L’articolo di Travaglio di oggi sul Fatto, a proposito della querelle Crocefisso sì, Crocefisso no, è illuminante. Ne consiglio un’attenta lettura.
Prendendo spunto dalle sue parole, direi che il punto è il seguente: quel simbolo appeso alle pareti scolastiche va tolto se ha smarrito il senso che dovrebbe avere tutto ciò che si appende alle pareti scolastiche: insegnare qualcosa. Ricordo cartine geografiche e cartelloni con questo o quel contenuto didattico. Ricordo scaffali con libri e lavori eseguiti e poi esposti. Ricordo foto e disegni. Ognuno un riferimento a qualcosa cui pensare, oppure il risultato o il testimone di un processo di pensiero. E di apprendimento.
Ecco, discutere se il Crocefisso possa essere un simbolo accettabile o meno è una discussione oziosa. Come sempre il punto è capire cosa se ne fanno gli insegnanti, ogni singolo insegnante, del fatto di avere il Crocefisso appeso alle pareti. Se lo lasciano lì a fare arredo, tanto vale toglierlo. Se diviene occasione per parlare di ciò che rappresenta, e non sto parlando della religione, ma della vicenda umana e storica di Gesù di Nazareth, allora ha senso che stia lì.
Fossi un insegnante farei così invece di partecipare a questa inutile discussione. Toglierei il Crocefisso per un po’. Poi lo riappenderei. Questa azione permetterebbe a tutti di ri-vedere qualcosa che data la scontatezza nessuno vedeva più. Coglierei l’occasione per parlare e per ragionare e per raccontare e per fare ricerche attorno a ciò che quel simbolo porta con sè. Fatto questo, dopo qualche tempo, esporrei un mezzo busto di Socrate, come quello che campeggiava a casa dei miei genitori e che mi ha accompagnato per decenni, e farei lo stesso percorso. Poi passerei a una foto di Ghandi, magari, quindi a un’immagine del Buddha e così via.
Una volta si chiamavano Uomini Illustri. Naturalmente ci si possono aggiungere anche simboli di Donne Illustri. L’importante è che sia occasione di togliere la polvere accumulata su tutto ciò che appare nobile, dignitoso, grande, coraggioso, da tempo obliato dalla pessima mediocrità furbetta e imbecille diventata valore dominante. Anzi unico.
Nov 05, 2009 @ 18:44:26
E’ vicino a quanto, qualche tempo fa se non sbaglio disse Massimo Cacciari. Dicendo anche che, di conseguenza, l’insegnamento della religione non dovrebbe essere fatto da isegnanti nominati dalla curia trasformando tale insegnamento in qualcosa delimitato da un confine, un discrimine tra chi crede e chi no.
La religiosità, i simboli, i valori, le figure di riferimento, i “maestri” che hanno lasciato un segno anche attraverso lo “sguardo in alto”, rappresentano un sapere importante da trasmettere. E, soprattutto, appartengono al campo degli “universali”
Naturalmente non se lo filò quasi nessuno….ragionare è più faticoso di limitarsi a fare un po’ di ideologia e slogan….e questo sia per i cosiddetti “credenti” e i cosiddetti “non credenti”.
E’ molto meno rassicurante ragionare perchè significa mettersi in gioco: il dialogo autentico implica l’incontro con l’altro, lo “strano”, il diverso, il “lontano”. Ne vale la pena, ma è faticoso.
Anche perchè (ed è la seconda cosa che condivido dell’articolo) i simboli così ricchi e nutritivi per lo sviluppo personale e collettivo sono spesso rimossi.
Della serie: siamo invasi da immagini, ossessionati da immagine e immagini e poi non ne riconosciamo i significati. Simbolo e segno di qualcos’altro, di un senso, un percorso che viene rimosso.
Non so, forse è da questo sonno che nascono i “mostri”.
