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di Irene Auletta

Sono in stazione in attesa di quel regionale che mi porterà a Vicenza e da lì a casa. Vista l’ora, in un attimo arriva un folto gruppo di ragazzi e ragazze che immagino attraversi quel luogo tutti i giorni all’uscita da scuola.

Tre ragazze in particolare attirano la mia attenzione. Hanno quell’eta’ che tu non avrai mai pur essendo di certo più piccole di te. Sedute sul bordo del binario ridono e fumano quasi a sfidare quella voce che, annunciando l’arrivo del treno, invita a spostarsi oltre la linea gialla.

Anche loro sono oltre la linea ma nel senso contrario e con i piedi comodamente appoggiati sulle rotaie. Voglia di farsi notare? Di trasgredire o di sentirsi grandi? Si alzano poco prima dell’arrivo del treno e non nascondono un’aria spavalda. Cosa vorranno dire o dimostrare?

Poco dopo una quindicenne o giù di lì, parlando al telefono rende partecipe tutta la carrozza della sua vivace mattinata a scuola non risparmiando a nessun udente medio toni alti, risate, parolacce.

Oddio, sono diventata una donna anziana! Per consolarmi mi dico che sono infastidita solo perché stanca della levataccia e delle ore di lavoro già svolte ma, in cuor mio, so bene che c’è dell’altro.

Immaginarmi quelle ragazze come possibili figlie mi ha fatto provare un profondo senso di inadeguatezza. Che genitore avrei potuto essere? Io che d’istinto sarei andata vicino a quelle estranee dicendo ragazze la smettete di fare le stupide, per favore? Io che ho fulminato con lo sguardo la ragazza megafono?

È solo perché sto invecchiando oppure perché la mia genitorialità tenendomi lontana da certe avventure mi ha anche impedito di imparare e di capire? Mi sento lontana da tanti mondi e ringrazio il mio lavoro che mi permette di continuare a incontrarli, seppur a distanza.

Ringrazio il treno giunto finalmente a destinazione e che mi allontana da alcune sensazioni poco piacevoli.

Infine ringrazio te, grande figlia mia, che mi costringi di continuo a cambiare paia di occhiali per incontrare la vita. Di certo, non mi annoio.