di Irene Auletta

Oggi ho accompagnato mia figlia a fare un esame un po’ particolare.

L’impiegata allo sportello si sofferma sulla richiesta e inizia a parlarmi di suo figlio, che vive problemi simili e di quanto lei comprenda le madri come me. Mentre con le mani digita i dati richiesti per la visita medica continua parlarmi di suo figlio e di altre situazioni analoghe che vede sfilare ogni giorno davanti allo sportello.

“Per non parlare del mercoledì , giorno dedicato alle visite dei bambini con problemi oncologici!”.

Strana solidarietà quella tra madri. Racconti che si intrecciano e storie che, alla fine,  si scoprono non così diverse.

Però, è strano anche accogliere il problema altrui mettendo in prima fila il proprio, quasi come se questo fosse uno dei modi possibili per superare un po’ di imbarazzo o comunque una via per esprimere comprensione o solidarietà.

Qualche tempo fa mi avrebbe infastidito o forse avrei semplicemente pensato in silenzio “chi se ne importa dei tuoi guai? Io sono qui per mia figlia!”.

Oggi mi pare di aver colto altro. Un bisogno di raccontare e di condividere emozioni, di non rimanere indifferenti di fronte ad un esame che una ragazza di quattordici anni non dovrebbe fare, di scambiarsi pensieri e immagini, tra madri, sapendo di non essere sole.

Così, ascoltando l’impiegata alla sportello, ho sorriso, accettando i suoi complimenti e provando ad andare oltre lo stato d’animo che mi aveva accompagnato in quel luogo.

Mi sono guardata dall’esterno come spesso vengo dipinta quando sono mia figlia che, secondo qualcuno, difendo viaggiando insieme a lei, protette dalla bolla di Violetta, dei mitici Incredibili.

E’ vero, entrando nella sala mi ero già preparata a sostenere i soliti sguardi insistenti e a sfoggiare il mio sguardo severo verso chi si sofferma troppo su di noi.

Alla fine sono uscita sorridendo, abbracciando la mia ragazzina non solo per proteggerla, ma come per raccontarle un segreto.

Anche oggi, possiamo farcela.