicatissimo che non possono fare tutti. Chi decide d’insegnare, e di svolgere la sua professione con dei bambini, dovrebbe essere veramente pedagogicamente molto preparato e motivato nel suo lavoro non “capita” o ci s'”improvvisa” insegnanti come può succedere ad un genitore…non confondiamo i contesti, per cortesia!
Set 11, 2012 @ 19:21:13
Sicuramente i quesiti di Igor e di Monica, vanno a toccare sfumature della vicenda che possono solo arricchire e approfondire la riflessione. Di fronte a questa vicenda, ho subito sentito il rischio di lanciarsi in inutili condanne o facili giudizi e pertanto li ringrazio per la chiarezza dei loro commenti.
Credo Chiara che “la sospensione del maestro zen”, dovrebbe riguardare un po’ tutti noi, anche per far incontrare e dialogare i pensieri differenti. Che ne dici, può essere?
Set 12, 2012 @ 01:15:36
può essere….anche se nell’esprimere le mie idee provo a convincere gli altri ma non mi arrogo il ruolo di educarli…non me ne sento degna: trovo che sia al di fuori della mia portata. Per questo a volte mi chiedo se chi svolge quel lavoro così importante e delicato si rende conto della responsabilità che ha oppure lo vive come un qualsiasi impiego “aperto al pubblico”. Lo so che questi discorsi sono eccessivi ma lo sarebbero ugualmente se si parlasse di medici? Di un medico si è più consapevoli che le sue azioni possono causare delle conseguenze irreversibili. Conseguenze fisiche. Ma chi invece interviene sulla parte cognitiva di un bambino? Chi “opera” nel suo cervello creando consapevolezza non rischia di provocare danni irreversibili anche se meno visibili?
Set 12, 2012 @ 07:08:54
Porsi domande e interrogare l’importanza e la delicatezza di alcune professioni è un atteggiamento che condivido e, forse proprio perchè ho conosciuto tante brave e serie insegnanti, mi sento di muovermi a “piccoli passi” nell’esprimere le mie valutazioni.
Poi c’è un altro aspetto che mi pare importante non sottovalutare, sempre volgendo lo sguardo dell’analisi verso l’insegnante in questione e riguarda la differenza tra un singolo gesto, esaltato anche dall’interpretazione mediatica, e il modo di interpretare un ruolo professionale nel quotidiano, magari per anni.
Cioè, per esprimere una valutazione più seria e precisa, mi mancano parecchi tasselli e, in questo senso, gli interrogativi posti nei vari commenti al post mi pare restituiscano anche il bisogno di non banalizzare situazioni complesse ma provare a vederne , nelle tante pieghe, i molteplici significati.
Set 12, 2012 @ 09:33:14
vedi, irenecronache, quello che a me invece lascia molto dubitare proprio di questa insegnante è il fatto che sia stata condannata per “quella” punizione, che all’apparenza può sembrare banale. Il sospetto che suscita è che questa punizione fosse una modalità espressiva e relazionale dell’insegnante non una sua scelta educativa. Temo che sia soprattutto questo il motivo per cui il Giudice abbia commisurato la pena detentiva, al di la delle perizie sul danno arrecato al bambino, probabilmente ciò che ha inciso nel giudizio riguardava proprio le caratteristiche caratteriali dell’insegnante.
Comunque è ironicamente singolare l’escalation dell’intera vicenda, soprattutto considerando che il bullismo spesso è la reazione ad altrettante prepotenze….
Set 12, 2012 @ 15:15:49
Ecco altri genitori e altre storie …
per me è stato cogliere tra le righe come di un “trauma” se ne possa avere cura .. o farne un gioco al massacro, facendolo crescere
…http://genitoricrescono.com/bambino-genitori-diagnosi-sbagliata/comment-page-1/#comment-118948
Set 12, 2012 @ 23:58:31
Che dibattito spinoso, difficile prenderne parte: ragione e ragionevolezza si rincorrono passando vicendevolmente dalla parte dell’allievo a quella dell’insegnante. Probabilmente si può legittimamente pensare che l’ insegnante usava metodi poco ortodossi, come altrettanto legittimamente può darsi che si trattasse di un allievo capace di mettere a dura prova qualsiasi buon intenzionato proposito educativo. Mah? Non abbiamo sufficienti elementi di contesto, ma anche li avessimo forse il problema rimarrebbe mal posto e come già sollecitato dagli interventi precedenti, non si tratta di scegliere da che parte schierarsi ma cercare di domandarsi che fine fa l’educazione.
