di Igor Salomone
Ecco a voi, con regolarità farmaceutica, la seconda somministrazione delle Pillole pedagogiche. La serie video con alcune riflessioni brevi attorno alle questioni fondamentali dell’educazione quotidiana.
Godetevi il video, quindi, totalmente in autoproduzione e realizzato con il contributo amichevole di chi mi ha aiutato con le riprese e con la correzione dei testi. Se non avete tempo e voglia di seguire il video, oppure non avete preso appunti visionandolo… di seguito trovate il testo della Pillola.
Arrivederci alla prossima che sarà sullo Standard: Questa casa non è un albergo
La pillola precedente, Quante volte te lo devo dire, la trovate invece qui
**********************
e simpaticherie del genere.
“Quando sarai grande capirai” è un evergreen tra gli standard educativi, cioè quelle frasi sentite mille volte, che abbiamo giurato di non ripetere mai, ma che prima o poi usciranno dalla nostra bocca.
Sentirselo dire non è mai piacevole. Dà sempre l’idea che gli adulti non vogliano darti spiegazioni, o che si siano stufati di farlo.
E poi questo far pesare l’esperienza, che fastidio! come se il fatto di esserci già passati conferisca automaticamente la capacità di prevedere cosa succederà a te in futuro. Ma che ne sappiamo del futuro?
Chi ammonisce i figli che solo da grandi capiranno, ha capito davvero quello che gli avevano detto i genitori a suo tempo
E poi, se ora un figlio non è in grado di capire, perchè rimproverarlo se non capisce?
A volte frasi del genere sembrano fatte apposta per chiudere un discorso e far passare la propria volontà senza discussioni.
Mi chiedo però quanto questo monito, mille volte sentito sino a una generazione fa, sia ancora in auge. Voi l’avete dovuto ascoltare? mi piacerebbe sapere se si usa ancora oggi oppure se è caduto in disgrazia e gli ultimi ad averlo ricevuto sono magari gli attuali quarantenni.
Dai fatemi sapere.
Perché per quanto fastidioso, gettarlo nel dimeniticatoio temo significhi buttare anche qualcosa di buono che perderemmo per sempre.
Per esempio, che non tutte le cose importanti della vita si possano comprendere subito, è una verità delicata e importante. Nel film Capitain Fantastic c’è uno straordinario Viggo Morghensen nei panni di un padre che spiega sempre tutto ai figli indipendentemente dalla loro età e dall’oggetto della spiegazione. Vi consiglio di vederlo.
C’è una scena veloce e surreale nella quale uno dei figli più piccoli, sei anni circa, trova un libro sui campi di concentramento nazisti e chiede al padre perchè tutte quelle persone fossero in pigiama. Il padre in modo estremamente tranquillo gli spiega in dieci secondi la Shoah.
E’ l’immagine di un’abitudine educativa molto diffusa oggi. E anche piuttosto discutibile.
Certo, “capirai quando sarai grande” può anche significare continuare a considerare l’altro piccolo e non in grado di capire per mantenere il potere su di lui. Ma ho l’impressione che riempire di spiegazioni buone per tutte le stagioni i figli, sia il segno di uno smarrimento.
C’è un tempo per e un tempo per. Eliminare i tempi e i passaggi non aiuta.
Occorre accettare che le cose si possono imparare sempre, ma che le capiamo solo quando è il momento.
Occorre capire che ogni fase della vita getta uno sguardo diverso sulle cose. Ed è questo il bello. Invece di dover rincorrere esperienze sempre nuove rischiando di arrivare a vent’anni avendo già fatto e visto tutto, significa poter ,
coltivando così la capacità di stupirci e di meravigliarci
Quindi “capirai quando sarai grande” in fondo è un augurio. Quale augurio migliore si può fare a un figlio se non rassicurarlo