Nov 06, 2009 @ 11:43:39
La banalizzazione del simbolo, nonchè la sua appropiazione indebita!! Un simbolo non appartiene a chi lo crea ma assume una valenza considerevole nella misura in cui appartiene e viene riconosciuto come proprio da più persone. Mi sembra ovvio che banalizzare un simbolo come il crocifisso lo releghi a mero arredamento scolastico come dice Travaglio. Ma difenderlo nel nome di un’identità e di un’appartenenza ad un determinato gruppo religioso diviene una sorta di appropiazione indebita! Non credo esistano copyright o uffici brevetti per cose di questo tipo, o mi sbaglio?
Nel momento in cui un simbolo viene esposto pubblicamente e si pretende di attribuirgli un valore unico ed assoluto allora sì che diviene discriminante e denigrante altre culture che in quel simbolo non si riconoscono. Diventa un continuo sbattere in faccia agli altri: TU NON SEI DEI NOSTRI, SEI DIVERSO!! Cosa che dalle mie reminiscenze ecclesiastiche mi risulta essere totalmente contrario ai valori e ai dettami cristiani. Agli occhi di Dio siamo tutti uguali, credenti o no, e allora perchè chi guarda Suo Figlio nel momento cardine della sua vita terrena non può attribuirgli, nel rispetto delle differenti culture, il senso ed il valore che preferisce? La scuola dovrebbe insegnare a pensare e non solo a classificare ed etichettare, ma come dici bene tu Monica ragionare è molto più faticoso e quindi…
Nov 06, 2009 @ 22:06:24
Discutere in classe di religione è sempre problematico. Alcuni anni fa, parlando in classe del senso figurato della bibbia, spiegai che Giosuè non fece crollare le mura di Gerico con il suono delle trombe, ma che le trombe erano il segnale per togliere i puntelli allo scavo fatto sotto le mura. Apriti cielo, mamme infuriate a dire che mettevo in discussione il catechismo. Inutile spiegare che questo non alterava il significato profondo di quei versetti. Difficile discutere quando tutto si ferma alla superficie.
Nov 07, 2009 @ 20:02:44
Bella riflessione Igor, solo che dal punto di vista dell’impatto visivo credo che riproporre l’idea di morte costantemente possa perturbare un po’ troppo, a tal punto da venire poi ignorata.
Parli del busto di Socrate…non credo che sia frequente esibire una sua statua che lo rappresenta mentre beve la cicuta.
Nov 09, 2009 @ 16:48:44
Questo tuo commento Francesca mi fa pensare alla differenza che corre tra “simbolo” e “icona”. Non so spiegarlo meglio, ora, ma il punto è che chiunque pensi a Cristo, non può che pensarlo sulla croce, appendere un quadretto con Gesù che impone a Lazzaro di alzarsi e camminare, avrebbe tutto un altro significato.
Lo stesso vale per Ghandi, difficile immaginare una sua rappresentazione generalizzata nelle vesti giovanili di avvocato, senza occhialini tondi e tunica, che Ghandi sarebbe? E sul piano rappresentazionale, Socrate che beve si potrebbe confondere con un qualsiasi greco che si fa un cicchetto. Molto meglio il mezzobusto del tizio barbuto e accigliato.
Insomma, le icone sono l’interfaccia materializzata dell’immaginario collettivo. Dunque sono molto più che simboli. La Croce è molto più che una scena di morte esattamente come Luter King che pronuncia il suo famoso “We have e dream” è molto più che un comizio. Ed è questo “molto più” che va salvaguardato, altrimenti va a finire con quell’altra icona famosissima finita sulle magliette dei teen agers che si portano in petto la rivoluzione stessa senza neppure saperlo…
Nov 09, 2009 @ 17:41:39
La questione è annosa. Certo quello che scrivi è vero ma è anche vero che c’è differenza tra Croce e Crocefisso ( ma qui si torna alla differenza tra simbolo e icona ), tra dolore e liberazione come binomio e dolore da solo.
Far parlare l’icona, così come proponevi tu all’inzio, è allora la strada migliore per includere gli esclusi? Quanto meno, se non in un mondo sociale, in un mondo di significati?
Ad ogni modo ben venga una discussione su Cristo fatta seguendo gli ordini qui proposti, composti da rispetto e curiosità culturale.
Purtroppo non si riesce a trovarne molte altre in giro di questo tipo e ne avremmo tutti un gran bisogno.
Francesca