Domenica ho fatto fare il bagno a mia figlia. Momento sempre intenso e atteso. Occupa il tempo, convoca il corpo mentre lo alleggerisce galleggiando nella vasca ricolma, accarezza con l’acqua calda che scorre in continuazione e al diavolo ogni preoccupazione ecologica. Luna sguazza, si rilassa, le tensioni provocate dai tremori che l’accompagnano pian piano si sciolgono, si coccola e, soprattutto, si cura da sè senza che qualcuno le stia con il fiato sul collo. Insomma, se riesco ad attorcigliare il flessibile della doccia quel tanto che basta a impedirle di trascinarlo oltre il bordovasca, evitando l’effetto alluvione in giro per casa. Così mi rilasso anch’io e mi dedico a qualcosa d’altro.

Come per ogni altro bagno, anche domenica è arrivato il momento di porre fine alla parentesi di libertà reciproca. Fine dei giochi e inizio dello shampoo. Ineluttabile come la morte. Diluisci, spalma, strofina, sciacqua. Niente di che, ma certo peggio della libertà di sguazzo goduta sino a un attimo prima. Tutti noi sappiamo che il momento peggiore dello shampoo è l’ultimo, quando arriva lo sciacquo. Anzi no, il peggio è il phon, ma per questa storia posso non prenderlo in considerazione. La doccia, solitamente, fa calare la schiuma dalla testa sugli occhi e nessuno trova divertente questa fase del lavaggio. Nemmeno mia figlia. Per questo sono già due o tre volte che ho cambiato strategia: niente più cornetta, aiuto Luna con la testa insaponata a sdraiarsi nell’acqua, le cingo le spalle con un braccio aiutandola a immergere piano piano i capelli lasciando fuori dalla superficie occhi, naso e bocca. Lei si abbandona felice mentre con l’altra mano le sciacquo i capelli in immersione. E d’un lampo, domenica, ricordo.

Sarà che lei mi assomiglia così tanto. Sarà che quel gesto di cura è nato dall’immedesimarmi nel fastidio della schiuma negli occhi. Sarà che i gesti hanno una memoria che non sappiamo d’avere. Sarà che guardavo il suo viso soddisfatto e vedevo me, piccolo, immerso nell’acqua mentre guardavo mia madre che mi sciacquava i capelli immergendomeli per non farmi andare il sapone negli occhi. Ma avevo completamente dimenticato. O almeno credevo di non ricordarmene più. Il mio corpo, si vede, ha più memoria di me e ha messo in campo una sapienza che da qualche parte doveva pur venire.

C’era tua nonna con noi domenica, Luna. Era nei miei gesti e nel tuo sguardo. D’ora in poi il tuo bagno non sarà più lo stesso.