Probabilmente se non mangiassimo assieme sarebbe tutto più facile. Ma noi vogliamo mangiare assieme, come una famiglia normale: padre, madre e figlia riuniti attorno al desco familiare. Espressione assolutamente desueta per indicare un’accanimento valoriale d’altri tempi.
Quindi i nostri pasti sono tutto un rincorrere gesti che vanno accompagnati a uno a uno, nel mentre che cerchiamo di compiere i nostri. Non so più quante volte ho posato la forchetta tra l’inforchettamento e la mia bocca per porgerle dell’acqua, frenare un suo impeto eccessivo, aiutarla a raccogliere un boccone con il suo cucchiaio, soddisfare una sua richiesta, contrastare un suo tentativo di fuga dalla cucina, incoraggiarle un appetito, aprirle il frigo, avvicinarle la sedia, sminuzzarle una pietanza, raffreddarne un’altra, andare a controllare dove è andata dopo essersi alzata, riportarla a tavola per il secondo, portarle il resto della cena in sala per farle mangiare qualcosa…
Ehi, nel caso a qualcuno fosse sfuggito, non sto parlando di un bambino di dieci mesi, ma di una ragazzina di quindici anni. Mia figlia, appunto.
Eppure a tavolino lo schema non è difficile: uno l’assiste nel pasto, l’altra mangia, a turno. In alternativa, una l’assiste nel pasto, l’altro attende e quando la figlia ha finito e limitando le interruzioni alla marcatura intermittente, si mangia assieme, almeno in due.
Ma così non saremmo abbastanza normali. Noi vogliamo mangiare tutti assieme. Tutti quanti. E così pranzi e cene si trasformano in un delirio di alzati-siediti-rialzati-prendiquesto-dallequello-cosavuoi-aspettatiaiuto-vienidiqua-doveseiandata. Durano un’eternità in nostri pranzi e le nostre cene. Sembrerebbe. Poi guardi l’orologio e tra preparazione, consumazione e sistemazione della cucina passano sì e no tre quarti d’ora. Qualche volta ci riprendo e poi carico il tutto su Youtube.
Eppure, guardarti mentre, tutta concentrata, porti alla bocca quel tuo cucchiaio ricurvo con un impegno che neanche per battere un record mondiale, è un’esperienza impagabile. E lo è godere di questi tuoi gesti, proprio mentre noi compiamo i nostri, più agili, infinitamente più competenti, continuamente sospesi, e dunque capaci di prodursi godendo dei tuoi. Una fatica immane e può darsi pure che il conto arrivi prima o poi. Ma resta che non stiamo facendo una cosa per te, nell’attesa di farne una per noi: la stiamo facendo assieme.
Magari, ecco, occorrerà ricordarsi più spesso che il bello non sta nel riuscire a farti mangiare ma nel guardar-ci mangiare, frenando la tua fretta di iniziare quando hai fame o l’ansia per quella di farti iniziare quando non ne hai. In fondo, se desco familiare deve essere tanto vale riappropriarsi di questa immagine dal sapore d’antico sino in fondo: si inizia quando siamo tutti a tavola e ci si alza quando tutti abbiamo finito. Sento che le fatiche sono destinate ad aumentare, ma mi pare un bel progetto…
Apr 02, 2013 @ 17:18:47
sembra di assistere ad uno dei nostri pranzi o cene, ma solo se siamo a casa, perchè se siamo a casa di qualcun’altro, o ad un ristorante…avviene il miracolo, Rossella se ne sta buona, a gustare le pietanze che le si alternano davanti, osservando tutti i commensali, e noi…ci rilassiamo, almeno io, visto che quando siamo a casa, Rossella mangia, io l’assisto e l’altro pure…mangia. lo schema è sempre quello.
Giu 17, 2013 @ 19:22:56
Conosco da poco questo blog e mi piace moltissimo l’idea di essere tutti a tavola, mi comunica proprio il senso della dolcezza e del caos insieme. Il tutto molto movimentanto ma terribilmente sensato…
Giu 19, 2013 @ 15:52:41
grazie Vale. Dolcezza e caos. Esattamente….