di Irene Auletta
Cornice. Una supervisione svolta alla presenza di assistenti sociali, psicologi e pedagogisti per discutere di una situazione particolarmente complessa che coinvolge diversi servizi.
Nel tentativo di far comprendere al resto dei presenti il suo pensiero, uno di questi operatori si butta in una bizzarra metafora che, per sostenere i genitori di cui si sta parlando, definisce il loro figlio disabile una “pianta grassa”. Si, proprio così.
“In fondo (rincara la dose!), bambini come questi per i genitori sono proprio come piante grasse, chi li vorrebbe?”.
Non mi piace ammazzare le metafore ma, giusto per non partire con un feroce giudizio a raffica, mi sono chiesta più volte cosa volesse dire.
Forse che i figli disabili sono pieni di spine, impegnativi da trattare e da far crescere, delicati nel loro bisogno di ricevere nutrimento? In effetti, chi non si è chiesto di quanta acqua abbiano bisogno le piante grasse? Poca, seccano e troppa si inzuppano fino a sembrare verdura cotta!
Ma, la persona che si è sbizzarrita in questa metafora, avrà voluto dire proprio questo, lasciando parte dei presenti basiti e parte indifferenti?
In realtà ho capito, dopo qualche tempo, che non mi interessava affatto cosa volesse dire la signora in questione perchè, quello che aveva affermato portava con sè una tale mancanza di rispetto che fatico a lasciar passare a chi ha scelto, per professione, di occuparsi di relazioni di aiuto.
Però ho imparato una lezione e ho raccolto nuove domande. Quando sono in dubbio nel mio lavoro, mi immagino spesso che la persona di cui sto parlando possa essere lì, invisibile, al mio fianco.
Come si sentirebbe se mi sentisse dire di lui o di lei quella determinata cosa e in quel modo? E poi, quante volte ci permettiamo, nei nostri abiti professionali, di andare oltre i confini del rispetto, della delicatezza dei sentimenti altrui e delle storie di vita di uomini o donne che, per un piccolo pezzetto, incrociamo sulla nostra via?
Per fortuna quei genitori non hanno potuto ascoltare quell’affermazione e una serie di altre, ancora più infelici, emerse nello stesso incontro.
Forse era per tutti i presenti una giornata no, forse si voleva esprimere qualcosa che non si è capito bene, forse si è peccato un po’ di superficialità o forse ancora, sono intervenute altre questioni che riguardavano più i rapporti tra gli operatori presenti che la famiglia di cui si stava discutendo.
Forse. Quello che è successo dopo … è un’altra storia.
So per certo che quel giorno, come genitore, mi sono sentita fortunata di non essere lì, al centro di quella discussione. In cuor mio mi sono vergognata per quella scena, per la stupidità e per l’ignoranza che a volte regna in situazioni analoghe.
In silenzio, ho chiesto scusa alle persone di cui stavamo parlando.
Feb 13, 2012 @ 15:10:18
io sul balcone ho una pianta grassa che fa dei bellissimi fiori….:-)
certe volte per andare oltre ci vuole tanta pazienza e altrettanto coraggio!
Feb 13, 2012 @ 18:59:43
hai ragione Monica… io per cercare un senso scrivo e racconto! poi i bellissimi fiori aiutano a tollerare le pietre “da digerire”
Feb 13, 2012 @ 21:49:55
Chissà cosa intendeva… sarebbe stato interessante domandarlo, chiedere, pretendere un senso… comprendere quale fatica personale dell’operatore l’ha portato a questa a dir poco “bizzarra” affermazione…
Il mio senso, leggendo solo queste poche righe, è che con le chiacchiere non vediamo i limiti come ostacoli invalicabili, nei fatti però, anche chi ha fatto della cura il proprio mestiere, quando non riesce a cambiare lo sguardo rivolgendolo sempre e comunque solo verso una parte… chiude gli occhi che invece potrebbero guardare, autenticamente, verso le risorse, le possibilità, le gioie presenti nelle fatiche, anche le più dolorose.
Feb 14, 2012 @ 07:43:55
Forse Roberta il senso da ricercare, che almeno io vedo possibile, è quello di chi ascolta, al di là delle intenzioni e delle possibilità di chi si esprime in un modo o nell’altro.
Ognuno ha le sue ragioni e francamente credo che spesso l’idea di toccare qualche sensibilità o di offendere non raggiunga neppure lontanamente l’intenzione di chi lo sta facendo.
Chi ascolta però può imparare qualcosa o quantomeno, può fare attenzione a non commettere gli stessi errori.
Poi, hai ragione … vedere i limiti (soprattutto i propri) è cosa assai complessa!
Feb 18, 2012 @ 10:02:48
E’ molto toccante il tuo racconto! Riconosco questi modi scorretti, banali, infantili di tematizzare le storie degli altri in ambiti professionali che hanno il compito di avvicinare e a volte aiutare le vicessitudini di queste famiglie. E’ come se un professionista che si occupa dei fiori, per stare nel tema della botanica, li disprezza!…. Chissà se la cosa che rilanci come discorso per se stessi si può in alcune occasioni verbalizzare al gruppo come modalità di elaborazione collettiva, “mi immagino spesso che la persona di cui sto parlando possa essere lì, invisibile, al mio fianco”.
Feb 18, 2012 @ 17:30:55
Credo proprio Luigina che si possa rilanciare anche ai gruppi di lavoro, come ulteriore occasione per condividere le proprie riflessioni e per aggiungere nuovi stimoli alle considerazioni legate al lavoro con le famiglie.