Poveri ragazzi che compiono gesti anche assurdi sbagliati e non sapranno mai che da quegli stessi gesti si poteva aprire un universo di significati per imparare ad essere migliori.
Poveri professori e maestri che urlano, puniscono, accarezzano, blandiscono, raccomandano… sentono bruciante la sconfitta dei loro inutili gesti ma non sanno da dove cominciare.
Poveri genitori che per soffrire un po’ di meno si rifugiano a contare ciò che non conta.
Povera educazione… quando perde il colore nero dell’autoritarismo assume il pallore bianco dell’afasia delega il proprio ruolo ad altri compresi i tribunali… e si dissolve.
Poveri noi.
Set 13, 2012 @ 18:57:04
Spostare il piano, non impugnare la spada del giudizio, porre domande, evidentemente non è cosa facile, soprattutto quanto i temi e i dibattiti, come dici tu, sono così spinosi. Poterne scrivere e parlare mi pare già una buona occasione e ho trovato prezioso e mirato il tuo contributo. alla prossima!
Set 13, 2012 @ 18:08:08
“salve prooof! come sta? il piede? com’è andato il primo giorno di scuola? dove l’hanno mandata?”
Ecco cosa mi scrive stamattina Elisa della mitica 5C,”maturata” a luglio.
Accidenti, realizzo improvvisamente che, non solo è la prima volta in ventanni che mi perdo il primo giorno di scuola (sono in ospedale per un banale neuroma di Morton -che nome eh?-) ma che non ci sono più i ragazzi della 5^C a pormi tutti gli interrogativi educativi possibili (parola d’ordine: “non è pedagogico”), tratti dalle più note vicende di cronaca.
Discorsi e discussioni infinite, pindaliche, sempre al limite di ogni ragionevole dubbio, sempre piene di derive. Inevitabilmente faticose, a volte spossanti ma mai, davvero mai, inutili. Sicuramente mi avrebbero posto subito la domanda birbina: “cosa dice prof di quella sua collega finita in carcere? sì, quella che ha fatto scrivere al suo alunno -sono un deficiente-? che poi… avrà saputo lei come si scrive d-e-f-i-c-i-e-n-t-e? gliel’avrà almeno corretta la pagina di punizione a quel povero ragazzo? ma che dici -povero ragazzo- ha fatto bene! mica un’insegnante si può far mettere i piedi in testa da un ragazzino! già, e non dimenticate che l’ha fatto per punire, sì, ma per difendere un altro alunno da quel bullo, idiota, xenofobo e certamente figlio di papà! io avrei fatto anche di peggio! io invece una bella nota, dal preside e sospensione! certo, molto meglio che una violenza psicologica del genere. già, e poi, noi ne sappiamo qualcosa, no? …con quella sua collega, sì insomma, lei lo sa prof, ma lei non può proprio fare nulla??? eddai, lei che c’entra?”
Silenzio…. di attesa… mugugnante, imbarazzante.
Ti mette all’angolo. E la sensazione è subito di KO.
Impossibile uscirsene con un: “bene, ragazzi, iniziamo la quinta con un bel ripasso di Kant…che serve sempre!”
Ora che ci penso…Impossibile?
Set 13, 2012 @ 18:54:32
grazie Rita, per il commento gustoso e ricco di spunti.
Set 14, 2012 @ 12:07:02
Dicevi Irene che la mortificazione è pratica ormai desueta in educazione, eppure questa è una storia in cui la mortificazione, se non l’umiliazione, abbonda. Inizia il ragazzino a denigrare il compagno davanti alla classe, prosegue la maestra assegnando una punizione umiliante all’alunno bulletto, finisce il tribunale sentenziando una pena mortificante all’insegnante.
Morale della storia: qualcuno imparerà qualcosa dai suoi errori dopo queste punizioni esemplari oppure conserverà soltanto il bruciante ricordo dell’umiliazione? Penso che l’umiliazione si porti dietro il sentimento dell’ingiustizia e che questa sposti tutta l’attenzione sulla sanzione, lasciando in un cantuccio, dimenticato, il fatto, il conflitto, il problema.
Tutta la vicenda puzza molto di giuridico e poco di educativo e purtroppo è segno di una cultura ormai stradiffusa, non a caso in Italia abbiamo il record dei procedimenti giudiziari nel mondo. Forse che un po’ di pedagogico risolverebbe anche i problemi della giustizia?