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Avevo appena ringraziato un forse assassino, probabilmente ex-detenuto, attualmente compagno di viaggio indesiderato, per non aver ceduto alla tentazione di derubarmi, poco prima, a bordo del treno.
Col senno di poi, lo rifarei.
In un nanosecondo mi ero immaginato le alternative. Avevo lasciato, errore da non ripetere, smartphone e tablet in bella vista sul tavolino, mentre dormicchiavo rannicchiato sulle poltroncine. Nella carrozza eravamo tre in tutto: una donna, seduta un paio di file più in là, il mio temporaneo amico che girava su e giù per il corridoio e io. Ero spalmato tra finestrino, tavolino, sedile e bracciolo, in una posizione semifetale sfavorevole e scarsamente difendibile. Se avessi dovuto reagire con rapidità, mi sarei dovuto prima districare. Probabilmente non ce l’avrei fatta e, per la legge di Murphy, avrei scaraventato a terra i miei preziosi strumenti nel tentativo di difenderli, distruggendoli.
Lui, del resto, non era esattamente nelle condizioni di compiere un furto con destrezza. Per scipparmi doveva chinarsi, allungare un braccio sin sotto il mio naso e sfilarmi l’iPhone evitando di toccarmi. Per non parlare dell’iPad che era attaccato all’alimentatore. E quand’anche ci fosse riuscito, non è che poteva scappare a gambe levate per infilarsi in un dedalo di viuzze (sembra che i ladri scompaiano sempre in un dedalo di viuzze) e sparire.
Insomma, se c’avesse provato sul serio, me ne sarei quasi certamente accorto, avrei reagito d’istinto tentando di bloccarlo e ne sarebbe nata una bruttissima storia. Qualcuno si sarebbe fatto male, probabilmente entrambi.
“Ma non ho voglia di tornare in galera”, aveva aggiunto dopo avermi confessato la tentazione provata di derubarmi. Evidentemente era giunto alle mie stesse conclusioni. Per questo l’ho ringraziato, per la saggezza dimostrata, per aver evitato di mettere tutte e due, anzi tre contando la donna, in una situazione pericolosa e stupida, per avermi evitato l’ah sì? adesso ti faccio vedere io che d’impulso si sarebbe impossessato delle mie azioni. “Grazie di non averlo fatto”, gli avevo risposto. Ed era un ringraziamento sincero, sentito, che saliva direttamente dal mio corpo, felice di non aver dovuto ingaggiar battaglia.
Resta l’ipotesi del mitomane. Magari era pura spavalderia, o anche un tentativo di intimorirmi senza alcuna vera intenzione aggressiva. L’avrei scoperto da lì a poco, perchè nel frattempo stavamo raggiungendo l’uscita e il problema immediatamente successivo era come ci saremmo separati andando ognuno per la propria strada. Lui verso la sua nuova libertà, io verso l’auto parcheggiata non lontano, in un posto quasi certamente buio e semideserto.
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(continua)
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