di Irene Auletta

Ti guardo mentre ti aggiri per casa un po’ insofferente. Difficile avere un fastidio che non si può dire, che non si può condividere e che neppure si può gestire nella maniera che sarebbe la migliore possibile per diminuirne l’intensità.

Alla fine quello che fai sta ritardando la guarigione e non c’è verso di aiutarti a capire che non e’ quella la strada giusta. 

E’ così ieri sera ad un certo punto ho perso le staffe e ti ho detto secca che devi smetterla, che così non guarisci, che il fastidio aumenta … bla bla bla

Ho parlato per me, per gestire quella frustrazione che dura ormai da giorni, per non sentire il dolore dell’impotenza e perché in fondo è chiarissimo cosa mi accade, in questi momenti più che mai.

Ti vedo disabile. Non solo fragile ma proprio disabile. Persa nel tuo mondo di stereotipie dove a volte mi sembra impossibile raggiungerti. Stasera siamo a casa da sole e in questo momento ognuna di noi è isolata e persa nella sua “bolla autistica”.

Dura poco, ma abbastanza per farmi parecchio male e allora inizio quel lento ricucire di sguardi, gesti e alla fine carezze, che accetti come pomata lenitiva.

Ti convinco a curare quella parte dolorante e mentre lo faccio, con la tua massima collaborazione, ti sussurro che mi dispiace tanto non riuscire sempre a capire come aiutarti e poi, scema di una scema, ti faccio pure i “cazziatoni”. Che mamma insopportabile hai certe volte, Luna!

E tu ridi e mi sorridi.

Mi guardi con gli occhi e il cuore da grande, regalandomi il tuo migliore abbraccio di consolazione. E’ anche così che noi due ci amiamo, curandoci le ferite, tra il riso e il pianto.