di Igor Salomone
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Pare che, mentre io e mia figlia costeggiavamo Milano godendoci la nostra crociera low cost, moltitudini di genitori fossero in giro, al seguito di figli impegnati in un qualche torneo, di un qualche sport, per una qualche associazione sportiva. A colazione oggi un mio amico l’ha buttata in matematica: sabato, paese dell’hinterland milanese, torneo di calcio, otto squadre, tot giocatori per squadra = tot genitori. Semprechè al seguito non ci fossero entrambi.
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Perchè non stiamo parlando di andare alla partita del figlio/a tipo dai che oggi vengo a vederti che te l’ho promesso un sacco di volte ma oggi giuro! Stiamo parlando di trascorrere mezzo week end portando figli/e sin sul luogo delle loro attività, aspettare che le svolgano, ricaricarli in auto e tornare indietro. Figo. E, mi dicono, questo vale in stagione per tutti i santi week end, ai quali naturalmente vanno aggiunti gli allenamenti infrasettimanali.
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Mi piacerebbe a questo punto offrire saggi consigli pedagogici, ma non mi vengono. Avere Luna come figlia mi rende un marziano attonito di fronte a questa deriva da tassisti assunta dalle vite familiari. Sarà che debbo con fatica inventarmi ogni giorno cosa fare con Luna. Ma alla fine, qualsiasi cosa mi inventi, la faccio con lei. Di ore in auto ne passiamo parecchie, ma non la porto mai da nessuna parte: ci andiamo insieme. Mi seccherebbe dover ammettere che un figlio disabile è la via più breve per dare un senso a quello che fai con tuo figlio. Di sicuro mi permette di evitare le pratiche diffuse e date per scontate. Perchè non funzionano e quindi mi tocca cercarne altre. Che culo.
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Poveri genitori, comunque. Ridotti a care drivers da un mondo che impone a ragazzi e ragazze una normalità affollata di impegni che non sono in grado di affrontare da soli. Facendone in sostanza dei disabili motori obbligati all’accompagnamento, proprio mentre si recano nei luoghi della prestanza fisica.
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E poveri ragazzi e ragazze. Costretti a tirarsi appresso ovunque i genitori, se vogliono fare ciò che desiderano fare. Magari dopo anni trascorsi ad essere trascinati ovunque dai genitori, per fare ciò che i genitori desideravano fare.
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Povera esperienza educativa, alla fine, se fare assieme qualcosa significa fare quello che vuoi tu adesso, perchè tu faccia quello che voglio io in un altro momento. Non so, ma a me pare che così si perda il piacere e l’opportunità di fare ciò che né tu né io faremmo, se non lo facessimo assieme. Fosse anche un tour circoncittadino a cavalcioni di una filovia.