Molti della mia generazioni ricordano, nella loro educazione, una serie di valori ricorrenti, immancabili nella top ten pedagogica di molte famiglie di quel tempo.
Tra questi, i miei genitori, apprezzavano in particolare il senso della fatica, dell’impegno e dell’intramontabile (credevo allora!) necessità di “meritarsi le cose”.
Sono passati gli anni e intorno a me ho visto comparire strane categorie di individui.
Quelli distrutti alle otto di mattina, gli stravolti-sempre, gli insopportabili che ripetono appena possono che hanno bisogno di rilassarsi e i mitici stressati.
Insomma, mai come in questi ultimi tempi mi ritorna alla mente una vecchia pubblicità che, per reclamizzare un amaro, brindava “contro il logorio della vita moderna”. Se la memoria non mi inganna, erano gli anni settanta.
Probabilmente il logorio, mentre noi eravamo distratti da altro, ha preso il sopravvento contagiando una moltitudine di individui, fino a travolgere anche i bambini.
Così, oggi incontro sempre più spesso genitori stupiti dalla fatica di allevare bambini piccoli, insegnanti stanchi di insegnare e bambini o ragazzi stanchi di imparare.
Ma che fine ha fatto il valore della fatica? La possibilità di identificarla nel percorso necessario per raggiungere un risultato, un desiderio, un sogno?
Sono convinta, ogni giorno di più, che sia necessario trovare nuove strategie per insegnare anche il valore della fatica e per togliere il velo cialtrone a molte delle cose facili e senza senso che ormai circondano le nostre esistenze.
Mi chiedo però, come possiamo farlo, in presenza di adulti sempre stanchi, disillusi, con poche speranze. Dei sogni poi, neppure a parlarne.
Si, forse potremmo proprio partire da qui.
Dalla possibilità di tornare a sognare, immaginare, sperare, progettare.
Mi viene spesso in mente quello che provo mentre seguo fiduciosa il mio instancabile compagno di vita, nelle gite in montagna.
Il fiato corto, le gambe che si spezzano e il batticuore.
Poi, ogni volta, da anni, ci ritorno e ci riprovo.
Il paesaggio che è possibile ammirare, quando si raggiunge la meta, è insostituibile.
Magicamente, la fatica diventa leggera.
Dite che possiamo provarci anche con l’educazione?
Mag 18, 2012 @ 06:37:31
Si Irene, spero tanto e di cuore che sia possibile provarlo anche in educazione! Ne abbiamo molto bisogno e ne parlato insieme di questa ricerca di leggerezza e credo che sia stato fondamentale in questi anni continuamente ritornarci sopra. E’ un lavoro immane per giunta faticoso, e a volte il fiato corto e il mal di gambe possono far emergere la rinuncia. Con te è stato di volta in volta importante riuscire a trovare un senso a questa fatica per valorizzare anche quello che si sta facendo. Perchè è proprio normale e di consuetudine nei luoghi di vita e anche in quelli educativi lamentarsi solo della fatica e anche non godere come dici tu del paesaggio che poi ti porta a vedere. Per uscire dal lamento dobbiamo sorreggerci a vicenda e già il tuo post mi sembra un ottimo sostegno a cui fare riferimento. Un abbraccio :))
Mag 18, 2012 @ 21:48:54
Salve,
vi seguo da un po’! E vi stimo, per le riflessioni che posso iniziare (e non concludere) grazie a quello che leggo qui.
Nasco attore, ma divento operatore di teatro educativo e sociale, poi anche educatore di Cag (specie in estinzione). Il teatro è una fatica bestia e mai come oggi si fatica a capirlo: grazie Amici di Maria!
A presto!
Davide
Mag 19, 2012 @ 12:23:33
Amedeo, mio figlio quest’anno ha subito un grave incidente ed ha perso la vista in un occhio. Lo sconforto iniziale per una cosa così terribile, che prima c’era ed improvvisamente non c’era più, sconvolgendo tutte le nostre abitudini di vita ed aspettative per il futuro, gettò tutti noi nella tristezza.
Poi lentamente riapparì la speranza ed assieme alla speranza la consapevolezza della grande fatica di dover inventare ad ogni passo del percorso che ci si palesava davanti nuove modalità e strategie volte a raggiungere i nostri desideri.
Il percorso è stato duro ed ancora lo è, ma la soddisfazione per tutto ciò che andavamo compiendo cresceva sempre più facendoci assaporare ad ogni passaggio assaporavamo assieme la soddisfazione di ciò che in quel frangente, seppure molto faticoso, andavamo scoprendo di noi, delle nostre nuove capacità, dei nostri limiti e l’idea che ce la si può fare unita alla consapevolezza che per farcela bisogna “combattere”. Nulla era più facile come prima.
Ci si doveva man mano lasciare alle spalle attese che nel nuovo orizzonte esistenziale divenivano irrealizzabili. Amedeo avrebbe voluto diventare da grande un pilota.
In questa occasione la fatica d’ imparare è diventata occasione per provarsi, per scoprirsi più forti… per diventare “guerrieri” nel senso più profondo del termine.
Amedeo non potrà mai più diventare pilota ma si stava trasformando in un combattente.
La fatica è una dimensione costitutiva dell’educare, del crescere, dell’evolvere, dell’imparare ed è forse questa dimensione del dover “combattere” nel senso più profondo del termine e del conseguente impegno di farlo, che rimane completamente occultata dal panorama educativo odierno.
Fatica e soddisfazione rappresentano una delle antinomie educative tra le più avvertibili ed appartengono a due polarità apparentemente contrarie ma in realtà esse stanno in un rapporto stretto di connessione tra loro e spesso se ne togli una anche l’altra si dissolve.
Le cose facili non soddisfano perché non permettono di migliorare.
Mag 20, 2012 @ 10:35:30
“La fatica è una dimensione costitutiva dell’educare, del crescere, dell’evolvere, dell’imparare ed è forse questa dimensione del dover “combattere” nel senso più profondo del termine e del conseguente impegno di farlo, che rimane completamente occultata dal panorama educativo odierno”.
Parto proprio dalle tue parole Nadia, perchè il tuo commento tocca corde delicate e sentimenti profondi.
Dalle fatiche, tante volte, non si può fuggire.
Nulla toglie legittimità allo spazio per la rabbia e per il dolore, come nella tua situazione, ma credo che ritrovare pertugi di possibilità per intravederne nuove occasioni sia il massimo, e la dimensione peculiare, che uno sguardo educativo può offrire.
Hai proprio ragione. Le fatiche ci insegnano a “combattere”, a trovare nuove strategie, a esplorare nuovi orizzonti.
Mi auguro che in questa nuova scena Amedeo trovi qualcosa che, pur non sostituendo completamente il suo sogno di fare il pilota, permetta la scoperta di altri sogni possibili e che, per fortuna, si potranno avverare.
In fondo, il vantaggio può essere che da un unico sogno, si passi a tanti sogni ancora non immaginati e sognati.
Mag 20, 2012 @ 15:20:37
Grazie Irene, i tuoi post rappresentano sempre grandi occasioni per riflettere e comunicare “svuotando” un po’ quando si è ancora saturi. Ascoltarti mi alleggerisce. Mi scuso per gli errori e le ripetizioni che ho fatto scrivendo e di cui mi sono accorta solo ora, rileggendo a posteriori. Come tu hai compreso le corde erano profonde anche per me…