Donne

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donnedi Irene Auletta

Mi ha colpito molto questo post recuperato in rete grazie all’indicazione di un’amica. Sarà che non sono più una giovane madre o sarà che di alcuni temi ho iniziato ad occuparmene circa trent’anni fa, ma l’ho trovato poco stimolante e forse anche poco utile, pensando a quelle giovani madri che invece proprio oggi si trovano a vivere l’attualità della questione. Che il pediatra illustri il valore dell’allattamento al seno non è di certo una novità e francamente trovo anche abbastanza datato il discorso pedagogico che in qualche modo mi pare sottolineare più quella libertà di scelta che sposta lo sguardo sull’identità di un femminile alla ricerca della sua essenza, che verso il delicato e complesso dialogo tra i diversi ruoli.

L’articolo tuttavia rimane solo uno spunto e, al di là di quello che riporta o di ciò che io sono riuscita a trattenere, offre interessanti suggestioni per provare a trattare un tema antico cercando di rintracciare possibili nuovi punti di vista. Tra le altre cose, la lettura mi ha subito fatto collegare ad un altro dato molto attuale che vede un gran numero di donne orientate verso quella che, anni fa, veniva definita come medicalizzazione del parto. Mi riferisco sia alla scelta del parto cesareo che alla richiesta di interventi anestetici, decisi preventivamente. Inutile dire, credo, che sono escluse da queste considerazioni tutte quelle situazioni dove tali interventi risultano necessari e imprescindibili per la salute della donna e del bambino.

Raccogliere delle domande può aiutarci, ancora una volta, sia a sospendere giudizi sterili che ad aprire nuove riflessioni. Come vede oggi una donna il momento del parto e come si prefigura quello successivo dell’allattamento al seno? Con quali rappresentazioni si avvicina a queste esperienze e trasformazioni che andranno a dare nuove forme alla sua vita? E’ ancora possibile porsi quesiti pedagogici circa l’attraversamento di nuove esperienze?

Da madre ho fatto scelte personali che sono il mio ricordo più prezioso e forse le uniche, per molti anni successivi, che hanno permesso la realizzazione di quello che allora erano i miei desideri. Lo stesso rispetto rivolgo alle scelte individuali di ciascuna donna. Come pedagogista invece, non posso che interrogarmi rispetto a quello che avverto come crescente bisogno di organizzare un’esperienza così importante, lasciando meno spazio alla scoperta, ai nuovi apprendimenti, alla curiosità dell’imprevisto e alla possibilità di trovare, anche nel dolore e nella fatica, nuovi significati per la propria esistenza.

Se il parto naturale è diventato solo un incontro gratuito con il dolore e l’allattamento al seno un impiccio che costringe la donna a rituali forzati e limiti di libertà, forse le scelte più recenti sono perfette. Io ho ancora parecchi dubbi e credo che proprio le differenze permettano quel respiro culturale che consente al vecchio e al nuovo di incontrarsi insegnandosi reciprocamente qualcosa. La scelta di partorire con diverse modalità non parla della stessa esperienza, così come non lo è l’allattamento al seno o quello artificiale. Il che non vuol dire subito etichettarle come giuste o sbagliate, belle o brutte. Vuol dire, al contrario, non buttare via il valore delle differenze, riconoscendole e nominandole.

L’importante tema della conciliazione tra lavoro e famiglia, o tra i diversi ruoli che attraversano l’esistenza, dovrebbe davvero arricchirsi di quelle molteplici sfumature che caratterizzano i diversi ruoli delle donne. Andiamo avanti tutti troppo veloci alla ricerca di quelle situazioni più facili, meno dolorose, più efficienti o efficaci, più alla moda che, temo, portino un po’ a banalizzare le scelte come tutte uguali. Io credo nel valore delle differenze, ce lo diciamo tante volte, ma forse è più difficile farle entrare nelle nostre vite, trovandogli senso e significato.

Come donne, nel rispetto di quello che siamo, dovremmo sul serio continuare a parlare di questo facendoci dono delle nostre scelte differenti, delle diverse esperienze e di quelle molteplici domande che ogni giorno possono dare sapore alla vita, se la smettono di essere solo un macigno etico.

Le madri che non sopporto

3 commenti

di Irene Auletta

Immagino di essere una fonte non sospetta e forse, proprio per questo, credo di potermi permettere qualche piccola stizza, dopo anni che dedico il mio interesse culturale e professionale alle mamme e alle riflessioni intorno ai  temi del materno.

Chi mi conosce sa che tempo fa sono stata in una piccola città nei dintorni di Bologna per presentare un libro, insieme alle curatrici&editrici del testo stesso, dal titolo “Maternità possibili”.

Una bella idea, sostenuta dalle curatrici del testo, è stata quella di ingaggiare anche le autrici abitanti in loco, coinvolgendole nella presentazione.

Eccoci al giorno della presentazione, la seconda in realtà, perchè anche il giorno prima ci aveva ospitato una bella biblioteca della cittadina.

Una delle autrici avvisa con sms che è in ritardo per un sopraggiunto problema e che farà di tutto per raggiungerci quanto prima. Arriva trafelata sul finire della presentazione e, in un piccolo spazio che le viene dedicato per salutare il pubblico, motiva il ritardo riferendosi proprio al suo essere mamma, ad un figlio lontano da casa che ha richiesto il suo tempestivo intervento, al suo fare mille corse perchè le dispiaceva rinunciare a questo impegno. Abbiamo intuito dalle sue parole che, il tempestivo intervento,  riguardava un versamento in posta o qualcosa di simile.

Alla fine conclude dicendo: “insomma, scusatemi tanto, ma visto che è stato presentato proprio questo libro …. devo dirvi che ha vinto il mio cuore di mamma!”.

Perchè dare queste spiegazioni? Esprimere il dispiacere per il ritardo legato a un impegno sopraggiunto non basta? Si pensa di fare bella figura, trascurando il piccolo particolare delle altre persone presenti tra il pubblico (forse mamme con poco cuore?) e delle altre tre presentatrici provenienti rispettivamente da Sofia e da Milano?

Questo tipo di spiegazioni fa davvero il paio con le persone che, mentre stai parlando di lavoro ti dicono, solitamente per disdire un impegno o una responsabilità, che la loro priorità è il figlio e la famiglia.

Lavoro con donne da tanti anni e tante volte mi sono sentita ripetere questa frase.

Oggi mi viene l’orticaria, solo a intuirne la possibilità, di queste spiegazioni in arrivo.

Nessuno è tenuto a entrare nel merito della sua vita privata ma, tutti noi siamo tenuti, quando siamo in qualsiasi relazione, a chiederci se quello che stiamo dicendo (o evacuando, si potrebbe dire in  uno psigologhese pret-a-porter), non rischia di ferire chi abbiamo di fronte o, peggio ancora, di offenderlo o mortificarlo, a seconda dei casi.

Ma ogni tanto, stare zitte, no?