di Igor Salomone

Sono giorni strani.
Una primavera soleggiatissima che si insinua a casa nostra riscaldandoci e rattistrandoci al tempo stesso.

Sbinocolo con mia figlia l’ampio panorama del settimo piano milanese e, intorno a noi, una quantità inusuale di persone affacciate, sedute, sdraiate, spaparanzate, sorprese nel tentativo di afferrare lo spicchio di sole che si intrufola dalle finestre e spalma i balconcini. 

Sono buffi, incastrati come sono in spazi ridottissimi, su sedie appena più piccole del terrazzino esposto su un viale un tempo trafficassimo, ora deserto. Oppure affondati su una qualche seduta, gambe all’aria sul davanzale, appena dietro una finestra che fortunatamente da a ovest. 
E chi li ha mai visti?

Approfitto spesso, in tutte le stagioni, per uscire sui miei balconi filiformi, sia per respirare, sia per prendere una boccata d’aria. Ma tutt’intorno vedo solo finestre chiuse, balconcini vuoti, tapparelle abbassate. Di solito. 
Oggi invece è tornata la vita in quei palazzi. Almeno sulle facciate di quei palazzi. 
Bellissimo. 

Si respira un’aria di resilienza, si coglie il desiderio di godersi anche quel pochissimo che è rimasto. Altro che bagni di sole al parco: un quadrato di luce a tempo sulla pelle diventa una delizia preziosa da centellinare e condividere. Le persone raramente sono fuori da sole. 
Chissà se anche questo permetterà di imparare qualcosa sulla preziosità di ciò che questo mondo ci regala.

Intanto Luna, va bene sbinocolare tutt’in giro, però magari evita di puntare proprio sui dirimpettai che prendono un po’ d’aria. Manca pure che facciamo la figura dei guardoni.